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“Se non posso pubblicare gif di gattini non è il mio social”

Su “il manifesto” del 23/10/2019 sono stati pubblicati, sotto l’etichetta “SocialnetWar”, 5 pezzi sul tema “social”. Di seguito delle micro recensioni al volo, con tutto quello che ne consegue.

Attenzione spoiler ;-)

1. “Chi vuole oscurare le pagine pro-curdi” (G. Merli)
Un breve riassunto della censura operata nelle ultime settimane da FB nei riguardi di pagine e account dedicati o che hanno pubblicato cose relative alla questione curda. Viene citata di passaggio la discreta confusione esistente sulla presenza (almeno fino al 2018) del PKK nell’elenco europeo delle organizzazioni terroristiche e alla fine il pezzo si colora di un banale complottismo.

2. “Un altro modello c’è e si chiama «Fediverso” (Collettivo Bida)
Una presentazione del progetto e del perché può essere una valida alternativa ai “social di stato”. Dopo averlo letto meglio andare e vedere di persona :-)

3. “Internet, mon amour, per sottrarci alla nostra condizione di ingranaggi della MegaMacchina” (circex.org)
Presentazione del “Centro Internazionale di Ricerca per la Convivialità Elettrica”.

4. “La conversione di Facebook al sovranismo digitale” (B. Vecchi)
Ho qualche dubbio sul fatto che quanto accade in Siria e dintorni abbia qualche influenza sulla “intera” (sic!) policy di FB. Mentre invece sono convinto che una impresa commerciale della grandezza di FB debba necessariamente adattarsi, se vuole continuare a generare profitti, alle politiche locali. Questo, secondo Vecchi, è ciò che implicitamente si muove dietro l’oscuramento temporaneo di pagine Facebook dall’inizio delle ostilità militari di Erdogan contro i curdi.” L’apparente contraddizione tra il mio dubbio e la mia convinzione viene risolta dalla considerazione che – allo stato attuale – un colosso economico come FB può ancora tranquillamente agire al di sopra delle leggi degli stati e anche del senso del ridicolo (come quando vengono oscurati quadri famosi) in quanto è uno strumento completamente sotto il controllo dei suoi proprietari e deve rendere conto solo ai propri azionisti dei risultati di bilancio. Per cui non deve necessariamente essere coerente nemmeno con la sua policy.

Il quinto pezzo “La tecnica da sola è inadeguata se non è preceduta dalla politica” (M. Liberatore, Gruppo Ippolita) è quello che secondo me ha bisogno di un commento un po’ più lungo.

Nell’articolo viene correttamente preso in giro chi protesta per la censura di FB ma allo stesso tempo viene portata una critica contro i “social alternativi” e “Mastodon” in particolare che però manca spesso il bersaglio.

Per esempio quando viene scritto che “alcune istanze sono popolate dai nazisti dell’Illinois”, come se un qualsiasi strumento della comunicazione in genere e quindi anche della Rete possa essere immune da una possibilità del genere. Più che una critica o un inutile truismo questa affermazione potrebbe sembrare una – sottile – denigrazione.

La “Comunicazione Mediata da Computer”, sebbene abbia delle caratteristiche sue peculiari non è esente da tutti i pregi e i difetti della comunicazione interpersonale e di massa. Gli strumenti di comunicazione ci servono per entrare in contatto con una persona, con un gruppo specifico di persone, con un numero indeterminato di persone. Usiamo questi strumenti per ragioni di lavoro, per divertimento, per informarci, per fare propaganda, per fare informazione, per creare-mantenere-sviluppare rapporti interpersonali. Alcuni strumenti di comunicazione sono più o meno adatti a ognuno di questi compiti e FB e “Mastodon” non costituiscono certo una eccezione a queste banali regole generali. Li differenziano però tanti piccoli particolari, ne ricordiamo solo uno: il primo è nato per generare profitti e il secondo no.

