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Genova 20 anni e dopo (2)

Siamo pericolosamente vicini al ventiversario di quel fine settimana del luglio 2001 quando, a Genova, avvennero cose difficili da dimenticare.
A ricordare quello che accadde tra il 19 e il 21 luglio del 2001 ci stanno già pensando in molti e altri sicuramente si aggiungeranno nei giorni che seguono.
Qui propongo qualcosa di diverso, perché i “Fatti del G8 di Genova” non terminano il 21 o il 22 luglio del 2001, come sarebbe troppo comodo far credere, ma continuano anche negli anni successivi… per molti anni.
Ho raccolto alcune delle cose scritte in quegli anni e comparse tutte sul settimanale anarchico “Umanità Nova”. Articoli datati e probabilmente con qualche errore, ma che forse potrebbero servire a raccontare a chi non c’era e a ricordare per chi ha dimenticato.

Qui i primi articoli, di seguito altri quattro, appena ho voglia e tempo ne seguiranno altri, in alcuni casi sono stati cambiati i titoli originali.


Umanità Nova, n.6 del 20 febbraio 2005

G8: i processi. Dimenticare Genova?

Non sono ancora passati quattro anni dalle giornate del luglio 2001 a Genova ma, sotto certi aspetti, sembra che ne siano passati molti di più. La mobilitazione che si era sviluppata nei mesi immediatamente successivi era proseguita per un anno intero, fino ad arrivare alle manifestazioni del luglio 2002 che testimoniavano un interesse ancora vivo per quanto era accaduto durante le giornate di protesta contro il G8.

Oggi, invece, molti segnali provenienti dalla città ligure e non solo, fanno sembrare arenata quella forte spinta. E la cosa è tanto più preoccupante in quanto, proprio negli ultimi mesi, si sono aperti alcuni procedimenti giudiziari che prendono le mosse proprio dai fatti di Genova.

I filoni processuali principali vedono coinvolte poco più di un centinaio di persone, in veste di imputati, di vittime o di testimoni di quanto accaduto. E’ chiaramente impossibile, nello spazio a disposizione, dare un quadro esauriente di tutto il complesso aspetto legale dei singoli processi, ci limitiamo quindi a qualche informazione essenziale e rimandiamo chi vuole approfondire l’argomento alle indicazioni alla fine del testo.

Il 2 marzo dello scorso anno è iniziato il procedimento penale contro 26 persone (ma uno verrà processato a parte) accusate di “devastazione e saccheggio” e fin dall’inizio si è capito che non sarebbe stato un processo facile.
Le prime udienze si sono incentrate principalmente sulle prove portate dall’accusa, vale a dire su foto e video che dovrebbero dimostrare la colpevolezza degli imputati. La difesa ha controbattuto chiedendo di prendere in considerazione esclusivamente materiali integrali e non i montaggi video fatti dalla polizia municipale. Come dovrebbe essere ovvio le fotografie si possono “tagliare” ed i filmati si possono montare in diversi modi al fine di avvalorare una tesi piuttosto che un’altra e, per queste ragioni, la difesa ha chiesto anche di entrare in possesso di una copia delle immagini originali utilizzate dall’accusa.

Così, in attesa che la difesa studi il materiale, la Corte ha deciso di procedere ad interrogare i testimoni che non hanno bisogno di supporti visivi per la loro deposizione. Prima della sospensione estiva la difesa, dopo aver finito di visionare tutto il materiale, ha presentato alcune memorie nelle quali si contesta l’uso che viene fatto delle prove.
Il processo è ripreso a settembre 2004 ed è andato avanti, con udienze settimanali, fino al 21 dicembre, per riprendere poi l’11 gennaio di quest’anno.

Vale la pena di ricordare che, oltre a questi 26, ci sono anche altre decine di indagati per altri episodi relativi agli scontri e, solo pochi giorni or sono, è comparsa sulla stampa la notizia di tre nuove denunce.

Il secondo strascico giudiziario del luglio genovese riguarda l’assalto in puro stile cileno alla Scuola Diaz, quando vennero pestati a sangue (61) ed arrestati (93) compagni e compagne che stavano dormendo in quei locali.
Il 13 dicembre 2004, dopo una ventina di udienze, si è conclusa la fase preliminare di questo procedimento che vede sul banco degli imputati 28 agenti di polizia tra quelli che parteciparono alla mattanza, accusati di falso e calunnia, lesioni personali, furto, danneggiamento e perquisizione illegale.

Nonostante la pressione politica esercitata a favore dei poliziotti, i giudici li hanno rinviati tutti a giudizio, e forse non potevano fare altrimenti, vista la mole di prove: tutti ricorderanno le molotov portate in loco dagli agenti ed il presunto ferimento di uno degli incursori.
Il processo vero e proprio dovrebbe iniziare il 6 aprile 2005.

Un terzo procedimento giudiziario riguarda le violenze subite dagli arrestati durante le manifestazioni all’interno delle caserme, il nome di Bolzaneto è ancora tristemente scolpito nella memoria di molti.
Questo processo si è aperto il 27 gennaio scorso con l’udienza preliminare nella quale l’accusa ha chiesto il rinvio a giudizio per 47 persone (tra agenti e dirigenti di ps e di polizia penitenziaria, carabinieri, medici e infermieri) per una serie di reati che vanno dalla violenza privata al falso ideologico.
Anche in questo caso la pressione politica per salvaguardare le forze del disordine è stata notevole e il processo ha rischiato seriamente di non partire nemmeno.

