FUORI TEMA

Nota a margine della lettura di alcuni thread di discussione letti nel corso degli anni su mastodon.bida.im ma che non sono assolutamente una sua esclusiva.

Quando andavo a scuola il Tema era uno dei compiti più importanti e temuti dagli studenti, scrivere un bel tema e avere un buon voto era – a volte – anche un modo per bilanciare un risultato meno brillante in altre materie. Alcuni docenti avevano l’abitudine di aggiungere al voto espresso su base 10 anche dei giudizi sintetici su quanto contenuto nel foglio formato protocollo che piegavamo a metà in senso verticale e sigillavamo con l’apposizione di cognome e nome e, in alcuni casi, anche classe e sezione di appartenenza. Tra quei giudizi uno era particolarmente temuto anche da chi scriveva in modo decente e che di solito veniva gratificato almeno da un voto di sufficienza. “Fuori tema” queste due parole ci comunicavano che quello che avevamo scritto era altro da quello che ci era stato richiesto e talvolta questo giudizio non era seguito dal voto espresso in numeri e quindi il risultato del nostro lavoro era considerato “non classificabile”. Potevamo aver scritto anche un testo senza alcun errore, praticamente perfetto a livello di grammatica e sintassi ma il suo contenuto aveva poco o nulla a che fare con l’argomento che ci era stato chiesto di sviluppare. Era possibile anche “andare fuori tema”, vale a dire mettersi in viaggio da Roma per raggiungere Napoli ma, dopo una parte di percorso fatto sulla strada giusta, finire per arrivare a Madrid.

Alle scuole superiori, era possibile meta-comunicare sul Tema chiedendo (esclusivamente in piedi e a voce alta) al/alla prof. un chiarimento a proposito di quella che chiamavamo “traccia”. A secondo della domanda e del/della prof. ci venivano comunicate alcune informazioni supplementari che potevano risultare, ma non sempre, utili per svolgere in modo corretto il compito che ci era stato assegnato. Era una sorta di quello che, in tempi più recenti, si sarebbe chiamato un “aiutino”.

Ai tempi di Internet i Temi ce li scegliamo da sol* e decidiamo anche come svolgerli. I voti si sono trasformati nelle repliche a quello che scriviamo che consistono, nei casi più condensati, in apprezzamenti minimali: l’immagine di un pollice in su, di una stella, un cuore o uno degli altri numerosi segnali non scritti. In altri casi il giudizio di chi ha letto quello che abbiamo scritto viene espresso a parole attraverso le quali chi replica ci comunica il suo grado di apprezzamento di quanto ha letto o, al contrario, di critica più o meno aspra. E, come accadeva a scuola, spesso chi scrive va “fuori tema”, una situazione che è direttamente proporzionale al numero delle repliche e al numero delle persone che replicano. Più queste aumentano più è facile che la discussione intera approdi a lidi molto lontani da quelli di partenza e spesso anche da quelli di arrivo previsti. Chi è ottimista può consolarsi ricordando che tra tutti gli argomenti ci sono pochi gradi di separazione. Chi è pessimista troverà l’ennesima conferma che la comunicazione elettronica è un fallimento totale e quindi una perdita di tempo. Chi è in mezzo sentenzierà che hanno entrambi ragione.

"And I am surrounded by millennial nonentities"

Avviso minatorio ;-)

In caso qualcun* replichi, scrivendo qualcosa, su mastodon.bida.im o altrove nel fediverso, a questo post pubblicato sul mio blog mi arrogo il diritto di copiarlo e incollarlo qui sotto con relativo nick di attribuzione e di un eventuale commento.

Cosa succede in città?

Guardo distrattamente interessato la manifestazione “europeista” trasmessa in diretta da una Piazza del Popolo mezza piena o mezza vuota, a seconda del grado di pessimismo di chi guarda. Non l’ho seguita tutta, ma ho sentito il Sindaco di Barcelona (Spagna) parlare in italiano, spagnolo e catalano; ho sentito Lella Costa citare più o meno a sproposito Pietro Gori e addirittura “nostra patria è il mondo intero…” e Roberto Vecchioni cantare.

L’interesse è dettato dal fatto che una iniziativa del genere ha il pregio dell’originalità e, almeno a mia memoria, di questi tempi è difficile trovarne. Facile dire che senza le intemperanze trumpiane questo assembramento non ci sarebbe stato, almeno in Italia, come non c’è stato quando si era trattato di segnare alcuni dei passaggi critici nel processo di costruzione dell’Unione Europea come l’introduzione della moneta unica, l’elezione del Parlamento europeo, la creazione dell’area di Schengen, e via dicendo. Oggi, improvvisamente, l’Europa sembra che debba diventare qualcosa di più che un enorme apparato burocratico sovranazionale che si occupa dei tappi delle bottiglie di plastica.