Chi ha lanciato la prima istanza di movimento in lingua italiana di “Mastodon” ha espresso con chiarezza il suo pensiero anche in modo abbastanza diretto, come in questa parte:

Cosa vogliamo nel nostro social network

  • Poter accedere a notizie nel modo più anonimizzato possibile.
  • Poter avere un aggregatore, in cui ricercare facilmente le notizie che ci interessano.
  • Poter controllare facilmente i nostri contenuti e distruggerli con un semplice click.
  • Poterci esprimere senza il timore che altri li cancellino senza averci prima almeno interpellate.
  • Poter parlare e dialogare con gli/le admins del server su cui postiamo i nostri contenuti.
  • Poter generare kaos, avere tantissime identita’ diverse.
  • Poterci trovare in una comunità con cui dialogare anche dal vivo e non solo attraverso un computer.

e mi sembra abbastanza chiaro, leggendo anche gli altri documenti disponibili, che chi gestisce l’istanza mastodon.bida.im ha tenuto in debito conto i limiti dello strumento.

Non esiste un automatismo che porti nelle strade le persone che interagiscono su “Mastodon”, ma questo ovviamente vale per qualsiasi strumento di CMC, vale a dire anche per quelli che invece vengono considerati positivamente (ma solo perché hanno un funzionamento ridotto all’essenziale) come lapunta.org e gancio.cisti.org

Nessuna può credere che da un “social” nasca una rivoluzione. Sarebbe un po’ come credere che, una volta eliminati i gattini e il porno, poi tutto andrà per il verso giusto.

Non ho più voglia di scrivere, magari poi.

 

Mi si è bruciato il neurone

Leggo il titolo. Mi interessa.

dal sito webNell’articolo non ci sono link al manuale. Mi salta agli occhi una frase, un po’ abusata ma sempre valida:

il collaboratore di Repubblica ci ricorda che ‘quando non paghi qualcosa il prodotto sei tu'”.

Sono d’accordo con l’affermazione e quindi provo a cercare questo manuale (quello pubblicizzato) da scaricare, gratis.

Il primo tentativo mi indirizza al sito dell’autore, dove trovo lo stesso articolo di prima e ancora nessun link al manuale (sempre quello di prima). Una vera disdetta!

Al secondo atterro sul sito dell’editore, leggo e c’è qualcosa che non mi torna, perché il suddetto, benedetto, manualetto (sempre lo stesso) lo vendono a 20 euri:scheda manuale

Il motore di ricerca si deve essere sbagliato.

Al terzo tentativo finisco su una pagina dove, finalmente trovo conferma che il manualetto (si, sempre quello di cui sopra) è gratis e ci sono anche le istruzioni per scaricarlo. Evviva!

Ma scopro che per entrare gratuitamente in possesso dell’agognato manuale (esattamente lo stesso di prima) dovrei fotografare un codice QR e inviarlo con “Whatsapp” a un account “business” (WOW!) che poi mi manderà il link per scaricarlo.

Noto anche che il banner in fondo alla pagina mi avverte che su quel sito usano cookie di profilazione di terze parti (urgh!). Mi chiedo cosa ci sia scritto a questo proposito sull’ormai mitico manuale e sono sempre più ansioso di leggerlo.

Che fare?

Per fortuna scorgo una farse che sembra promettere bene: oppure puoi scaricare il libro all’indirizzo” ci clicco sopra speranzoso e mi compare una roba del genere:

come scaricare un manualeA sinistra ci sono le stesse istruzioni della pagina dalla quale provengo, evidentemente hanno capito che ho solo un neurone. A destra, finalmente, la sospirata alternativa che consiste in un form da riempire con i miei dati.

I miei dati?

Per scaricare un manuale sulla difesa dai predatori dei dati personali devo fornire dati personali?

Il mio unico neurone va in loop, si surriscalda e dopo qualche secondo si brucia.
Adesso ormai sono troppo stupido per questo genere di cose e mi farò spedire il manuale (si, si, proprio quello) da Aldo B.

