Allo tsunami di chiacchiere prodotto sulla Rete dagli elettori dei partiti al governo, dai loro alleati all’opposizione e da tutto il resto degli amici dei politici si può rispondere in molti modi.
Quello che viene più immediato è ignorarli, visto che è impossibile non comunicare anche il silenzio sarebbe una degna risposta. Ma sarebbe una risposta decisamente elitaria, il razzismo intellettuale di chi non ha voglia di mischiarsi con degli analfabeti funzionali.
La seconda spinta potrebbe essere quella di intervenire direttamente e provare a portare degli argomenti razionali, dei ragionamenti non sconclusionati, delle considerazioni non dettate esclusivamente dall’apparato biliare o ricopiate dalla prima bufala incontrata in Rete. Ma è una fatica inutile, proprio come provare a fermare uno tsunami con un ombrello.
A volte invece viene la voglia di gettarsi nella mischia, magari facendosi forti di una ormai antica formazione alle flame wars di Usenet, su IRC o sulle Mailing-List quando ancora il web non esisteva. Ma anche questo può essere tempo perso, che rischia di regalare solo qualche raro momento di spasso e poco di più.
Resta sempre in piedi l’opzione di abbandonare del tutto certi “luoghi virtuali”, una sorta di eremitaggio elettronico ma, per quanto uno apprezzi la solitudine, significherebbe ammettere definitivamente la sconfitta. Si potrebbe, infine, frequentare esclusivamente le comunità che più sono vicine al proprio sentire ma, limitandosi a queste, si cadrebbe direttamente nella sindrome da riserva indiana.
Una sana reazione allo stato delle cose potrebbe essere quella di reagire allo tsunami non individualmente ma organizzandosi. Il difficile è capire in che modo e, soprattutto, se ci sono abbastanza mani e intelligenze disposte a mettersi in gioco.