Peccato che a organizzare e sponsorizzare questa manifestazioni ci siano i “soliti noti”, che (ma sono un malpensante) vogliono provare a rientrare nel gioco della politica italiano dopo che le ondate della destra hanno colpito e stiano colpendo da anni tutti i paesi europei. Peccato che, basta scavare davvero poco, per rendersi conto che le posizioni politiche degli organizzatori e delle organizzatrici e dei partecipanti e delle partecipanti sono alquanto diverse su molti dei temi che quelli e quelle che intervengono richiamano. Peccato che proporre di aggiungere una nuova identità (quella europea) a quelle esistenti che già tanti danni hanno fatto e stanno facendo, non solo in Europa, non sia una soluzione ma una complicazione ulteriore. Peccato che alla fine questa manifestazione diventerà qualcosa buona per i dibattiti e anche le migliori intenzioni di quelli e quelle che hanno partecipato serviranno a lastricare le strade che portano agli inferi.

Questa piazza è stata, in un certo senso, anche una sorta di sostituto dagli enormi raduni pacifisti che da molti anni a questa parte sono spariti dal panorama, sostituiti non da iniziative antimilitariste, come sarebbe necessario, ma da meno numerose manifestazioni per la Palestina o per l’Ucraina nelle quali spesso si mescolano motivazioni anche incompatibili fra di loro.

Alla fine, come da tradizione, vengono dati i numeri: 50 mila persone tra le quali 119 sindaci e in coda vanno i contributi video che non sono passati durante la manifestazione.

Una volta si diceva: “grande la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”, ma erano altri tempi e oggi questo modo di dire è vero ancora, solo a metà.

NB Quanto sopra scritto a caldo con in sottofondo l’audio che arriva dalla diretta da Piazza del Popolo. Scrivendo in questo modo gli errori sono inevitabili, ma se ci fosse davvero uno sfondone del quale non mi sono accorto lo correggo dopo.

Professionisti dello spettacolo

Politica e spettacolo hanno sicuramente dei punti in comune, ma una delle cose che distingue i due ambiti è il fatto che il primo dovrebbe occuparsi del reale e il secondo non solo di quello. Ci sono però dei confini che, quando vengono superati, potrebbero causare dei “cortocircuiti” a livello della comunicazione. Se a questo aggiungiamo la possibilità che personaggi dello spettacolo intervengano in modo significativo nell’ambito politico (e viceversa) e/o che vengano mischiati i linguaggi e le tecniche di comunicazione caratteristici dei due settori, i problemi iniziano a diventare seri.

Prendiamo, ad esempio, quello che è successo a fine febbraio scorso nello Studio Ovale della Casa Bianca e il prevedibile diluvio di commenti a seguire. In pochi hanno tenuto in debito conto che in quella occasione si sono trovati faccia a faccia, davanti a telecamere e giornalisti, due personaggi che hanno alle spalle una storia non occasionale nel settore dell’intrattenimento. Eppure non dovrebbe sorprendere il comportamento di una persona che, dopo aver frequentato per anni il mondo dello spettacolo, poi applichi quello che ha imparato anche quando fa un altro lavoro.

Fotogramma dal film "Two weeks notice" (2002)

Fotogramma dal film “Two weeks notice” (2002)

Trump è un personaggio mediatico da più di trent’anni e un politico da meno di dieci. Forse la sua prima apparizione sul grande schermo data a “I fantasmi non possono farlo” (1989), seguita da “Mamma ho riperso l’aereo” (1992), “Piccole canaglie” (1994), “Across the Sea of Time” (1995), “Zoolander” (2001), “Due settimane per innamorarsi” (2002) e “Wall Street – Il denaro non dorme mai” (2010). Comparsate in note serie televisive: “Il Principe di Bel-Air” (1994), “Sex and the City” (1999) e “Days of Our Lives” (2005). A queste si dovrebbero aggiungere le numerose apparizioni nel “Saturday Night Live”. E forse manca qualcosa in questo elenco. Ma significativo per la sua carriera è il 2004 quando inizia a condurre un reality show che è durato ben undici anni: “The Apprentice (2004-2015)” e “The Celebrity Apprentice” (2008-2015) che lo accompagneranno fino alla data della sua prima elezione.

