Quasi subito dopo l’inizio del macello e ben sapendo che poi la quantità di parole si sarebbe sprecata ho provato a dire la mia sottoponendomi a un limite esterno, per cui ho pubblicato su https://mastodon.bida.im un post di 840 caratteri che è il massimo consentito dal software:
“Sarò bre
Su israele-palestina si può scrivere molto. Chi ha colpa del conflitto? L’UK che ha gestito quelle terre per un tempo sufficiente – avendo la volontà – per tentare di prevenire il seguito. Poi, in solido, la comunità internazionale e le sue posizioni contraddittorie, volte a difendere i propri interessi. Colpevoli al 50%-50% le élite locali che, dall’inizio, non hanno riconosciuto all’altra il diritto all’esistenza. Colpevoli le favole religiose. Inutile stare col bilancino ad attribuire il giusto peso ai colpevoli o alle vittime che si sono trovate in mezzo alle guerre dal 1948 a oggi, ai trattati inutili, alle risoluzioni di carta straccia dell’ONU. Unica soluzione è che le due parti si accordino su come dividere il territorio e convivere in pace. Le altre soluzioni saranno solo l’intervallo tra un massacro e l’altro.”
Ben cosciente che un testo così breve sarebbe stato pieno di omissioni e semplificazioni e quindi anche a rischio di incomprensioni ho poi pubblicato sul settimanale anarchico “Umanità Nova” un testo più lungo che però partiva ancora da quel “toot”.
Il testo è questo:
A quasi tre mesi da quando tutto è iniziato e dopo aver riletto quei due testi oltre a solo una piccolissima parte (nessun essere umano avrebbe potuto leggere tutto) di tutto quello che è stato scritto sull’argomento mi sono convinto che forse sarebbe stato meglio precisare qualcosa che, probabilmente, non era immediatamente evidente in quello già scritto. In particolare qualcun* avrebbe potuto associarmi a chi sostiene una posizione equidistante tra le due principali parti in causa, una per intenderci del tipo “né-né”.
Ritornando con la memoria ad altri anni e altre storie mi sono ricordato del dibattito sollevato da coloro che si schierarono “né con lo Stato, né con le BR” ma soprattutto dello scarso interesse, almeno a livello dei mezzi di comunicazione ufficiali, verso coloro che invece si dichiararono “contro lo Stato e contro le BR”, una posizione che raccoglieva un’area politica numericamente piccola ma comunque esistente. Contrariamente a quello che si può pensare le due posizioni non sono affatto simili, ieri come oggi.
CONTRO HAMAS – CONTRO LO STATO ISRAELIANO – PALESTINA LIBERA
Perché contro HAMAS
Il “Movimento di resistenza islamico” conosciuto come “Hamas” è una organizzazione politico-militare fondata nel 1987 il cui obiettivo è la creazione di uno Stato islamico, cioè una società fondata su credenze religiose che vogliono le persone sottomesse alle regole di una entità sovrannaturale e allo sfruttamento di un sistema capitalista reale. Approfittando della disperazione presente da decenni tra la popolazione palestinese ha trasformato uomini, donne e bambini in marionette da mandare al martirio e da bersagli da sacrificare quando sia necessario.
Perché contro lo Stato Israeliano
Lo Stato Israeliano ha portato avanti, a partire dalla sua fondazione, una politica tesa ad aumentare, in tutti i modi, l’estensione del suo territorio. Parallelamente ha costruito nel corso degli anni una struttura sociale basata sulla discriminazione e sulla segregazione ai danni dei più deboli e indifesi, sfruttando il loro lavoro e reprimendo duramente qualsiasi protesta. Grazie agli aiuti interessati delle grandi potenze ha potuto assumere a livello internazionale un ruolo centrale in quell’area ritenuta strategicamente importante.
In mezzo, la popolazione
Come avvenuto già più volte, la popolazione palestinese si è trovata presa in mezzo all’ennesimo scontro tra gli interessi di due entità che hanno molte cose in comune, tra le quali l’assoluta mancanza di rispetto per la vita umana. Come dimostrano senza ombra di dubbio l’azione di Hamas del 7 ottobre e la fin troppo prevedibile risposta dello Stato Israeliano.
La popolazione palestinese continua a essere oggi facile vittima e quella israeliana, per la maggior parte, silenziosa complice del massacro in corso, che continua quelli che lo hanno preceduto e quelli che rischiano di seguirlo negli anni a venire.
Noi, a distanza
Il massimo che si può fare a distanza è chiedere con forza la fine dell’inutile massacro in atto, di uno spreco di vite umane (come in tutte le guerre) nel quale gli unici a perdere saranno sempre gli stessi: i più deboli, i più poveri, i più sfruttati, quelli collocati agli ultimi gradini nella scala sociale.
Possiamo solo sperare in una prossima generazione, di israeliani e palestinesi, che decida di farla davvero finita con una sottomissione che ha portato solo morte e distruzione, una generazione che trovi la forza per liberarsi, una volta per tutte, dal peso dell’eredità di una vendetta infinita. Possiamo solo sperare che la resistenza e la forza sprecate fino a oggi perseguendo politiche che non hanno portato alcun beneficio collettivo vengano indirizzate verso una lotta per la costruzione di una società finalmente libera, per tutti e tutte.
FROM THE RIVER TO THE SEA ALL PEOPLE MUST BE FREE