A questi tre processi bisogna aggiungere anche quello contro la “Rete del Sud Ribelle” apertosi il 2 dicembre scorso a Cosenza e che vede imputati 13 persone accusate addirittura di “Cospirazione politica mediante associazione”, un tipico reato di opinione, che dovrebbe chiudere il cerchio riguardando i “cervelli” dei disordini del luglio 2001. Una buona notizia arriva subito dopo la prima udienza in quanto è stato revocato (dopo un anno!) l’obbligo di firma che ancora pesava su 3 degli accusati.
La prossima udienza è fissata per il prossimo 23 febbraio.

Quattro processi non sono pochi e meriterebbero, da parte del movimento di opposizione, molta più attenzione di quanto ne abbiano avuta fino a questo momento. Infatti, come spesso accade, dopo la mobilitazione “a caldo” di tutte le componenti del movimento scese in piazza in quei giorni a Genova, la tensione è scemata e ad interessarsi dell’andamento dei processi non ci sono che pochissime persone. Questa fase di stanca è segnalata anche da uno dei gruppi che si occupa del supporto legale, che si trova in condizioni economiche precarie e che ha lanciato un appello alla sottoscrizione per far fronte alle inevitabili spese che procedimenti giudiziari del genere comportano.

Il rischio è che col passare del tempo questi processi spariscano definitivamente dall’orizzonte degli interessi dei compagni e che la storia di quello che è accaduto nel luglio 2001 a Genova cada definitivamente nel dimenticatoio o venga riscritta esclusivamente nelle aule dei tribunali ad uso e consumo del potere.

Sappiamo, come anarchici, che un tribunale non è certo il luogo dove si possa attendere una “giustizia” ma sappiamo anche che la mobilitazione in sostegno agli accusati e la controinformazione sulle violenze esercitate dagli apparati dello stato a Genova dovrebbe essere quasi un “obbligo” per un movimento che invece sembra aver perso parte della sua vitalità proprio quando ce ne sarebbe maggiormente bisogno.

Pepsy

Per non dimenticare, per attivarsi e per saperne di più ecco alcuni indirizzi dei siti web che stanno informando in modo continuo sui processi:

http://italy.indymedia.org/
Sicuramente il punto di partenza obbligato, soprattutto (ma non solo) perché alcuni degli attivisti di Indymedia stanno partecipando direttamente al supporto legale. Andando nelle sezioni degli IMC locali “Genova” e “Calabria” si trovano informazioni aggiornate sulle udienze.

https://supportolegale.org/
Qui si trovano le informazioni per chi vuole contribuire alle spese o partecipare al lavoro di supporto.

http://www.sciroccorosso.org/
Informazioni ed analisi sul processo di Cosenza.

http://www.veritagiustizia.it/
Sito del “Comitato verità e giustizia per Genova”.


Umanità Nova, n.13 del 17 aprile 2005

G8 di Genova: continuano i processi. Tra silenzio e indifferenza

Proseguono, ognuno per la propria strada, le appendici giudiziarie del luglio genovese che, come già scritto su queste pagine (vedi “Umanità Nova” n.6, 2005), solo in poche occasioni riescono a superare la barriera di disinteresse dei mass-media e di parte del movimento di opposizione.

Il processo contro i “black bloc” è quello in fase più avanzata anche se nelle scorse settimane ha avuto un momento di pausa a causa di un episodio che la dice lunga sull’atmosfera nella quale si stanno svolgendo le udienze.
Infatti, il 16 marzo scorso, in seguito a una denuncia per diffamazione, sono stati sequestrati due computer portatili usati dai consulenti del gruppo di supporto legale che collaborano con i difensori dei 25 imputati di devastazione e saccheggio. Gli avvocati della difesa hanno chiesto a questo punto un rinvio delle udienze in quanto il sequestro danneggiava il loro lavoro, istanza che è stato accettata dalla Corte.
Il processo è ripreso quindi il 5 aprile e prosegue con la sfilata dei testi, per la maggior parte agenti delle forze del disordine, chiamati a riconoscere gli imputati. Nel corso delle udienze è stato rivelato anche un segreto di pulcinella, vale a dire che la prassi della Digos prevede la compilazione di elenchi dei partecipanti alle assemblee “non autorizzate”.
Fino ad oggi i computer sequestrati non sono stati ancora restituiti e si è diffusa la voce che siano arrivati a Torino, da dove era partita la denuncia per diffamazione, danneggiati. Quando si dice il caso!

Come previsto è regolarmente iniziato il 6 aprile il processo ai 28 agenti che la notte del 21 luglio 2001 entrarono – ospiti sgraditi – nella scuola Diaz e nel mediacenter. Questo processo avrà vita difficile in quanto è stato già rinviato al 19 maggio, alla vigilia di una probabile sospensione estiva ed è noto che alla ripresa autunnale dovrà cambiare (per ragioni che non riguardano il processo stesso) il collegio giudicante e quindi molto probabilmente ripartirà da capo. Il rischio concreto è che finisca tutto in prescrizione.
Da segnalare che, alla vigilia della prima udienza, “Amnesty International” ha diffuso un comunicato nel quale chiede “misure più efficaci” contro la “frequente impunità” delle forze dell’ordine, sottolineando il fatto che la maggior parte degli agenti coinvolti nel raid teppistico erano mascherati e non portavano segni identificativi.

Giusto per non dimenticare ricordiamo che alla fine dell’assalto in stile squadroni della morte alla Scuola Diaz, furono fermate 92 persone: 58 uomini e 34 donne, la più giovane aveva 19 e la più anziana 64 anni.
Solo 16 di loro (evidentemente per mero caso) restarono illese, la maggior parte infatti fu colpita a manganellate e calci, alcuni furono presi a seggiolate in testa o trascinati per le scale. Quelli più fortunati riportarono solo contusioni più o meno lievi, quelli meno furono letteralmente massacrati: traumi cranici, fratture e lesioni in diverse parte del corpo.