Da parte sua anche Zelens’kyj ha passato più di vent’anni nel mondo dello spettacolo. Ha iniziato a fare il comico nel 1997, ha esperienza nella regia e nella produzione di prodotti di intrattenimento e ha raggiunto la vetta della popolarità quando è diventato protagonista di una serie chiamata “Servitore del popolo” (2015), nella quale interpretava un professore di liceo che diventa presidente dell’Ucraina (toh!). Una differenza con Trump è che gli spettacoli della televisione ucraina non hanno la stessa diffusione a livello mondiale di quelli statunitensi.

Carriere del genere sono qualcosa che mette in grado anche persone che non brillano per le loro capacità intellettuali o politiche di gestire in modo professionale determinati contesti pubblici, come ad esempio una discussione davanti a un pubblico e delle telecamere.

Eppure c’è ancora chi continua a stupirsi del comportamento del Presidente degli USA, sia quando ripubblica su Internet un video di pessimo gusto, sia quando scrive o dice cose che sono buone solo per ricavarci un titolo di giornale. Questa sorpresa può portare a interpretare in modo sbagliato quello che accade.

Tornando a quello che è avvenuto alla Casa Bianca, molti dei commenti a caldo suscitati dalla visione di quella chiacchierata sono stati di indignazione per il trattamento ricevuto dal Presidente ucraino e per la prepotenza e la violenza verbale del Presidente statunitense e del suo vice. L’accaduto è stato spesso riassunto così: “Trump e Vance hanno teso un’imboscata a Zelens’kyj e lo hanno maltrattato facendo i loro interessi e il gioco di Putin”. Ma questa narrazione se non completamente errata è sicuramente molto discutibile, soprattutto se fatta senza aver tenuto conto dell’intero video. Il filmato integrale (supponendo che lo sia) dura circa 50 minuti e mostra un classico talk-show paragonabile – nei suoi meccanismi di comunicazione – a uno dei tanti che infestano le TV di tutto il mondo. Una discussione portata avanti con uno stile di comunicazione che di politico aveva ben poco tra due personaggi del genere, e una presunta violenza del confronto che è stata, rispetto a quella che si è vista sul piccolo schermo italiano, davvero risibile. Molto più hanno detto, in alcuni momenti, le smorfie, i gesti e i movimenti del corpo dei protagonisti.

Una lettura diversa di quanto si è visto infatti potrebbe essere questa: “Trump ha detto a Zelens’kyj che, se vuol far finire la guerra, qualcosa deve cedere, sia agli USA che a Putin. Ma il Presidente ucraino ha mantenuto fermo il suo punto di vista.” Il che può essere considerato sia come un ricatto che come un consiglio pragmatico, o magari entrambe le cose. In pratica l’interpretazione dei contenuti in certi contesti e con certi protagonisti diventa davvero complicata. Specialmente se non si valuta nemmeno la battuta finale di Trump che segnalava a chi aveva seguito l’incontro che si era trattato di “un bel pezzo di televisione” (sic!).

La tragedia era che i protagonisti dello show avevano chiacchierato, comodamente seduti, di una guerra che va avanti da tre anni e che ha causato, secondo alcune fonti, quasi novecentomila morti e relative distruzioni.

Quanto scritto sopra non significa che lo spettacolo della politica cambia quando due attori scadenti usano il linguaggio che conoscono meglio, ma piuttosto che è più difficile comprenderne il reale contenuto. Il che è confermato dagli avvenimenti successivi: Trump che dichiara una cosa e il giorno dopo il contrario e Zelens’kyj che ha cambiato (forse) la ferma posizione che aveva tenuto a Washington.

Visto come vanno le cose dovremo abituarci non tanto a una massiccia invasione dei professionisti dello spettacolo nella politica attiva, ma piuttosto ai tentativi di quelli che hanno una formazione politica di imitare le abilità dei performer. Questa non è una novità assoluta. Si vedano ad esempio “le facce che fa” la Presidente del Consiglio italiana quando è a favore di telecamera, elemento che costituisce la sua personale forma di comunicazione diretta al grande pubblico.

Una volta, i confini che esistevano tra l’ambito e il linguaggio della comunicazione politica e quello dell’intrattenimento venivano superati solo occasionalmente, mentre oggi sembrano spariti del tutto, relegando le persone sempre più al ruolo di semplici spettatori che si limitano a trovare uno sfogo sui loro social preferiti piuttosto che con la protesta nel mondo reale.

Pepsy

Pubblicato sul n.7 di “Umanità Nova” (16/03/2025)