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Negli ultimi giorno tutt* si sono occupati della proposta fatta dal Governo cucurbitacei di sottoporre gli aspiranti magistrati a un qualche tipo di test psicologico per verificare che siano adatti al loro lavoro. Molti hanno anche tirato in ballo lo storico MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) come probabile candidato alla bisogna.

Le nostre fonti di informazione ci mettono in grado di pubblicare alcune delle domande alle quali saranno tenuti a rispondere le persone sottoposte al test.

Ricordiamo che per ognuna delle affermazioni bisogna scegliere tra “vero” o “falso”, i numeri degli item non corrispondono necessariamente alla versione finale del test.

22. Esiste una giustizia a orologeria.
31. La toga rosso scuro mi snellisce.
34. Da giovane ero innamorato di Perry Mason.
35. A volte penso che in aula sarebbe opportuno indossare una parrucca.
42. Non riesco a trattenermi dal sorridere quando leggo la scritta “la giustizia è uguale per tutti”.
49. Non so andare in bicicletta.
53. Mi piacciono le serie TV del genere “procedural”.
64. Le donne dovrebbero occuparsi solo di procedimenti giudiziari poco importanti.
71. Non ho mai ben capito il significato della canzone “Un giudice”.
112. Il Codice di Procedura Penale dovrebbe avere un numero minore di pagine.
299. Il mio film preferito è “The Life and Times of Judge Roy Bean“.

[segue?]

 

Pisa. Manganelli in primo piano

La piazza rubata

Pisa. Striscione alla testa del corteo del 2 marzo 2024.

Pisa. Striscione alla testa del corteo del 2 marzo 2024.

Otto giorni dopo le manganellate del 23 febbraio, un corteo di 6-7 mila persone ha percorso le strade di Pisa circondato dalle telecamere delle principali televisioni locali e italiane. Una manifestazione arrivata dopo una settimana nella quale si sono sprecate, nel vero senso del termine, un’enorme quantità di parole su quanto era accaduto pochi giorni prima in una stretta stradina nel centro. Era più che prevedibile che, soprattutto dopo l’intervento del Presidente della Repubblica, quell’episodio assumesse una importanza e un significato molto superiore alla sua reale consistenza.
Illustri costituzionalisti hanno spiegato che, stante le leggi vigenti, non c’è l’obbligo di chiedere l’autorizzazione per svolegere una manifestazione e quindi non ha senso etichettare un corteo come “manifestazione non autorizzata” (cosa che hanno continuato a fare in molti) mentre segretari di sindacati di polizia hanno espresso pareri non propriamente consonanti. Persino la neo eletta Presidentessa della Regione Sardegna ha citato fin dalle prime interviste quanto accaduto a Pisa, accodandosi alla lunga serie di esponenti politici – più o meno noti/importanti – che hanno ritenuto opportuno far conoscere a tutti la loro opinione. Impossibile elencare le trasmissioni televisive, su tutti i canali e di tutti i generi che hanno mostrato le immagini delle manganellate e commentato il fatto. Per non dire dei giornali di carta stampata (persino quelli specializzati nel “gossip”) e dei siti web.
Addirittura una associazione ha lamentato che i figli di alcuni agenti di polizia stavano subendo episodi di “bullismo” a Scuola da parte dei loro coetanei in quanto colpevoli di essere “figli di sbirri o di manganellatori”. Sembrava quasi un tentativo di pareggiare, in un certo senso, il conto rispetto ai genitori che si sono lamentati perché sono stati picchiati dei minori.
In altre parole la politica, quella che si pretende con la “p” maiuscola, si è appropriata dell’episodio di cronaca, cosa che accade spesso, più per motivi di interesse partitico che perché realmente preoccupata per la violenza delle manganellate piovute sulla testa degli studenti e delle studentesse.
Di conseguenza in qualche occasione è passato in secondo piano il fatto che gli adolescenti picchiati stessero protestando contro il massacro in atto da cinque mesi nella Striscia di Gaza.
Per questo la manifestazione di sabato 2 marzo a Pisa aveva due temi portanti: la protesta contro le cariche della polizia e la solidarietà ai palestinesi, come si poteva capire dalla varietà degli striscioni, delle bandiere sventolate e degli slogan. Il corteo è sostanzialmente riuscito anche se, dal nostro punto di vista, la risposta data a Pisa immediatamente dopo i fatti è stato un segnale molto più interessante e significativo. Perché, contrariamente a quello che la narrazione dei mezzi di comunicazione ufficiali ha provato a far credere nel corso della settimana le manganellate di Pisa non sono un fatto eccezionale ma costituiscono piuttosto la regola.
Come di solito accade, dopo qualche giorno di enorme esposizione mediatica, il fatto avendo esaurito la sua carica di interesse generale ritornerà confinato delle pagine della cronaca locale. I politici di professione non avranno più necessità di fare riferimento alla violenza della polizia e passeranno ad altro.
Questo lascerà fondamentalmente immutato il modo di operare delle forze dell’ordine che nel caso di Pisa sono state appena “bacchettate” dalle cosiddette opposizioni e “carezzate”, come da collaudato copione, dalle forze di destra.

