Recensione non richiesta e in ritardo
Potrebbe sembrare, ma non è, il titolo di una vecchia canzonetta che invece è “Vieni, c’è una strada nel bosco” ma visto che nel testo della canzone c’è una specie di casa va bene lo stesso.
Anche se il primo spunto è arrivato da una nota vicenda di cronaca, non sarà l’ennesimo parere su quel caso ma sicuramente si noteranno facilmente numerosi punti di contatto con esso.
Si tratta invece di una R’n’R (Recensione Non Richiesta) di un film fatta con grande ritardo e quello è stato il secondo spunto. Avviso: di seguito ci saranno numerosi spoiler.
Iniziamo con un riassunto della storia raccontata.
Il film “Capitain fantastic” del 2016, soggetto e regia di Matt Ross, ha per protagonista una famiglia anomala composta da un padre e da 6 figli (4 femmine e due maschi) che vive in una zona selvaggia, anche se non troppo isolata, nello Stato di Washington negli USA. La madre dei 6 figli è ricoverata in una clinica con una diagnosi di “disturbo bipolare” e si suicida all’inizio della storia. Il padre, saputo che la famiglia di lei vuole seppellirla con un rito cristiano, decide di partire per recuperare il corpo e cremarlo per onorare le ultime volontà della moglie. Il film è la storia del viaggio dalla casa nel bosco alla villa nel New Mexico nel quale risiedono i suoceri del protagonista.
I sei figli, di età compresa tra i 6/7 e i 18/19, sono cresciuti in un ambiente selvaggio e hanno acquisito delle capacità di sopravvivenza anche superiori a quelle dei loro coetanei. Ma oltre a queste il padre ha anche provveduto alla loro educazione intellettuale insegnandogli e facendoli studiare materie “classiche”: letteratura, scienza, geografia, storia, politica, ecc… Per cui ognuno di loro, anche quelli più piccoli, è capace sia di scuoiare un animale con un coltellaccio sia leggere un classico della letteratura internazionale. L’area nella quale hanno meno capacità è quella dei rapporti sociali con le persone che non fanno parte della loro famiglia in quanto non vanno a scuola.
Durante il corso del film i figli dimostreranno le loro ottime capacità intellettuali e fisiche e le loro deficienze nei rapporti sociali. La storia termina con una “mediazione”, più o meno prevedibile conseguenza diretta degli avvenimenti che accadono: il più grande dei figli parte per la Namibia e gli altri e le altre inizieranno a frequentare una Scuola pubblica anche se continueranno a vivere lontani dalla “civiltà”.
Il film è più che guardabile, ha chiaramente un intento educativo, soprattutto per i genitori ma non solo ed è pieno di buoni sentimenti, anche politicamente corretti ma non troppo stucchevoli.
La “morale” del film non è certo originale. Ricorda in modo semplice e diretto alcune cose che dovrebbero essere scontate come (per esempio) che le persone sono degli animali sociali e che, anche se possono vivere isolati dal mondo, senza cellulari o elettricità, non possono pretendere di imporre anche ad altre persone le loro scelte. A meno di non violentare la loro personalità.
Fa capire che allevare dei figli è un problema complicato che non si impara sui libri, che i bambini e le bambine sono delle persone che vengono spesso sopravvalutate e altrettanto spesso sottovalutate dagli adulti, in primo luogo dai genitori. Uno dei problemi più grossi è proprio quello di riuscire a capire quando si sopravvalutano e quando si sottovalutano.
Fa capire che un conto è vivere in una famiglia isolata in un bosco e altro vivere in una comunità, qualunque sia il tipo di “famiglia” e il tipo di società nella quale è inserita. Fa capire che per lo sviluppo decente di una persona la creazione di rapporti interpersonali e sociali è altrettanto essenziali di quelli che si instaurano e si sviluppano con quelli che si prendono cura di loro dalla nascita e fino a quando sono in gradi di farlo da soli.
Fa capire che determinate situazioni sociali e ambientali possono causare dei danni alle persone ma che ci sono anche persone in grado di resistere alle condizioni più avverse, a sopravvivere, a migliorare, a cambiare, il che non significa necessariamente “migliorare”.
Fa capire che si possono avere delle credenze stupide, come (nel film) festeggiare il compleanno di Noam Chomsky, ma si possono affrontare anche i temi considerati più “delicati” con una semplicità rispettosa e disarmante, come quando nel corso del viaggio si prova a spiegare alla figlia più piccola che cosa è uno stupro.
Il film è di quelli destinati a suscitare discussioni, il suo finale può essere letto come la descrizione della sconfitta delle utopie degli anni ’60 o come la storia di un cambiamento di secondo tipo, ma non si può certamente negare che la trama affronta, magari in modo superficiale (dopotutto è un film…) tutta una serie di argomenti di enorme importanza sociale, politica, culturale, morale e lo fa in modo estremamente comprensibile.
Sicuramente il film presenta innumerevoli spunti di dibattito, che vanno molto oltre il suo valore come prodotto dell’industria dell’intrattenimento e che meriterebbero di essere approfonditi in quanto gli argomenti trattati non sono di quelli che durano giusto un paio di giorni nei social o sui mass-media.
Ma, a giudicare da quello che è stato detto e scritto a proposito della storia di cronaca citata all’inizio sembra proprio che il film lo abbiano visto decisamente in pochi e/o quelli che lo hanno visto lo hanno dimenticato o non lo hanno capito. Poi ci sono i politici e le politiche che però fanno parte di una categoria di brutte persone a prescindere da dove, da chi e da come siano state allevate.
Nel film ci sono un bel po’ di battute e di situazioni, alcune anche molto divertenti, che contribuiscono a rendere più leggeri anche argomenti che non lo sono. Ultimo avviso: in una scena c’è un nudo frontale integrale di un noto attore.
Pepsy