Continuano anche le udienze preliminari del processo per le torture inflitte a Bolzaneto, un episodio strettamente collegato, anche se non dal punto di vista giudiziario, con quello precedente non solo perché la quasi totalità dei fermati alla Diaz finì poi nella tristemente nota caserma, ma anche per il cumulo di violenza e le bugie che i responsabili (di ogni ordine e grado) hanno raccontato per tentare di giustificare i loro abusi. Non è ancora chiaro quanti tra i fermati nei giorni del G8 furono portati a Bolzaneto, quello che è sicuro è che il trattamento loro riservato fu indegno, ci sono più di 160 denunce per i maltrattamenti fisici e psicologici subiti che vanno dalle umiliazioni corporali, alle mutilazioni (taglio di un codino, rimozione violenta di un piercing) alle “semplici” botte con manganelli o senza.

Infine, il processo contro la rete del “Sud Ribelle” sta andando avanti a Cosenza dopo la sceneggiata televisiva di fine febbraio quando durante una discussa trasmissione giornalistica sono state mandate in onda delle registrazioni di intercettazioni telefoniche di alcuni imputati (Vedi “Umanità Nova” n.8, 2005) con il chiaro intento di sostenere le accuse rivoltegli. E nell’udienza del 30 marzo il Pubblico Ministero ha appunto depositato le “prove” contro gli accusati che consistono principalmente in una serie di intercettazioni e filmati, tra i quali anche alcune di quelle già passate sul piccolo schermo. La difesa ha chiesto un rinvio, accolto, e il processo è stato aggiornato al 13 aprile prossimo.

Quelle sopra sono solo brevi note, tratte principalmente dai siti web già citati nel precedente articolo, ai quali rimandiamo per maggiori informazioni.

Nonostante la frammentazione in varie sedi processuali, resta fondamentale mantenere alta l’attenzione su quanto accade in quelle aule e ancora di più impegnarsi nella solidarietà attiva ai compagni inquisiti e nel sostegno, morale e materiale, ai gruppi che seguono i processi.

Pepsy


Umanità Nova, n.24 del 3 luglio 2005

Processati a Genova, promossi a Roma

Nell’ultimo mese, tra un arresto e l’altro, sono andati avanti anche i processi legati ai fatti del G8 di Genova e dei quali “Umanità Nova” si è già occupata in diverse occasioni.

Il gruppo di supporto legale ha diffuso un comunicato nel quale anticipa che sarebbero in arrivo altre denunce. Si parla di quasi duecento avvisi di reato con le solite imputazioni legate ai cortei e di una cinquantina per devastazione e saccheggio. Questo fa pensare che la stretta repressiva di questi ultimi tempi non sia una semplice casualità, ma si inserisca in un processo più ampio con chiare caratteristiche politiche, come dimostra la sorte del filone giudiziario che vede le forze del disordine sul banco degli imputati.

Proprio da quest’ultimo arrivano infatti due importanti novità, la prima è una parziale archiviazione del procedimento a carico di 12 degli assaltatori della Scuola Diaz e la seconda sono le promozioni di due funzionari ben noti alle cronache del luglio genovese. Vincenzo Canterini, ex comandante del reparto mobile di Roma, uno dei capi del commando che massacrò 93 persone nella Scuola Diaz e Alessandro Perugini, l’ex numero due della Digos di Genova, noto per il calcione sferrato ad un manifestante e rinviato a giudizio con altri 44 complici per le responsabilità avute nella gestione della caserma di Bolzaneto, sono stati entrambi promossi ad incarichi superiori.

Qualcuno ha letto in questo provvedimento una sorta di rigraziamento per il lavoro ben svolto (dal loro punto di vista) a Genova, ma l’accaduto potrebbe essere anche solo una dimostrazione della protervia del potere, visto che difficilmente i procedimenti giudiziari a carico di questi “eroi” porteranno a qualche risultato concreto.

Intanto il processo ai compagni va avanti e la trascrizione delle varie udienze viene puntualmente pubblicata su internet (www.supportolegale.org) dal gruppo di supporto legale. Proseguono le deposizioni di vari personaggi, soprattutto poliziotti, ancora a proposito delle identificazioni dei manifestanti attraverso i materiali video-fotografici usati dall’accusa.
Alcune sedute sono davvero interessanti, come per esempio la 53ma nella quale viene sentito un esperto della polizia a proposito dei sistemi in uso per riconoscere le persone attraverso l’analisi delle immagini; leggendola ci si può fare una precisa idea dei metodi adoperati dalla repressione nel XXI secolo.
Il processo continuerà probabilmente fino al 19 luglio quando ci sarà la pausa estiva. E’ stato invece rinviato al 17 novembre il processo contro cinque poliziotti (tra i quali il Perugini citato sopra) per diversi reati commessi durante le giornate di Genova.

Sul lato della cronaca va segnalato che il Ministero degli Interni è stato condannato al pagamento di un risarcimento di 28 mila euro a beneficio di due donne che il 20 luglio 2001 furono picchiate da un gruppo di agenti.

Procede invece a singhiozzo il processo di Cosenza, una udienza ad aprile ed una praticamente inutile a giugno, nella quale è stato rinviato tutto al 22 settembre prossimo. Da notare la cialtroneria informatica scoperta dagli avvocati difensori che, mentre visionavano l’ultimo materiale sequestrato dall’accusa e consegnato loro dalla segreteria del tribunale, hanno trovato al suo interno una copia dell’hard disk del computer dello stesso PM.

Nulla di fatto anche per il processo per i fatti di Napoli del marzo 2001 che, iniziato il primo giugno, è stato subito rinviato al 14 ottobre. Continua invece ma, guarda caso, sottotono il processo ai poliziotti che si resero protagonisti, nella Caserma Raniero, di abusi nei confronti dei compagni fermati durante la manifestazione di Napoli.

