IA sta per Ironica Allegria

A tempo perso gioco con le cosiddette IA che mi capitano a tiro, soprattutto a scopo brainstorming ma anche perché certe volte mi fanno sorridere.
Come mi accade quando, dopo aver digitato l’URL mi compare questo

Finestra di avviso che chiede un click per continuare

Che domande!

Questa volta ho provato a chiedere la trama del film “The beginning of the Great Revival” (2011)

Risposta di una chat di IA

Parliamo d’altro

Solo per scrupolo ho provato a riproporre la domanda usando un titolo diverso usato per lo stesso film

Risposta a una domanda fatta ad una IA

Lascia perdere

Insomma l’IA non ne voleva sapere proprio, sulla pagina iniziavano a comparire le prime parole di una risposta ma poi, dopo tre-quattro righe spariva tutto quanto scritto e compariva quella frase che viene comunemente interpretata come una sorta di avviso che la risposta è stata censurata.

La cosa che mi ha fatto pensare è che avevo chiesto la trama di un film che, per quanto conosco, è stato prodotto da un ente di stato cinese (fonte wikipedia) e che ha come soggetto la storia della nascita del Partito Comunista Cinese. Non sono un esperto sinologo ma il film (che ho visto) mi è sembrato una classica operazione propagandistica e infatti è uscito nel 2011 in occasione del centenario della fondazione del PCC.

La risposta è la stessa se si interroga l’IA a proposito del film “The Founding of a Republic” (2009) altro film propagandistico uscito per il 60mo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

A questo punto mi è sorta spontanea la domanda: perché l’IA censura le risposte a queste domande?

Alcune delle ipotesi che ho fatto:

  1. i burocrati che hanno promosso la produzione dei film sono poi caduti in disgrazia;
  2. il film è stato stroncato dai critici e quindi è meglio far finta di niente;
  3. la IA, per andare sul sicuto, evita di rispondere su qualunque argomento riguardi il PCC.

Altre idee…?

Piacevoli ricordi

La scorsa settimana ci ha lasciato Tom Robbins, appena letta la notizia volevo scrivere qualcosa ma, per farlo, dovevo cercare qualcosa. Poi, finalmente, sono riuscito a ripescare nel caos totale nel quale riposano i miei files quello che cercavo.

Tom Robbins è, lo scriverò sempre al presente, uno dei miei scrittori preferiti in assoluto e probabilmente per sempre. Anche se l’ho scoperto da grande, quasi 20 anni dopo la pubblicazione del suo primo libro e dietro suggerimento di un amico e quindi i suoi libri non hanno accompagnato la mia formazione ma l’hanno sicuramente arricchita.

Ci sono molte ragioni per le quali apprezzo quello che ha scritto, alcune tra le prime che mi vengono in mente: i suoi libri (anche quelli meno belli) mi hanno sempre regalato bei momenti mentre li leggevo e spesso sono tornato a prenderli in mano per sfogliarli e leggerne qualche pagina. Le sue storie sono sempre imprevedibili oltre che incredibili ma se ti lasci andare alla sua scrittura riesce a farti credere possibile anche l’impossibile. Non è palloso anche se scrive di argomenti che altr* hanno trattato e trattano in modo palloso, non è melenso anche se scrive di sentimenti, non cerca di convincerti che ha ragione anche quando (con tutta evidenza) ha ragione. In un certo senso è come quell’amic* che ti racconta una storia e che riesce a tenerti incollato alla sedia anche per un’ora.

Per questo e anche per altro continuerò a consigliare la lettura dei suoi libri alle persone libere che forse sono quelle che possono apprezzare meglio le sue mitologie felici. Per chi non avesse mai letto qualcosa di Tom Robbins qui sotto ricopio l’elenco dei suo romanzi secondo il mio personale ordine di gradimento. Non ci metto le raccolte di scritti o i singoli racconti pubblicati, ci metto invece la sua autobiografia perché anche quella e quasi meglio di un romanzo.

