L’Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni (AGCOM) è “un’autorità amministrativa indipendente italiana di regolazione e garanzia, con sede principale a Napoli e sede secondaria operativa a Roma. Istituita con la legge Maccanico (1997), alla quale è affidato il duplice compito di assicurare la corretta concorrenza degli operatori sul mercato e di tutelare il pluralismo e le libertà fondamentali dei cittadini nel settore delle telecomunicazioni, dell’editoria, dei mezzi di comunicazione di massa e delle poste…” (vedi la relativa voce su Wikipedia).
Tra i suoi maggiori successi si ricordano: il tentativo fallito di costringere Mediaset a spostare “Rete 4” sul satellite; l’emanazione di un Regolamento sul “diritto d’autore” immediatamente fatto oggetto di un ricorso alla Corte Costituzionale; il fallimentare controllo che, in periodo elettorale, tutti i contendenti abbiano un accesso paritario agli organi di informazione.
A parziale discolpa dell’AGCOM va considerato che il suo campo di attività spesso si sovrappone a quello di altri organismi, alle pasticciate normative italiane e al fatto che il settore delle telecomunicazioni è uno di quelli in continua trasformazione.
Con premesse di questo genere è lecito preoccuparsi quando si legge la Delibera approvata nel gennaio di quest’anno: “Adozione delle linee guida finalizzate all’attuazione dell’articolo 7-bis del Decreto-Legge 30 aprile 2020, n. 28 in materia di “Sistemi di protezione dei minori dai rischi del cyberspazio”” (Delibera n.9/23/Cons). Provvedimento che andrà in vigore dal prossimo 21 novembre e che riguarda soprattutto i telefonini che hanno una SIM intestata a un minore, sui quali dovrebbe essere attivato obbligatoriamente un sistema di controllo disattivabile solo dietro richiesta dei genitori.
Per prima cosa ricordiamo che le “linee guida” sono una sorta di galateo rinforzato, nel senso che forniscono, allo stesso tempo, sia indicazioni dettagliate che di carattere più generale e che prevedono sanzioni per chiunque le violi. Proviamo a riassumere i principali contenuti del documento facendo finta di non aver letto la parola “cyberspazio” inserita nel titolo.
La Delibera descrive come i fornitori di servizi Internet (ISP) debbano prevedere un sistema di controllo al fine di proteggere i minori dal contatto con contenuti ritenuti non adatti alla loro età, tale sistema dovrebbe essere gratuito, pre-attivato e gestito dai genitori. La prima cosa preoccupante è leggere la lista dalla quale pescare i contenuti che possono essere oggetto del controllo, si tratta di un elenco di 23 voci che, in pratica, contiene tutta Internet: dalla posta elettronica ai social network, dal gioco d’azzardo alla pornografia. Accanto a queste si trovano voci che definire “ridicole” è un complimento: Contenuti ritenuti inquietanti (sic!), Pubblicità, Contenuti su nudità non pornografica, lingerie, ecc…
Gli operatori del settore hanno ridotto (bontà loro) il campo del controllo parentale a soli otto elementi: Contenuti per adulti, Gioco d’azzardo/scommesse, Armi, Violenza, Odio e discriminazione, Promozione di pratiche che possono danneggiare la salute alla luce di consolidate conoscenze mediche, Anonymizer, Sette. Ognuno di questi contenuti meriterebbe un approfondimento a parte, ma in questa sede ci limiteremo solo ad alcune considerazioni di carattere più generale.
Da quando esiste Internet si è provato in vari modi a catalogare i contenuti a disposizione degli utenti; prima che inventassero i motori di ricerca esistevano una infinità di siti che pubblicavano lunghi elenchi di collegamenti (link) ad altri siti inseriti in un qualche tipo di classificazione, più o meno dettagliata, per aiutare i primi esploratori della Rete a scoprire risorse di loro interesse. Con l’avvento dei motori di ricerca questo genere di liste, che aveva comunque molte pecche, è praticamente sparito anche se sono ancora moltissimi i siti che contengono elenchi a tema, ad esempio un sito anarchico che pubblica una lista con i link ad altri siti anarchici.