L’aridità delle cronache giudiziarie non favorisce certo lo sviluppo della solidarietà e della mobilitazione ma, gli ultimi avvenimenti e la continuità dell’attenzione repressiva sui movimenti antiistituzionali, necessitano di risposte di tipo complessivo e maggiormente diffuso.
Risposte che siano in grado di coinvolgere e di rompere il silenzio assordante che continua a pesare su tutto quello che avviene e non solo nelle aule dei tribunali.

Pepsy


Umanità Nova, n.32 del 9 ottobre 2005

Genova, 20 luglio 2001. Delitto fascista o delitto di stato?

Il 20 settembre scorso è ripreso a Genova il procedimento giudiziario contro 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio avvenuti durante le manifestazioni contro il G8 del luglio 2001. In queste prime udienze dopo la pausa estiva sono proseguite le testimonianze degli esponenti delle forze dell’ordine coinvolte nelle operazioni di repressione.

Protagonista del giorno è stato sicuramente Mario Placanica, l’assassino di Carlo Giuliani, la cui testimonianza era attesa da tempo.
Ovviamente il previsto arrivo ha solleticato l’interesse dei mass-media, solitamente distratti a proposito di quanto accade in questo ed in altri processi. Attesa rimasta delusa in quanto il testimone, nonostante quanto avesse in precedenza dichiarato il suo avvocato, si è avvalso della facoltà di non rispondere e, fatto atto di presenza, ha abbandonato la scomoda sedia.

Voci maligne hanno suggerito che la scena muta recitata dall’ex carabiniere potrebbe avere qualcosa a che fare con il suo prossimo futuro: solo qualche giorno prima dell’udienza infatti, un giornale calabrese aveva dato notizia della sua presenza ad una iniziativa politica di Alleanza Nazionale, svoltasi alla presenza di Gasparri. E qualche giorno dopo, su un altro giornale, in una intervista la notizia è diventata ufficiale, con tanto di dichiarazione delle idee politiche (“sempre stato di destra”) professate.
Una chiara scelta di campo che non meraviglia più di tanto, come non sorprenderebbe l’accettazione della sua candidatura tra le file dei post-fascisti. Sarebbe solo una ulteriore conferma del ruolo svolto da Gianfranco Fini durante le giornate di Genova.

Tornando al processo, nell’udienza precedente il maggiore dei paracadutisti Cappello, interrogato in quanto presente in piazza Alimonda durante gli scontri, ha dichiarato di aver dato lui stesso a Placanica l’ordine di montare sul gippone in quanto non lo riteneva in condizioni di reggere la situazione che si era venuta a creare. Per il resto la testimonianza dell’ufficiale ha brillato dei soliti di “non ricordo” riguardo a quanto accaduto prima e dopo l’omicidio del compagno.

Ancora in queste udienze il tema centrale è stato l’identificazione dei presunti devastatori e saccheggiatori e, stando a quello che si legge, il meccanismo sul quale si sono basati i riconoscimenti è sempre lo stesso: partendo da una foto o da un filmato si è cercato qualche funzionario di polizia in grado di dare un nome e cognome ad una persona (magari ripresa di spalle e mascherata) mai fermata ed identificata sul posto. Da cui il rimpallo tra i vari funzionari della Digos a proposito di come e da chi sia stato riconosciuto tizio o caio.

A settembre è ripreso a Cosenza anche il processo al “Sud Ribelle”, nella prima udienza gli imputati non si sono presentati in aula ed hanno partecipato ad una assemblea di movimento.

Per finire una buona ed una cattiva notizia: durante l’estate si è costituito a Cosenza la Segreteria Legale che, nata all’interno del progetto di Supporto Legale che già lavora a Genova, si è data il compito di seguire da vicino il processo calabrese. La cattiva è che sono state ufficialmente confermate (ma qualcuno forse ne dubitava?) le promozioni-premio di Vincenzo Canterini e di Alessandro Perugini due dei più noti protagonisti della mattanza di Genova.

Nei prossimi mesi riprenderanno anche gli altri procedimenti giudiziari legati ai fatti del luglio di quattro anni fa, una storia che andrebbe liberata dai verbali dei tribunali.

Pepsy


Articoli precedenti:
Genova 20 anni e dopo (1)

Genova 20 anni e dopo (1)

Siamo pericolosamente vicini al ventiversario di quel fine settimana del luglio 2001 quando, a Genova, avvennero cose difficili da dimenticare.
A ricordare quello che accadde tra il 19 e il 21 luglio del 2001 ci stanno già pensando in molti e altri sicuramente si aggiungeranno nei giorni che seguono.
Qui propongo qualcosa di diverso, perché i “Fatti del G8 di Genova” non terminano il 21 o il 22 luglio del 2001, come sarebbe troppo comodo far credere, ma continuano anche negli anni successivi… per molti anni.
Ho raccolto alcune delle cose scritte in quegli anni e comparse tutte sul settimanale anarchico “Umanità Nova”. Articoli datati e probabilmente con qualche errore, ma che forse potrebbero servire a raccontare a chi non c’era e a ricordare per chi ha dimenticato.

Di seguito i primi tre, appena ho voglia e tempo ne seguiranno altri, in alcuni casi sono stati cambiati i titoli originali.


Da “Umanità Nova” n.28 del 5 agosto 2001

Scheda: il “Black Bloc”

Numerosi sono stati, su tutti i media, i giornalisti che si sono esercitati a fare disinformazione a proposito del “Black Bloc”, diventato per tutti il comodo capro espiatorio di tutto quanto accaduto a Genova.

Il “Blocco Nero” non è una organizzazione e forse nemmeno una “rete” come ha scritto qualcuno ma piuttosto una “pratica” che si è diffusa negli ultimi anni tra gruppi di militanti rivoluzionari di varie regioni dell’Europa settentrionale e dell’America del Nord.