Skinny Legs and All (1990), trad. Bernardo Draghi, Coscine di pollo, Leonardo, 1992; Baldini e Castoldi, 1998

Still Life with Woodpecker (1980), trad. Francesco Franconeri, Natura morta con picchio, Mondadori, 1981; Baldini e Castoldi, 1998

Jitterbug Perfume (1984), trad. Francesco Franconeri, Profumo di Jitterbug, Mondadori, 1985; Baldini e Castoldi, 1999

Even Cowgirls Get the Blues (1976), trad. Hilia Brinis, Il nuovo sesso: Cowgirl, Baldini e Castoldi, 1994

Another Roadside Attraction (1971), trad. Hilia Brinis, Uno zoo lungo la strada, Baldini e Castoldi, 1997

Tibetan Peach Pie: A True Account of an Imaginative Life (2014), trad. Michele Trionfera, Tibetan Peach Pie, cronache di una vita immaginifica, Edizioni Tlon, 2017

Half Asleep in Frog Pajamas (1994), trad. Hilia Brinis, Beati come rane su una foglia di ninfea, Baldini e Castoldi, 1995

Fierce Invalids Home from Hot Climates (2000), trad. Hilia Brinis, Feroci invalidi di ritorno dai paesi caldi, Baldini e Castoldi, 2001

Villa Incognito (2003), trad. Hilia Brinis, Villa Incognito, Baldini Castoldi e Dalai, 2004

Illustrazione di Aubrey Beardsley per la Salomé di Oscar Wilde

Aubrey Beardsley, The Climax

Attenzione, spoiler ma piccolo-piccolo

Di seguito ho ricopiato alcuni pezzi tratti da “Coscine di pollo”, il libro che preferisco. Il riferimento ai veli è quello della danza di Salomé. Per sapere come finisce la storia dovrete leggervi il libro ;-)

Primo Velo
Perché i veli dell’ignoranza, della disinformazione e dell’illusione ci separano da qualcosa che è assolutamente essenziale per la comprensione del nostro viaggio evolutivo, ci dividono dal Mistero che sta al centro dell’essere.
Il primo di questi veli cela la rimozione della Dea, maschera la sessualità presente sul volto del pianeta, avvolge l’antico fondamento del terrore erotico che sorregge la religione dell’uomo contemporaneo. (p.61)

Secondo Velo
L’inerzia degli oggetti è ingannevole. Agli esseri umani il mondo inanimato appare statico, “morto”, a causa del nostro sciovinismo neuromuscolare. Siamo talmente accecati dal nostro spettro di attività da non renderci conto che la maggior parte delle azioni dell’universo si svolgono al di fuori di tale spettro, a velocità tanto superiori o inferiori alla nostra da restare nascoste ai nostri occhi come dietro un … velo. (p.79)

Terzo Velo
In un futuro non troppo distante, in un qualche improvviso movimento della danza, il terzo velo, il velo che permetteva agli espedienti della politica (di solito transitori, spesso stupidi, regolarmente originati dalla corruzione) di mascherarsi da espressione universale ed eterna di libertà, virtù e buonsenso, avrebbe presumibilmente potuto cadere. I giovani, da quel momento in poi, avrebbero potuto essere più esigenti riguardo alle “libertà” da difendere, preservando così la propria anima e – purchè abbastanza lesti d’ingegno e di piede – anche il proprio corpo.
Nel frattempo ogni individuo doveva dare dei gran strattoni a quel travestimento; tirare, lacerare e sbirciare, e finalmente, dopo averlo penetrato a sufficienza, prendere in mano le redini della propria vita. Assumersi la responsabilità della propria esistenza non era esattamente un sonnellino sulla spiaggia. (p.145)

Quarto Velo
La religione è uno dei principali responsabili della sofferenza umana. Non è semplicemente l’oppio dei popoli, ma il loro cianuro.
La politica è la scienza del dominio, e la persona che ha imboccato la via dell’espansione e dell’illuminazione è notoriamente difficile da controllare. (p.203)
Qualcuno ha osservato che la guerra è la logica continuazione della politica. Una volta che la religione è divenuta tutt’uno con la politica, si potrebbe affermare che anche il suo esercizio prima o poi sfocia nella guerra. “La guerra è un inferno” Ne consegue che le credenze religiose ci spediscono diritti verso la guerra.
La religione non è altro che misticismo istituzionalizzato. Il problema è che il misticismo non si presta all’istituzionalizzazione. Nel momento stesso in cui si cerca di organizzarlo se ne distrugge l’essenza. La religione, dunque, è misticismo in cui l’essenza mistica è stata uccisa. O perlomeno anestetizzata.
Coloro che assisteranno alla caduta del quarto velo potranno scorgere chiaramente che la religione non conduce soltanto alla divisione e all’oppressione, ma anche alla negazione di tutto ciò che l’uomo ha di divino; al soffocamento dell’anima. (p.204)