L’elenco delle “categorie” sulle quali si dovrebbe esercitare il controllo parentale presenta tutti gli svantaggi che avevano le lunghe liste della Internet degli inizi e il numero dei siti tra i quali ricercare quelli pericolosi non è certo gestibile da uno o più genitori. Per questo il provvedimento solleva i genitori da questa missione impossibile delegando agli ISP il compito di decidere cosa i minori possono o non possono vedere. A loro volta i provider dovranno però necessariamente affidarsi al lavoro di terzi che dovrebbero catalogare il contenuto di tutti i siti esistenti in Rete al posto loro. Per cui il cosiddetto “controllo parentale” è in realtà una doppia delega in bianco che firmano i genitori a società più o meno sconosciute e più o meno capaci.
Di passaggio ricordiamo che, da molto tempo, le richieste di chi accede alla Rete tramite un ISP italiano sono sottoposte a un “filtro di Stato” che impedisce (più o meno) di accedere a una lunga lista di indirizzi web compilati su scelte trasparenti come una giornata di nebbia.
Prendiamo come esempio due delle categorie indicate come “dannose”.
La categoria “Anonymizer”, un termine in lingua inglese usato in modo poco appropriato, viene così descritta: “Siti che forniscono strumenti e modalità per rendere l’attività online irrintracciabile.” In altri termini i minori non dovrebbero accedere a siti che permettono di rendere anonima (per quanto possibile) la propria attività in Rete. Per cui un* minore che volesse denunciare una violenza, una minaccia, una prevaricazione senza correre il rischio di una ritorsione non potrebbe più farlo senza doversi esporre in prima persona, con tutti i rischi che questo comporta in determinati contesti. Decisamente un passo avanti nella protezione dei minori.
Passiamo a qualcosa di più ameno, vale a dire la descrizione della categoria “Sette”: “Siti che promuovono o che offrono metodi, mezzi di istruzione o altre risorse per influire su eventi reali attraverso l’uso di incantesimi, maledizioni, poteri magici o essere soprannaturali.” Confessiamo che ignoravamo che fosse possibile influire su eventi reali tramite pratiche esoteriche o con l’aiuto di esseri “soprannaturali”. Ci dispiace davvero per i minori che dovranno fare a meno, oltre che ai siti di genere “Fantasy” (pieni di magia) anche dei siti dedicati ai super-eroi che, notoriamente, hanno (al pari delle divinità religiose) poteri “soprannaturali”.
Questi sono solo due esempi di come sia molto difficile e complicato, a volte quasi impossibile, applicare le “linee guida” previste dal provvedimento, senza dimenticare che il termine “minore” comprende sia un* bambin* di 6 anni che un* adolescente di 17.
Il documento contiene anche una lunga serie di indicazioni tecniche (non sempre chiare) che mostrano, oltre alla difficoltà di mettere in atto controlli che non sfocino in una censura generalizzata, la distanza che passa tra i desideri propagandistici dei politici e le possibili soluzioni tecniche a disposizione di chi dovrebbe applicare concretamente la “protezione dei minori dai pericoli del web”. Un tema che da anni è un cavallo di battaglia demagogico che mette insieme appassionatamente destra e sinistra.
Inutile dire che sistemi a pagamento, simili a quelli previsti dalla Delibera, per controllare l’attività dei minori su Internet esistono, in tutto il mondo, da più di 20 anni, anche prima che venissero fuori inutili e sconclusionati provvedimenti. Quello che non sappiamo è quanto siano realmente utilizzati e se funzionino. Siamo invece abbastanza sicuri che molti dei genitori ansiosi di monitorare l’attività on-line dei propri figli* dovranno ricorrere a qualche aiutino almeno due volte: la prima per imparare a far funzionare i controlli e la seconda per capire come hanno fatto a superarli.
[Pubblicato su “Umanità Nova”, anno 103, numero 34 del 19/11/23]