Alcuni hanno anche collegato (ed a volte confuso) il “Black Bloc” allo “schwartzeblock”, da cui prenderebbe il nome e l’abitudine di vestire di nero. Quest’ultimo è un’area di militanti tedeschi che ha caratterizzato, a partire dalla metà degli anni ’80, con le sue azioni i punti più alti dello scontro sociale in Germania: ad Amburgo (1986) per evitare lo sgombero di un complesso di case occupate, a Berlino (1987) durante la visita di Reagan e sempre nella stessa città in occasione di una riunione della Banca Mondiale (1988). Il “Blocco Nero” tedesco nasce all’interno del più vasto movimento degli “autonomen” che, fin dal nome, si ricollegano ad alcune teorie e pratiche di parte della “Autonomia Operaia” italiana degli anni ’70.

Il “Black Bloc” invece, seppure raccogliendo l’eredità dei compagni tedeschi, è di nascita molto più recente. Prima della sua apparizione in grande stile alla battaglia di Seattle (novembre 1999) si erano visti gruppi di militanti in nero partecipare ad alcune manifestazioni svoltesi durante la Guerra del Golfo e contro il WTO. La loro vera e propria prima uscita risale all’aprile del 1999, in occasione delle manifestazioni, svoltesi in diverse città statunitensi, a favore della liberazione di Mumia Abu Jamal.

Dopo i fatti di Seattle, non c’è stata alcuna manifestazione contro la globalizzazione in Nord America dove non sia comparso il “Black Bloc”: da Washington a Montreal, da Quebec City a Baltimora. Nel corso delle manifestazioni “antiglobal” dello scorso anno in Europa (Italia esclusa) spesso si sono visti gruppi di militanti vestiti di nero partecipare agli scontri.

Come ricordato a più riprese in tutti i documenti diffusi, la pratica che contraddistingue il “Blocco Nero” è quella di attacco diretto alle proprietà delle imprese capitalistiche nazionali e multinazionali, mentre non rientra nella loro prassi l’aggressione a persone o proprietà individuali, salvo che in caso di autodifesa.

A Genova, grazie anche alla disinformazione di tutti i media, il tentativo di criminalizzazione del “Blocco Nero” e degli anarchici ai quali sono stati attribuiti tutti gli incidenti ed i danneggiamenti, è servito in parte anche da comodo paravento per distrarre l’attenzione dal fallimento completo delle pratiche di patteggiamento e di compromesso con le istituzioni portate avanti da settori del movimento.

Pepsy


Da “Umanità Nova” n.26 del 21 luglio 2002

Letture: Genova in bianco e nero

In questi giorni, anniversario delle giornate di Genova del luglio 2001, viene diffuso l’ultimo di una lunga serie di prodotti editoriali in ricordo di avvenimenti ancora ben vivi nella memoria di molti.

“Genova. Il libro bianco”, distribuito insieme a “L’Unità”, “Liberazione”, “il manifesto” e “Carta”, periodici che già, nei mesi passati, hanno veicolato altri materiali sullo stesso argomento, è composto da un fascicolo curato dal Gruppo Comunicazione del Milano Social Forum e da un CD-Rom curato dal Coordinamento dei Collettivi di Pisa. La firma dell’iniziativa è quella del “Genoa Social Forum” (GSF).
Il lavoro è corposo: il fascicolo di 225 pagine, raccoglie circa 500 foto, vari articoli e testimonianze, il CD che riproduce in buona parte il suo contenuto, aggiunge altre centinaia di foto, filmati e documenti vari. Si tratta del tentativo di sistematizzare e di storicizzare avvenimenti che hanno visto protagoniste centinaia di migliaia di persone e che hanno segnato in Italia, dal punto di vista della partecipazione numerica, il punto più alto della protesta del cosiddetto movimento no-global.
Nel “libro bianco” viene raccontata nei particolari la cronaca del 19, 20 e 21 luglio e dato conto dei principali avvenimenti precedenti e successivi, un ampio spazio è lasciato alle testimonianze personali dei partecipanti e una rassegna stampa riprende stralci tratti dalle migliaia di articoli pubblicati sui principali quotidiani in quel periodo.

Il grosso limite di questa operazione è però quello di pretendere, come specificato fin dalla premessa, di presentare “la verità dei fatti” (V. Agnoletto, pag.8) su Genova. E quale sia questa “verità” è chiaramente scritto e ribadito un numero infinito di volte, sia nel fascicolo che nel CD:

1. la “giusta linea” politica contro la globalizzazione si è espressa, prima durante e dopo, le manifestazioni di Genova esclusivamente attraverso l’azione del GSF, unico rappresentante del “movimento”;

2. il massacro dei manifestanti in piazza è stato causato, in misura uguale dai “Black Bloc” (BB) – pieni di “infiltrati” – e dalle forze di polizia.

Entrambi le tesi non sono una novità, sia perché la necessità di indicare la “linea” ed identificare un “nemico” è stata sempre storicamente una prassi comune a tutte le organizzazioni autoritarie, comprese quelle che si arrogano il diritto di parlare in nome degli sfruttati, sia perché questo genere di mistificazione, iniziato a manifestarsi già prima di Genova, aveva già trovato ripetute occasioni per riproporsi.

In particolare, due tra i video più diffusi nei mesi scorsi (“Genova per noi” e “Un mondo diverso è possibile”) avevano già raccontato la storia di quei giorni sottolineando a più riprese il ruolo dei provocatori violenti, individuati sempre e solo nei famigerati BB e, a fare da contraltare, l’estrema positività di tutto quanto proveniente dal GSF. Lo stesso discorso vale per diversi materiali scritti circolati nell’ultimo anno.