Quinto Velo
Quando il quinto velo cade e con esso l’illusione del valore monetario, l’individuo può forse riuscire a riconoscere nuovamente se stesso, può forse ritrovarsi ritto e per così dire ignudo tra gli antichi valori in un paesaggio da lungo tempo perduto. (p.276)
Perciò, anche per coloro tra noi che non possono assistere personalmente alla danza di Salomé, il quinto velo sicuramente cadrà. Cadrà nel momento della nostra morte. Quando saremo lì distesi, impotenti, al di là di ogni certezza, mentre l’elettricità abbandona furtivamente il nostro cervello come un truffatore che se la svigna dal quartiere di colui che ha infinocchiato, a più d’uno di noi capiterà di pensare che tutto ciò che ha fatto, l’ha fatto per soldi. E in quel momento, un istante prima che le stelle smettano di ammiccare, a seconda di quant’altro abbiamo appreso nel corso della nostra vita, ci sentiremo bruciare da un insopportabile rammarico… o ci faremo una bella risata silenziosa alle nostre stesse spalle. (p.278-279)

Sesto Velo
La verità evidente è che nessuno, indipendentemente dalla razza, dalla religione o dal livello di illuminazione personale, nessuno sa se vi sia davvero una vita oltremondana. (p.363)
Di contro a questa totale mancanza di prove, tuttavia, persiste in genere una fiducia incrollabile nella fine dei tempi, e nelle orchidee o nelle cipolle che verranno distribuite in occasione del gran finale; e questa fede, questa pia – o timorosa – illusione, costituisce un velo così spesso, così resistente, che c’è da stupirsi se la mattina riusciamo a vederci abbastanza da scendere dal letto. Se non altro, il sesto velo è un ottimo riparo contro i raggi solari. Può essere anche una pastoia o un sudario.
Finché si può indurre un popolo a credere in un aldilà soprannaturale, quel popolo può essere oppresso e controllato. Chi è convinto che alla fine lo attenda una sorta di villaggio turistico celeste in cui la piscina è sempre aperta e i bagnini sono superflui, sarà disposto a sopportare prepotenze, privazioni e maltrattamenti di ogni genere. In più, il fedele è pronto a rischiare la pelle in qualsiasi avventura militare il suo governo voglia promuovere. Quando cadrà il sesto velo, verrà indubbiamente a mancare la carne da cannone. (p.363-364)

[da Tom Robbins, Coscine di pollo]

 

 

 

 

Al peggio…

Visto che l’ho taggato come ossessione ci ritorno sopra; prima di leggere quello che segue consiglio di leggere quello che lo precede.

Se ci capissi qualcosa di musica definirei “Il Conte di Montecristo” un vero e proprio “standard” sul quale si sono cimentati in molti e con risultati alquanto diversi. In questo caso scrivo alcune osservazioni sulla serie tv, terminata questa settimana e ancora disponibile su “Raiplay”.

L’ho già scritto ma lo faccio di nuovo perché lo ritengo importante: il romanzo in questione è bello lungo, una delle ultime versioni italiane conta circa 1500 pagine, è anche un racconto abbastanza intricato con decine di personaggi ognuno dei quali ha un proprio ruolo, più o meno importante, nell’economia globale della storia. Mi rendo quindi benissimo conto che il compito di ridurre quella mole di pagine in meno di 8 ore di video non sia certo facile e non sarebbe un lavoro che sarei in grado di fare.

Premetto anche che non mi disturba eccessivamente quando, trasponendo un romanzo dalla scrittura a un altro mezzo (un fumetto, un film, una serie tv, un musical), gli sceneggiatori apportano delle modifiche alla trama originale. A questo aggiungo anche che non resto sconvolto nemmeno quando i cambiamenti fatti stravolgono tutto o quasi tutto, talvolta il risultato mi sembra apprezzabile ma altre volte decisamente meno o molto meno.

Nel caso in questione la serie mi sembra abbia alcuni elementi che la rendono tra le peggiori trasposizioni del libro di Dumas. Non mi riferisco alla quantità e qualità delle modifiche fatte alla trama e non mi sembra nemmeno il caso di farne un elenco completo. Ma, a mio modesto avviso alcune di queste hanno rovinato un prodotto che – almeno visivamente – era accettabile e che poteva risultare migliore.

Temo che molte delle modifiche fatte siano state dettate da motivazioni che hanno poco a che vedere con la necessità di sintetizzare una storia lunga e molto più a che vedere con le idee degli sceneggiatori o con le pretese della produzione. Di seguito ne citerò, in ordine sparso, solo alcune.