Pisa. Striscione al corteo del 2 marzo 2024

Pisa. Striscione al corteo del 2 marzo 2024.

Qui sotto l’articolo, scritto a caldo la scorsa settimana e pubblicato sul n.8 di “Umanità Nova”

Alla fine si è scomodata persino la più alta carica dello Stato per commentare quello che è successo a Pisa venerdì 23 febbraio scorso. Protagonista un corteo di meno di un centinaio di studenti e studentesse delle scuole superiori intenzionati a esprimere la loro solidarietà alla causa palestinese. Dopo aver percorso poche centinaia di metri dal punto di partenza il gruppo è stato bloccato (in testa e in coda) da agenti di polizia in assetto antisommossa. Il tutto è avvenuto in una zona a traffico limitato, una di quelle percorse più da turisti che da residenti. Dopo un breve fronteggiamento è partita una prima carica, la polizia è avanzata di qualche metro e sono volate molte manganellate. Qualche persona è stata ferita e qualche altra si è ritrovata stesa al suolo e sovrastata da uno o più agenti in borghese. Il piccolo gruppo di adolescenti non si è disperso e a questo punto sono partite altre due piccole cariche, ancora condite con manganellate come se grandinasse.
Un episodio del genere poteva semplicemente essere destinato a riempire solo una pagina di cronaca cittadina ma bisogna considerare che quanto accaduto non aveva precedenti nella città di Pisa, nonostante le sue storiche tradizioni di lotte studentesche. Alcuni compagni in piazza da decenni ricordano che mai era stato attaccato un corteo composto esclusivamente da “studenti medi”, nemmeno negli anni ’70 quando i minorenni erano decisamente più minacciosi. E bisogna tener conto che in città si ricorda ancora la storia di Franco Serantini, il nostro compagno assassinato proprio a colpi di manganello da un gruppo di poliziotti.
Già pochi minuti dopo il fatto sono iniziati a circolare i filmati di quello che era accaduto, immagini nelle quali si vedeva senza ombra di fake che la violenza esercitata dagli agenti contro un gruppo di persone indifese era stata davvero fuori misura. La risposta non si è fatta attendere che poche ore.
Nel pomeriggio i luoghi di concentramento per protestare erano due: davanti alla Prefettura, dove si sono radunate almeno sei-settecento persone che hanno gridato più volte “vergogna” all’indirizzo dell’edifico sede dell’autorità. Una iniziativa alla quale hanno partecipato anche molti politici (di centro-sinistra) locali e dove spiccava persino il gonfalone di un comune limitrofo e la presenza di una delegazione della Cgil.
Contemporaneamente altri e altre hanno iniziato a concentrarsi davanti al palazzo comunale; in questo caso la partecipazione era prevalentemente giovanile e studentesca. La folla è cresciuta tanto da non poter essere più contenuta nella piazza e quindi è partito un corteo di quasi duemila persone che si è ulteriormente ingrossato durante il percorso e che si è fermato in Piazza dei Cavalieri, il luogo dove avevano intenzione di arrivare i ragazzi e le ragazze manganellati in mattinata.
Alla fine davanti al Palazzo della Carovana, c’erano più di tremila persone. È inutile segnalare che durante lo svolgimento di questi avvenimenti non si è visto un agente (in divisa) in strada, cosa abbastanza usuale quando il comportamento delle forze dell’ordine sorpassa il sopportabile.
In definitiva, per quasi tutto il pomeriggio, il centro della città è rimasto bloccato a causa a quello che avevano combinato al mattino un gruppo di agenti di polizia.
Intanto la notizia, insieme a quella delle manganellate distribuite a Firenze, era già arrivata ovunque. Per tutto il giorno si sono inseguite sui social cosi le dichiarazioni di tutte le autorità (non solo) locali, la maggior parte delle quali indignate – a diversi livello – per il comportamento dei manganellatori, persino il Sindaco leghista di Pisa ha dichiarato di essere “amareggiato” (sic!) per quanto accaduto. Immancabili gli interventi di una coppia di esponenti della tradizione umoristica pisana (onorevoli in palazzi romani ed europei) che hanno dimostrato ancora una volta di non essere in grado di separare la realtà concreta dalla loro miserrima fantasia. Nel fine settimana ci sono state in città ancora iniziative di protesta e altre sono state annunciate per i giorni successivi.
Questi, più o meno, i fatti ai quali aggiungiamo brevi considerazioni. Si può ritenere che le manganellate siano collegate direttamente alle numerose iniziative (più di mille dal 7 ottobre scorso) di solidarietà con la Palestina, ovvero che l’obiettivo sia stato quello di reprimere in modo violento proprio queste proteste. Mentre probabilmente si tratta solo dell’ennesimo segnale dello spirito dei tempi che viviamo e che ha visto, nell’ultimo anno, un continuo crescendo di piccoli episodi di intimidazione (le identificazioni) e di repressione violenta indirizzata contro coloro che dissentono dalla politica governativa, a prescindere dalle ragioni e dalle modalità con il quale viene espresso questo dissenso.
L’ampio riscontro mediatico, i fatti sono stati commentati da quasi tutti i leader politici italiani, avuto da un relativamente piccolo episodio è dovuto alle caratteristiche di funzionamento del sistema della comunicazione e agli interessi della politica. Ma, sicuramente, la forte e immediata risposta di migliaia di persone ha contribuito in modo determinante a portare all’attenzione generale un problema che hanno dovuto affrontare tutti i governi e particolarmente quello attuale, per il quale le questioni dell’ordine pubblico rappresentano un punto sensibile.