Nelle pagine del “libro bianco” il ritornello che, riproposto in tutte le sue varianti, si sente per tutte le pagine è sempre lo stesso e parte dall’affermazione che a Genova ha agito un “gruppo violento che nulla aveva da spartire con il movimento” (pag.7):

“compaiono alcuni ragazzi vestiti di nero (…) si stanno organizzando per la battaglia (…) nessuno interviene” (pag.60); “uno ci dice che i black bloc hanno le molotov e che senz’altro le tireranno contro le persone del sit-in” (pag.61); “i black bloc percorrono indisturbati corso Torino (…) nessuno interviene” (pag.62-3); “poi la banda risale la scalinata che porta a via Nizza (…) nessuno interviene” (pag.63); “non possiamo esimerci dal fare alcune considerazioni riguardo alla libertà di azione che hanno avuto i black bloc” (pag.64); “i black bloc stanno mettendo a ferro e fuoco la città da ormai tre ore. Indisturbati” (pag.65); “i black fuggono per primi (…) la polizia attacca. Non i black” (pag.67). E qui ci fermiamo con le citazioni, ma solo per mancanza di spazio.

Insomma Bianco da una parte e Nero dall’altra, come nella migliore tradizione manichea. E fin qui nulla di male, solo che tale legittima tesi viene difesa in modo talmente cialtronesco da offendere l’intelligenza di chiunque.

Si veda, ad esempio, la delicata questione “infiltrati”: a più riprese è stato sostenuto (fin dal luglio 2001) che esistono “numerose” prove documentate che collegherebbero i BB alla polizia, ma le uniche foto che vengono pubblicate sono talmente ridicole da rendere superfluo qualsiasi tentativo di commento. Controllare per credere a pag.9 ed a pag.118-9.
Ancora a proposito di “infiltrati”, nell’articolo “Ombre Nere su Genova” (pagg.118-121), si legge: “Del resto nel variegato mondo del black bloc, oltre agli anarchici, ai casseurs, ci sono i naziskin della Germania orientale, le teste rasate dei Blood and Honour, SSS, gruppo 88.” (pag.118) e, a sostegno di questa brillante affermazione, viene ripreso un documento “riservato” della Questura di Genova dove si legge qualcosa di un po’ diverso: “In particolare è stato segnalato che alcuni membri torinesi di Forza Nuova costituirebbero un nucleo di 25-30 militanti fidati da infiltrare tra i gruppi delle tute bianche” (pag.120).

Inutile poi cercare nelle duecento e passa pagine del “libro bianco” e nelle centinaia di MegaBytes del CD la segnalazione di qualche esperienza o l’espressione di qualche posizione politica che sia esterna al GSF ed alle sue componenti o anche solo tiepidamente critica verso le loro scelte.

In definitiva la pretesa di raccontare la “verità” sugli avvenimenti del luglio 2001 si riduce ad una comoda autoassoluzione del GSF ed in pesanti accuse verso i BB, tutto il resto semplicemente non è documentato e quindi non esiste. Non esiste nelle migliaia di foto pubblicate, nelle centinaia di articoli citati, nelle decine di testimonianze riportate.

Un modo veramente strano di “fare” la storia.

Pepsy


Da “Umanità Nova” n.7 del 29 febbraio 2004

Genova 2001. La resa dei conti?

Il prossimo 2 marzo si aprirà il processo contro 26 persone accusate di reati che sarebbero stati commessi in occasione delle manifestazioni contro il G8 del 2001 a Genova. Gli imputati, alcuni dei quali già hanno già subito il carcere ed altre misure restrittive della libertà personale, sarebbero colpevoli – tra gli altri – anche dei reati di saccheggio e devastazione per i quali il Codice Penale fascista ancora vigente prevede pene pesanti [1].

Nei giorni scorsi è arrivata anche la decisione del Comune di Genova di costituirsi parte civile contro i colpevoli dei danni causati in quei giorni, decisione già presa (ma era scontato) dai Ministeri dell’Interno, della Difesa e della Giustizia e dalla presidenza del consiglio. Il fatto ha provocato non pochi problemi nella Giunta di centro-sinistra che governa la città con l’appoggio di Rifondazione, a causa del voto favorevole dei due assessori del Prc e della successiva richiesta di dimissioni arrivata dai vertici del partito nei loro confronti. Da giorni sui quotidiani, locali e nazionali, si continua a scrivere di una possibile crisi della Giunta.

Da parte sua il Sindaco ha sostenuto che quello del Comune è un “atto dovuto” e che non riguarda i “danni morali”, ma solo quelli “materiali” [2].

Da quei giorni di luglio i fatti di Genova continuano ad essere minimizzati o esagerati a seconda del momento e della convenienza.

Per esempio, il medesimo Sindaco, qualche settimana dopo i fatti, affermava:

“Per la nostra città, dicevo all’inizio, i danni di tipo materiale sono parecchio limitati e credo che, se fossero stati solo quelli, probabilmente anche questa indagine non sarebbe stata deliberata. I danni che noi abbiamo subito penso siano danni non solo nostri ma di tutta la collettività nazionale, sono danni morali, per le violenze che abbiamo visto, per la morte di persone, (…)” [3]

E, ancora due mesi dopo, questa dichiarazione tesa a minimizzare l’accaduto veniva mantenuta, se non addirittura rinforzata: “Per fare un esempio: le trecento auto distrutte sono ventisette.” [4]

Il quadro che veniva dato era insomma quello di danni “materiali” tutto sommato limitati, ma di grossi danni “morali”, esattamente il contrario di quanto invece sostenuto oggi.

Ma non è certo la maggiore o minore entità reale dei danni a portare in giudizio poco più di due dozzine di persone che, se fosse vero quanto affermato dai rappresentanti delle istituzioni e cioè che i devastatori-saccheggiatori erano “una folla di circa 10.000 violenti” [5], sarebbero solo dei comodi capri espiatori.