Nota Bene
La ricerca del manuale (si, si, sempre quello, il solito) è avvenuta tra il 13 e il 14 ottobre del 2019.

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A come Asocial

(Il testo che segue fa riferimento a un inizio di dibattito partito da un articolo pubblicato sul settimanale anarchico “Umanità Nova”. In fondo al testo i collegamenti.)

Replicando al mio intervento [1] sul tema della comunicazione sociale Enrico [2] sostiene la necessità di usare anche strumenti del potere per riprenderne “il controllo per quanto possiamo: in alcuni casi di più, in altri casi di meno. (…) in alcuni casi con maggiore libertà, in altri con meno” [3]. Più avanti afferma che “Da sempre, il modo migliore per lasciare al potere il loro controllo è stato ritirarsi dalla presenza antagonista al loro interno.” [4].

Posizioni del genere non sono certo una novità, credere che la presenza all’interno di ambiti di relazione e di comunicazione creati e/o gestiti dal potere possa portare dei benefici, anche minimi, all’agire rivoluzionario è una convinzione dura a morire. Sia chiaro che qui non si tratta di rivendicare una qualche forma di purismo ideologico da opporre di chi accetta di “sporcarsi le mani”, ma piuttosto della constatazione, concreta, del fatto che pratiche di questo tipo non abbiano mai portato a nulla di positivo.

Ci sono invece stati nel tempo diversi esempi, restando nel campo della comunicazione, che mostrano in modo evidente quanto la creazione e la gestione di strumenti di comunicazione esterni (per quanto possibile) alle dinamiche istituzionali abbiano contraddistinto momenti particolarmente significativi nella storica lotta degli oppressi. Ricordiamone brevemente qualcuno.

Sicuramente tutti sanno che esiste ancora un quotidiano di carta, “il manifesto” (1971-) che venne fondato anche per creare un mezzo di comunicazione alternativo a quelli ufficiali, molti sanno che in quegli anni ci furono anche altre esperienze simili, come “Lotta Continua” (1972-1982) e il “Quotidiano dei Lavoratori” (1974-1979). Probabilmente invece sono in meno a sapere che nel febbraio del 1979 alle tre testate ricordate sopra se ne aggiunsero, anche se solo per poche settimane, altre due: “Ottobre” e “La Sinistra”. Portando a ben cinque il numero dei quotidiani che facevano riferimento alla cosiddetta “sinistra rivoluzionaria”. Sebbene tutti questi giornali avessero come punto di riferimento un partito o un gruppo più o meno “extraparlamentare” i loro contenuti non sempre erano in perfetta sintonia con la linea dettata dai rispettivi gruppi dirigenti e indubbiamente quelle esperienze hanno rappresentato il punto più alto del tentativo dei movimenti di quegli anni di fare informazione indipendente.

Quasi contemporaneamente, la stagione delle “radio libere”, che al suo interno comprendeva le radio di movimento, è un’altra dimostrazione che sebbene creare e autogestire i propri mezzi di comunicazione sia un compito faticoso e difficile non sia del tutto stato inutile in quanto proprio a quelle esperienze si è riannodata, un quarto di secolo dopo, la storia di “Radio GAP” che ha funzionato a Genova durante le giornate del 2001 e oggi quelle di radio come “Radio Wombat”, che addirittura trasmette via web e sulle AM.