[Pubblicato su “Umanità Nova” n.08 del 03/03/2024]

Ridurre la libertà, aumentare la censura

Il Sindaco di New York City ha recentemente dichiarato che i famigerati “social” sono un “pericolo per la salute pubblica” paragonabile addirittura a un “veleno ambientale” e che “i giovani devono essere protetti” da questa minaccia. La notizia è una di quelle che possono potenzialmente innescare (anche in Italia) infiniti dibattiti, polemiche, prese di posizione e via dicendo. L’origine dell’allarme lanciato è stata la pubblicazione di un documento presentato alla “Commissione per la Salute e l’igiene mentale” della città americana nel quale, partendo dalla constatazione che la salute mentale dei giovani abitanti di quella metropoli è andata peggiorando nel corso degli ultimi dieci anni, si addita come responsabile di questa preoccupante tendenza il massiccio uso dei “social” fatto dagli studenti delle scuole superiori.
Come accade spesso, la lettura diretta della fonte rimette le cose in una corretta prospettiva separandole dall’annuncio mediatico fatto da un politico probabilmente in cerca di facili consensi.

avviso contro l'uso dei social mediaIl documento in questione (liberamente scaricabile) presenta alcuni dati: tra il 2011 e il 2021 le idee suicide dei giovani sarebbero aumentate di più del 34% e la mancanza di speranza nel futuro di più del 42%, tanto che nel 2021 il 38% degli adolescenti avrebbero smesso di svolgere le loro abituali attività. La situazione sarebbe anche più grave per gli afro-americani e i latini, per le donne e per chi si riconosce nella comunità LGBTQ+. Contemporaneamente, nel 2021, il 77% degli studenti delle scuole superiori avrebbe passato 3 o più ore al giorno davanti a uno schermo e questo in aggiunta alle ore dedicate allo studio.
In precedenza anche altre istituzioni, come l’American Academy of Pediatrics e l’American Psychological Association avevano lanciato degli allarmi che andavano nella medesima direzione.

In realtà nel documento c’è però anche chiaramente scritto che “l’attuale insieme di prove indica che, sebbene i social media possano avere benefici per alcuni bambini e adolescenti, vi sono molti indicatori che i social media possono anche comportare un profondo rischio di causare un danno alla salute mentale e al benessere di bambini e adolescenti. Al momento non disponiamo ancora di prove sufficienti per determinare se i social media siano sufficientemente sicuri per bambini e adolescenti.” Affermazione che ridimensiona, e non certo di poco, l’allarmismo che è stato diffuso da chi si è concentrato (per varie motivazioni) esclusivamente sulle dichiarazioni a effetto del Sindaco.