D’altra parte un così ridotto numero di “colpevoli” sembrerebbe confermare le tesi sostenute, all’epoca, dai servizi:

“Le relazioni riservate del SISDE del 19 e 20 luglio hanno dato conto di due distinte riunioni degli esponenti che si richiamano ai black blockers (…). I servizi informano che circa 300/500 militanti si sarebbero concentrati, alle ore 12 in piazza Paolo Da Novi.” [6]

Ma non è finita qui, perché quasi contemporaneamente alla notizia della costituzione di parte civile del Comune di Genova, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per 13 dei 20 indagati dalla magistratura di Cosenza nell’inchiesta sul “Sud Ribelle”. Anche in questo caso le accuse sono pesanti: “cospirazione politica a mezzo di associazione finalizzata ad attentare agli organi costituzionali in occasione delle giornate del G8, nel luglio 2001 a Genova”.
L’inchiesta, che persegue esclusivamente reati d’opinione – “A nessuno dei predetti viene contestato il concorso materiale in episodi di saccheggio e devastazione” [7] – sembra fatta apposta per colpire quella parte di movimento che non è stato possibile coinvolgere in altro modo nell’inchiesta genovese.

Così, da una parte si processano i presunti devastatori “materiali” e dall’altra si vorrebbero giudicare le “idee” che starebbero dietro agli incidenti, quadrando così il cerchio.

Dopo l’assoluzione dell’assassino di Carlo Giuliani e il balletto di responsabilità sui massacri operati da polizia e carabinieri, tutto questo sembra un tentativo di chiudere i conti con le centinaia di migliaia di persone confluite a Genova per protestare contro il G8.

Il teorema che spiega gli avvenimenti di quelle giornate e che accomuna destra e sinistra è sempre lo stesso fin dall’inizio: del movimento antiglobalizzazione fanno parte due anime delle quali una, la maggioritaria, è pacifica, conciliante e dialoga con le istituzioni (anche quando fa finta di disobbedirgli), mentre l’altra – minoritaria o pericolosamente numerosa a secondo della convenienza – è invece violenta, antagonista al potere costituito e, nei casi peggiori, anche sospetta di connivenze terroristiche, come ci raccontano i periodici Rapporti dei servizi.

Questo rende ancora più urgente richiamare l’attenzione di tutti sull’importanza delle prossime scadenze di solidarietà con tutti gli inquisiti che, visto l’aumento generalizzato della repressione politico-poliziesca (vedi anche la recente ondata di perquisizioni), rischiano di pagare un prezzo personale molto alto e che farebbe segnare, in caso di una loro condanna, un punto a favore di tutti coloro che vorrebbero ridurre al silenzio l’opposizione radicale.

Pepsy

 

Note

[1] “Art. 419 Devastazione e saccheggio. Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’art. 285 commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni.”

[2] “Secolo XIX”, 12/2/04.

[3] cfr. “Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova”, seduta del 7 agosto 2001, audizione del Sindaco di Genova.

[4] “Il Foglio”, 7/9/01.

[5] cfr. Atti relativi ai lavori del “Comitato Paritetico per un’indagine conoscitiva sui fatti di Genova”, pag. 185 e pag. 207.

[6] cfr. la relazione di minoranza dell’Ulivo all’interno del “Comitato Paritetico per un’indagine conoscitiva sui fatti di Genova” citata sopra.

[7] cfr. “Umanità Nova” n. 40 del 1 dicembre 2002.

[segue…]

 

 

Note a proposito del “Comunicato 24/03/2021. Bida 3 anni dopo”

Quelle che seguono sono alcune riflessioni fatte dopo aver letto il Comunicato scritto dal collettivo che gestisce l’istanza mastodon.bida.im

Ho partecipato al videoincontro del 9 aprile 2021 e sono anche intervenuto ma, per non rubare troppo spazio agli altri interventi, non ho detto tutto quello che avrei voluto dire. Rimedio, almeno in parte, con quello che segue. Si tratta di appunti, appena corretti per pubblicarli qui sopra e quindi ci sono ripetizioni, periodi oscuri e tutto il resto.

Prima di tutto ribadisco la mia stima al gruppo che gestisce l’istanza, alcune e alcuni dei quali conosco di persona e li rigrazio per il lavoro che fanno. Quindi le mie critiche, anche quelle che potrebbero sembrare cattive, devono essere intese come un contributo ben più che amichevole.

Quelli che seguono sono poco più che appunti presi leggendo il Comunicato già citato e vanno letti seguendo proprio l’ordine di quel testo che non riporto per non appesantire la lettura.

Il testo del Comunicato si trova qui.

Gli obiettivi che si era dato il collettivo bida aprendo l’istanza mastodon nel 2018 erano abbastanza chiari, pienamente condivisibili ma alcuni di essi erano alquanto difficili da realizzare. Non conosco le aspettative che si avessero all’inizio ma attaccare FB era, ed è ancora, davvero un bersaglio fuori portata e quindi destinato già in partenza a non essere raggiunto e probabilmente nemmeno sfiorato. Questo non significa che sarebbe stato meglio ripiegare su un obiettivo più a portata di mano ma piuttosto che, volendo fare un bilancio del progetto, si deve tener conto dell’impossibilità di raggiungere uno dei principali obiettivi iniziali.

Usare esclusivamente uno strumento digitale per spingere i compagni e le compagne a uscire da FB sarà sempre un tentativo destinato al fallimento e alla conseguente frustrazione. Per avere qualche speranza di vedere quel momento ci vorrebbero, oltre che delle alternative digitali, anche e soprattutto degli ampi movimenti reali in piazza, che in questi ultimi anni, per non dire poi in questi ultimi tredici mesi, non si vedono nemmeno all’orizzonte. Purtroppo.