Il momento che più mi ha disturbato è stato quando Edmond lancia dalla sua carrozza il contenitore metallico che contiene la droga che usa durante tutta la storia per gestire l’ansia. Una sostanza liquida che non viene mai identificata o nominata. Nella storia originale in un paio di occasioni si capisce che il Conte fa uso di Hashish, la sostanza nell’economia della vicenda ha una scarsissima importanza (per non dire nessuna) ma serve evidentemente ad aggiungere un tocco di “fascino orientale” al protagonista. Nella versione televisiva a dieci minuti dalla fine il Conte getta via dalla carrozza la sostanza e questo fa sospettare qualcosa a proposito delle intenzioni degli sceneggiatori riguardo alle cose che hanno scelto di lasciare, di aggiungere o di modificare.

Per restare, in parte, in argomento ci sono stati dei cambiamenti in molti personaggi che fanno di contorno al Conte. Quello più evidente e anche quello del quale non sono riuscito a capire una giustificazione è stato che Haydée, che nel libro è di origine greca, nella trasposizione diventa algerina (sic!). Il personaggio viene comunque massacrato, viene cancellata la storia d’amore con il Conte e persino la sua capacità di prendere decisioni autonome, per arrivare poi all’insulto finale.

Continuando sulla falsariga, il personaggio del nubiano muto di nome Alì, viene sostituito da un servo italiano muto. E, ancora una volta non si capisce la ragione per questa sostituzione in quanto si tratta di un personaggi tra quelli più sacrificabili. Capisco che far comparire uno schiavo muto possa sembrare qualcosa di politicamene scorretto ma, e il discorso vale in generale, credo che se si voglia trasmettere anche una atmosfera oltre che solo una trama così come i personaggi vengono rivestiti con abiti d’epoca e le scenografie adeguate si debba anche completare l’ambientazione.

Una eccezione, che però conferma la regola, viene riservata ai due personaggi femminili la cui omosessualità descritta da Dumas con il pudore necessario nell’800, tenendo presente che la storia è stata pubblicata a puntate su un giornale, viene mostrata con un bacio. Oggi, salvo che per alcune persone, non ci sono molti problemi a mostrare in video donne che si scambiano tenerezze.

Altra modifica più che sospetta: a un personaggio che ha anche una discreta importanza nell’originale viene cambiato il nome e chi non ha letto o non ricorda il libro non sa che il suo nome originale è “Benedetto”, un nome comune per gli orfani ma forse ritenuto oggi poco consono alle sue cattive azioni. Certe volte si esagera davvero.

Lo sviluppo della storia è stato dilatato all’inizio, diciamo la prima metà, e compresso nella seconda. Alcune cose sono state fatte sparire perché avrebbero causato dei problemi per alcuni personaggi che avevano subito dei cambiamenti di ruolo, come il bandido Vampa, altri perché non funzionali all’insulto finale. E, puntuale come l’influenza stagionale, la fine della serie ha stravolto completamente il finale del libro.

Inutile entrare nei dettagli, non lo meritano, mi basta dire che non è certo la prima volta che avviene una offesa del genere, l’anno scorso una riduzione del “Conte di Montecristo” in due puntate aveva fatto lo stesso e anche in passato in qualche film gli sceneggiatori avevano deciso che il finale originale non andava bene.

Il mio inutile giudizio complessivo sulla serie è negativo.

Per cui, al momento, ritengo che il vecchissimo sceneggiato televisivo in bianco e nero trasmesso dalla RAI nel 1966 sia ancora tra le trasposizioni più oneste che ho visto e, per fortuna, è disponibile a gratis on-line. Ma persino la parodia musicale fatta sempre in quegli anni nella “Biblioteca di Studio Uno” che dura circa un’ora è più simpatica, per la sua visione però consiglio la presenza di una persona che abbia almeno 60 anni e una discreta conoscenza della musica italiana d’epoca.

A dimostrazione che si può fare di meglio, anche riscrivendo pesantemente la storia, si veda ammesso che la RAI lo dissequestri, “Il Conto Montecristo” (1997), dove Edmond viene infamato con l’accusa di essere un fiancheggiatore delle “Brigate Rosse” e viene rinchiuso nel carcere speciale dell’Asinara e il brigante Vampa diventa il capo di una banda di sequestratori sardi e avido lettore dei classici del Marxismo-Leninismo. La miniserie di sei episodi di circa un’ora ognuno è una visione consigliata a un pubblico diverso da quello che di solito guarda la televisione e che ha il rispetto che merita il libro di Dumas.

 

PS Quanto sopra potrebbe, in seguito, subire modifiche che saranno opportunamente segnalate.