Non è certo la prima volta che la politica sostiene di preoccuparsi per la salute mentale delle giovani generazioni e, proprio negli USA, c’è stato in passato almeno un caso che – per la sua ampiezza – ha fatto scuola e che coinvolgeva anch’esso mezzi di comunicazione di massa e salute mentale di bambini e ragazzi. Vale la pena di ricordarlo anche solo brevemente.
Esattamente 70 anni fa venne pubblicato “Seduction of the Innocent”, un libro scritto da uno psichiatra che riteneva i fumetti la causa della delinquenza giovanile e di quelli che venivano chiamati “disordini mentali”. Il libro, seguito da un enorme dibattito, allarmò talmente l’opinione pubblica da costringere l’industria del fumetto (preoccupata per i suoi profitti) a creare una “Comics Code Authority” che funzionò come un organo di autocensura di editori, autori e disegnatori: la maggior parte degli editori di fumetti prodotti negli Stati Uniti presentavano volontariamente, prima di andare in stampa, i loro prodotti a quella “Autorità” per l’approvazione. A partire dal 1954 sulle copertine dei giornali a fumetti iniziò a comparire un riquadro a forma di francobollo che segnalava tale “approvazione” a garanzia del fatto che quel fumetto poteva essere letto, senza pericolo, da bambini e ragazzi. Questa sorta di “imprimatur” ha resistito fino all’inizio del 2000 ma poi nel corso degli anni seguenti si è sostanzialmente estinto. Forse è meno noto che un sistema simile fu, per un breve periodo, applicato anche in Italia dove sulle copertine di alcuni fumetti comparve una sorta di “scudetto” all’interno del quale compariva la sigla “GM” che stava per “garanzia morale” (sic!). Questo perché anche nella penisola era arrivata una lontanissima eco del clamore prodotto dall’altra parte del mondo; il bollino nostrano durò davvero poco, comparso nel 1962 sparì, non certo per un caso, nel 1967 tra l’indifferenza generale.

Ritornando alla notizia di partenza ci sono alcune cose da sottolineare limitandosi a osservazioni dettate dal buonsenso più che da ricerche scientifiche o statistiche.
La comunicazione tramite computer è quasi sempre un’esperienza di tipo individuale, nel senso che ogni persona si relaziona a quel tipo di strumenti e alle persone con le quali interagisce basandosi sulle proprie conoscenze e sulle esperienze personali precedenti. Per cui chi ha alle spalle esperienze traumatiche o negative potrebbe (ma non è una certezza) peggiorare la sua condizione quando usa la comunicazione elettronica. E questo vale per le persone di qualsiasi età e non solo per i minorenni.

Per esempio un rischio maggiore, quando si abusa della comunicazione tramite computer, lo potrebbero correre persone che non hanno ancora, per ragioni di età o per altre cause, avuto un significativo numero di esperienze di relazioni dirette con altri esseri umani. Questo perché le relazioni interpersonali che si producono attraverso la comunicazione elettronica sono, sempre e in ogni caso, completamente diverse da quelle che avvengono nella vita reale. I problemi potrebbero sorgere soprattutto quando le relazioni virtuali si sostituiscono a quelle reali. La comunicazione mediata da computer potrebbe risultare quindi utile in alcuni casi e dannosa in altri, ma le variabili in campo sono molto numerose e questo non permette di essere scientificamente sicuri dell’esistenza di automatismi che comportino danni o benefici a livello individuale.

Infine non va mai dimenticato che, quando si tratta di trovare una scusa per mettere in atto delle politiche di controllo e repressione, vengono sempre utilizzate in modo strumentale delle argomentazioni sulle quali la sensibilità sociale è molto alta. Così come, da quando esiste Internet, viene continuamente tirato in ballo l’argomento pedofili e pedofilia quando ci sono di mezzo minorenni; una argomentazione di tipo allarmistico che ha l’enorme vantaggio di mettere d’accordo tutti e che spesso porta alla messa in atto di politiche di controllo e repressione generalizzate.

L’ultimo esempio concreto lo abbiamo avuto in Italia alla fine del 2023, quando è stato reso obbligatorio installare dei filtri censori sui cellulari che hanno schede telefoniche intestate a minorenni, un intervento di dubbia efficacia che ha però lasciato ancora fuori una parte dei “social”. In questo contesto dichiarazioni come quella del Sindaco di NYC potrebbero facilmente essere usate come un comodo pretesto per stringere ancora di più le maglie del controllo e allargare l’area della censura.