Visto che l’ho taggato come ossessione ci ritorno sopra; prima di leggere quello che segue consiglio di leggere quello che lo precede.
Se ci capissi qualcosa di musica definirei “Il Conte di Montecristo” un vero e proprio “standard” sul quale si sono cimentati in molti e con risultati alquanto diversi. In questo caso scrivo alcune osservazioni sulla serie tv, terminata questa settimana e ancora disponibile su “Raiplay”.
L’ho già scritto ma lo faccio di nuovo perché lo ritengo importante: il romanzo in questione è bello lungo, una delle ultime versioni italiane conta circa 1500 pagine, è anche un racconto abbastanza intricato con decine di personaggi ognuno dei quali ha un proprio ruolo, più o meno importante, nell’economia globale della storia. Mi rendo quindi benissimo conto che il compito di ridurre quella mole di pagine in meno di 8 ore di video non sia certo facile e non sarebbe un lavoro che sarei in grado di fare.
Premetto anche che non mi disturba eccessivamente quando, trasponendo un romanzo dalla scrittura a un altro mezzo (un fumetto, un film, una serie tv, un musical), gli sceneggiatori apportano delle modifiche alla trama originale. A questo aggiungo anche che non resto sconvolto nemmeno quando i cambiamenti fatti stravolgono tutto o quasi tutto, talvolta il risultato mi sembra apprezzabile ma altre volte decisamente meno o molto meno.
Nel caso in questione la serie mi sembra abbia alcuni elementi che la rendono tra le peggiori trasposizioni del libro di Dumas. Non mi riferisco alla quantità e qualità delle modifiche fatte alla trama e non mi sembra nemmeno il caso di farne un elenco completo. Ma, a mio modesto avviso alcune di queste hanno rovinato un prodotto che – almeno visivamente – era accettabile e che poteva risultare migliore.
Temo che molte delle modifiche fatte siano state dettate da motivazioni che hanno poco a che vedere con la necessità di sintetizzare una storia lunga e molto più a che vedere con le idee degli sceneggiatori o con le pretese della produzione. Di seguito ne citerò, in ordine sparso, solo alcune.
Il momento che più mi ha disturbato è stato quando Edmond lancia dalla sua carrozza il contenitore metallico che contiene la droga che usa durante tutta la storia per gestire l’ansia. Una sostanza liquida che non viene mai identificata o nominata. Nella storia originale in un paio di occasioni si capisce che il Conte fa uso di Hashish, la sostanza nell’economia della vicenda ha una scarsissima importanza (per non dire nessuna) ma serve evidentemente ad aggiungere un tocco di “fascino orientale” al protagonista. Nella versione televisiva a dieci minuti dalla fine il Conte getta via dalla carrozza la sostanza e questo fa sospettare qualcosa a proposito delle intenzioni degli sceneggiatori riguardo alle cose che hanno scelto di lasciare, di aggiungere o di modificare.
Per restare, in parte, in argomento ci sono stati dei cambiamenti in molti personaggi che fanno di contorno al Conte. Quello più evidente e anche quello del quale non sono riuscito a capire una giustificazione è stato che Haydée, che nel libro è di origine greca, nella trasposizione diventa algerina (sic!). Il personaggio viene comunque massacrato, viene cancellata la storia d’amore con il Conte e persino la sua capacità di prendere decisioni autonome, per arrivare poi all’insulto finale.
Continuando sulla falsariga, il personaggio del nubiano muto di nome Alì, viene sostituito da un servo italiano muto. E, ancora una volta non si capisce la ragione per questa sostituzione in quanto si tratta di un personaggi tra quelli più sacrificabili. Capisco che far comparire uno schiavo muto possa sembrare qualcosa di politicamene scorretto ma, e il discorso vale in generale, credo che se si voglia trasmettere anche una atmosfera oltre che solo una trama così come i personaggi vengono rivestiti con abiti d’epoca e le scenografie adeguate si debba anche completare l’ambientazione.
Una eccezione, che però conferma la regola, viene riservata ai due personaggi femminili la cui omosessualità descritta da Dumas con il pudore necessario nell’800, tenendo presente che la storia è stata pubblicata a puntate su un giornale, viene mostrata con un bacio. Oggi, salvo che per alcune persone, non ci sono molti problemi a mostrare in video donne che si scambiano tenerezze.
Altra modifica più che sospetta: a un personaggio che ha anche una discreta importanza nell’originale viene cambiato il nome e chi non ha letto o non ricorda il libro non sa che il suo nome originale è “Benedetto”, un nome comune per gli orfani ma forse ritenuto oggi poco consono alle sue cattive azioni. Certe volte si esagera davvero.
Lo sviluppo della storia è stato dilatato all’inizio, diciamo la prima metà, e compresso nella seconda. Alcune cose sono state fatte sparire perché avrebbero causato dei problemi per alcuni personaggi che avevano subito dei cambiamenti di ruolo, come il bandido Vampa, altri perché non funzionali all’insulto finale. E, puntuale come l’influenza stagionale, la fine della serie ha stravolto completamente il finale del libro.
Inutile entrare nei dettagli, non lo meritano, mi basta dire che non è certo la prima volta che avviene una offesa del genere, l’anno scorso una riduzione del “Conte di Montecristo” in due puntate aveva fatto lo stesso e anche in passato in qualche film gli sceneggiatori avevano deciso che il finale originale non andava bene.
Il mio inutile giudizio complessivo sulla serie è negativo.
Per cui, al momento, ritengo che il vecchissimo sceneggiato televisivo in bianco e nero trasmesso dalla RAI nel 1966 sia ancora tra le trasposizioni più oneste che ho visto e, per fortuna, è disponibile a gratis on-line. Ma persino la parodia musicale fatta sempre in quegli anni nella “Biblioteca di Studio Uno” che dura circa un’ora è più simpatica, per la sua visione però consiglio la presenza di una persona che abbia almeno 60 anni e una discreta conoscenza della musica italiana d’epoca.
A dimostrazione che si può fare di meglio, anche riscrivendo pesantemente la storia, si veda ammesso che la RAI lo dissequestri, “Il Conto Montecristo” (1997), dove Edmond viene infamato con l’accusa di essere un fiancheggiatore delle “Brigate Rosse” e viene rinchiuso nel carcere speciale dell’Asinara e il brigante Vampa diventa il capo di una banda di sequestratori sardi e avido lettore dei classici del Marxismo-Leninismo. La miniserie di sei episodi di circa un’ora ognuno è una visione consigliata a un pubblico diverso da quello che di solito guarda la televisione e che ha il rispetto che merita il libro di Dumas.
PS Quanto sopra potrebbe, in seguito, subire modifiche che saranno opportunamente segnalate.