Sarchia: Hai letto la decisione del Parlamento Europeo?
Pone: Quale?
Sarchia: Quella su cosa si possa scrivere sulle etichette dei prodotti alimentari a base di vegetali.
Pone: Ah, si, la questione dell’hamburger vegano con annessi e connessi.
Sarchia: Si, quella. Cosa ne pensi?
Pone: Che le parole a volte somigliano agli esseri viventi. Nascono, crescono di più o di meno e poi, a volte, passano una vecchiaia solitaria, dimenticate da tutti e in alcuni casi poi arriva la loro definitiva scomparsa.
Sarchia: Si, ma alcune parole hanno anche un destino diverso, quello di cambiare significato nel corso del tempo.
Pone: A volte sono quelle più affascinanti.
Sarchia: Prendi, a esempio la parola “hamburger”, una parola relativamente recente (viene fatta risalire al 1884) e che deriva probabilmente dal nome di una nota città tedesca Amburgo (Hamburg). Negli corso degli anni la parola ha finito per essere comunemente associata a un panino con dentro una polpetta di carne, insalata e altre cose varie.
Pone: E non è finita. Oggi la parola è legata anche all’informatica dove esistono le “hamburger icon” che sono composte da tre linee orizzontali sovrapposte e che di solito richiamano un menù a discesa.
Sarchia: Si una parola, nel corso del tempo, può cambiare significato e, in alcuni casi, anche nel suo opposto.
Pone: Già.
Sarchia: E cosa ne pensi della decisione del Parlamento Europeo?
Pone: Dal punto di vista linguistico o cosa?
Sarchia: Da quello che preferisci.
Pone: Tenderei a distinguere i piani. La decisione presa è chiaramente una decisione dettata da interessi esclusivamente economici e quindi legati al profitto. Da una parte l’industria della carne e dall’altra gli imprenditori che producono alimenti vegetali e che sono interessati ai miliardi di dollari di questo mercato. In mezzo qualche anima candida vegetariana o vegana che ha fatto proprio il nefasto detto: “il nemico del mio nemico è mio amico”.
Sarchia: Quindi per te “hamburger vegano” non è un ossimoro?
Pone: Beh, certo che è un ossimoro. Ma gli ossimori non sono vietati dalle leggi, almeno ancora no. Se volessi esprimere il mio pensiero completo proverei con una fantasia.
Sarchia: Nemmeno queste sono vietate, almeno per il momento.
Pone: Fantastico di essere un imprenditore del settore dell’allevamento bovino e suino. Un grosso imprenditore, ma grosso assai. Chiederei ai miei veterinari e tecnici di incrociare due razze di bovini e di crearne una nuova. La chiamerei “soia” e commercializzerei la bistecca di soia. Poi farei lo stesso con due razze di suini e chiamerei “tofu” quella nuova, così potrei commercializzare la salsiccia di tofu.
Sarchia: Temo che sia una fantasia davvero impossibile. Le autorità te lo vieterebbero.
Pone: E come?
Sarchia: Ti vieterebbero di usare i termini “bistecca di soia” o “salsiccia di tofu” perché generano confusione con prodotti dai nomi simili ma che sono di origine vegetale.
Pone: Questo dimostra l’inutilità della nostra discussione. Sarebbe bastato rileggersi un classico. Prego.
“Quando io uso una parola” disse Humpty Dumpty in tono alquanto sprezzante, “questa significa esattamente quello che decido io… né più né meno”
“Bisogna vedere” disse Alice “se lei può dare tanti significati diversi alle parole”
“Bisogna vedere” disse Humpty Dumpty “chi è che comanda… è tutto qua”
(L. Carroll, Attraverso lo specchio)