Trovo molto importante e centrale il passaggio del Comunicato nel quale viene ricordato che alcune delle dinamiche che vengono considerate nocive sui “social” (e quindi sull’istanza) esistono anche nei gruppi di esseri umani che si relazionano nella vita reale. Mi discosto dalla vostra posizione solo perché ritengo che non siano “alcune” delle dinamiche a essere presenti anche nella vita reale ma “quasi tutte”. Non è una differenza da poco ma è comunque un buon punto di partenza. Quello che forse è mancato in questi 3 anni è stato un maggiore impegno a diffondere considerazioni di questo tipo per evitare le perdite di tempo in discussioni che non partissero da questo tipo di condivisioni di base.

Non credo che il fatto che l’istanza non sia diventata una risorsa “locale” sia una “contraddizione”, piuttosto la vedo come una piccola ingenuità: aprire un servizio in Rete con l’idea di farne qualcosa di “locale” e aprilo per primi significa necessariamente fare i conti con una sorta di “diritto alla primogenitura”. Se invece che bida fosse sata aperta per prima nebbia o cisti sarebbe stata una di esse a doversi sobbarcare questo peso. Continuo a pensare, mi sembra di ricordare che se ne discusse all’Hackmeeting di Firenze, che nulla vieta di “chiudere” l’istanza arrivati a un certo numero di utenti, forzando in questo modo i nuovi arrivati a scegliere un’altra istanza e risolvendo anche, almeno parzialmente, anche alcuni dei problemi legati agli account spam.

Riguardo al punto del Comunicato nel quale viene elencato cosa è andato bene e cosa male, trovo che manchi alla fine una sorta di “bilancio” finale, qualcosa che faccia capire da che parte vede pendere la bilancia il collettivo che gestisce l’istanza. Trovo che questo sia importante anche per far capire in modo immediato agli utenti se le idee che hanno loro su come vanno le cose sono condivise o meno da chi gestisce l’istanza.

Da parte mia, ma devo averlo già scritto e detto altre volte, propendo per un bilancio positivo. Sopra ho chiarito cosa penso degli obiettivi irraggiungibili, qui ricordo che in tre anni sono nate (almeno) altre due istanze, che è stato auto-organizzato un “campo”, che sono nati gruppi di discussione su matrix, solo per citare le cose concrete delle quali ho diretta conoscenza. E per una storia di 3 anni, dei quali più di uno alquanto anomalo, non mi sembra davvero poco.

Non dimentico certo gli aspetti negativi, ma preferisco volontariamente non dargli troppo spazio per due motivi: perché a mio parere non sono stati così numerosi e perché ritengo più importante mettere in rilievo quanto di positivo è stato fatto in modo da sostenere maggiormente quel genere di comportamenti e relazioni.

Del resto, come già scritto sopra, certe dinamiche di comunicazione che sono presenti anche nell’istanza lo saranno probabilmente sempre e quindi anche un “social” che è Open Source, federato e alternativo non ne potrebbe mai essere automaticamente immune.

Proprio per queste ultime cose scritte io sconsiglierei anche di spendere troppe energie per cercare di risolvere alcuni di quelli che vengono spesso individuati come i “Problemi” (con la P maiuscola) perché sono problemi che esistono da quando esiste la Comunicazione Mediata da Computer e, se non sono stati risolti in più di 30 anni, ho fortissimi dubbi che vengano mai risolti. Sono invece sicurissimo che molto spesso i tentativi che vengono fatti per cercare di risolvere determinati problemi rischiano di diventare poi essi stessi un problema.

Per essere chiari mi riferisco in particolar modo, ma non esclusivamente, a cose come troll, policy e moderazione, gioia e delizia di tutti gli admin fin dalle origini. Non esistono e non possono esistere sistemi definitivi per eliminare i troll, non esistono policy perfette (ma nemmeno quasi perfette…) e la cosa migliore di solito è quella di indicare alcune “linee guida” che sono quelle che dovrebbero seguire i moderatori, le utenti e gli utenti. Sempre ricordando che ci sarebbe comunque – inevitabile e non eliminabile – l’approccio individuale che per fortuna ci differenzia dalla binarietà delle macchine.

Sempre proseguendo su questo tema concordo, come ho scritto sopra e come ricordato nel Comunicato, che certe “tensioni” non siano risolvibili ma piuttosto che svilupparle in senso costruttivo come è stato scritto io suggerirei di fare un lavoro di analisi alcune delle dinamiche di comunicazione ripetute e provare a valutare i loro effetti sulla comunicazione complessiva che si sviluppa sull’istanza. Forse, sottolineo forse, sarebbe possibile provare a “incentivare” alcune di quelle modalità comunicative che si ritiene abbiano degli effetti positivi a scapito di quelle che si ritiene abbiano effetti negativi.

Riguardo il dibattito sugli incontri virtuali io sono tra quelli che non li preferisce ma sono anche abbastanza con i piedi a terra da ritenere che – soprattutto in questo momento – un video incontro è sicuramente assai meglio che restare in attesa della prossima data nella quale potremmo abbracciarci davvero.

Riguardo al ruolo del collettivo mi trovo abbastanza d’accordo con quanto scritto nel Comunicato e quindi non ho molto da aggiungere, salvo il fatto che sono fermamente convinto che i problemi interni di un collettivo dovrebbero essere discussi al suo interno, salvo che le persone che lo compongono non decidano tutte altrimenti. Aggiungo e non lo vedo in contraddizione che la trasparenza nella comunicazione verso gli utenti è comunque tra gli obiettivi importanti da perseguire, tra quelli che distinguono un collettivo di compagne e compagni dallo staff di una azienda.

Mi fermo qui, per il momento.