Enrico ha scritto che il suo articolo “era centrato sulla comunicazione dei movimenti verso l’esterno e, magari mi sbaglierò, la stagione delle BBS era legata ad una comunicazione rivolta sostanzialmente verso l’interno ed in più mediata da specialisti.” [6]
Le BBS, quelle che facevano riferimento al movimento, erano indirizzate sia a una comunicazione interna che esterna in quanto sono state il primo strumento di comunicazione realmente interattivo. Non si trattava, almeno non nelle intenzioni di chi le aveva create, di ambienti di comunicazione riservati agli attivisti o agli specialisti ma a chiunque fosse in possesso di un computer, una linea telefonica e un modem. Addirittura, visto che in quegli anni l’informatica era ancora uno strumento per pochi privilegiati, alcuni dei collettivi che gestivano le BBS legate a ECN pubblicavano e diffondevano fogli fotocopiati nei quali riportavano una parte delle informazioni circolate in formato elettronico destinate a chi non aveva, non poteva o non voleva usare un computer [7]. Cercando in questo modo di colmare il divario tra chi aveva accesso a quello strumento e chi non lo aveva e contemporaneamente di aumentare l’ambito di diffusione delle informazioni.
Si è trattato sicuramente di esperienze limitate ma, si deve tener presente che in quegli anni la diffusione dei personal computer e degli strumenti della comunicazione elettronica era (soprattutto per ragioni economiche) appena agli inizi e quindi la stragrande maggioranza della popolazione non avrebbe comunque potuto accedervi.

Il discorso non cambia passando nel campo della comunicazione elettronica su Internet che segue direttamente quella delle BBS: durante gli anni migliori di “italy.indymedia” (2001-2006), una iniziativa strettamente collegata ai movimenti “no-global” erano i giornalisti dei mezzi di comunicazione ufficiali a doversi informare su quello che veniva pubblicato su un sito decisamente fuori dal sistema mediatico ufficiale [5], piuttosto che il contrario come avveniva fino a quel momento e ancora avviene oggi sui cosiddetti “social” dove è prassi comune riprendere e rilanciare quanto diffuso (“bufale” comprese…) dai mezzi di disinformazione istituzionali.

In pratica, nell’ultimo mezzo secolo, almeno una parte di noi ha preso piena consapevolezza della necessità di dotarsi di strumenti di comunicazione indipendenti da quelli commerciali e istituzionali. Addirittura nella comunicazione elettronica questa consapevolezza ci ha permesso di usare questi nuovi strumenti molto prima che la Rete diventasse, quasi esclusivamente, un canale commerciale, di controllo e di comunicazione istituzionale.

Oggi questa consapevolezza sembra perduta, visto che sono in troppi a pensare che sia necessario essere presenti nei “social” in quanto in questo modo si raggiungono molte più persone e sono in molti a snobbare i tentativi fatti da chi invece ritiene che sia più importante impegnarsi a fondo per dotarsi di mezzi di comunicazione autogestiti.

Enrico, a proposito di “Mastodon” ha scritto: “Un sistema come Mastodon, per fare solo un esempio, è ottimo per la comunicazione interna di movimento: da un lato non ha algoritmi deformanti, dall’altro non si è immersi dal “rumore” della comunicazione degli “esterni” – meme dei gattini od altro.” [8]
Non è proprio così. “Mastodon” è uno strumento di comunicazione molto simile a “Twitter” e quindi adatto sia alla comunicazione esterna che interna. Inoltre, chiunque abbia frequentato almeno per qualche giorno la prima istanza di “Mastodon” creata da compagni [9] o anche solo letto i suoi documenti fondativi si sarà accorto che sono presenti sia gli immancabili gattini che i “meme” e che queste presenze hanno una precisa ragione d’essere.

Pensare di poter agire su due livelli, sia utilizzando dall’interno strumenti del nemico sia costruendone di alternativi, è una posizione perdente in partenza e anche in questo caso il motivo non riguarda qualche bizzarra purezza ideologica ma i meccanismi di funzionamento della comunicazione e, in particolare, quella mediata da computer.

É ben noto che è impossibile utilizzare, per più tempo e non episodicamente, due “social” diversi. Se ne sono accorti persino i gestori di Google che, nel corso degli ultimi anni, hanno provato più volte a fare concorrenza a “FaceBook” (FB), sperando nel migliore dei casi in una migrazione degli utenti verso la loro piattaforma o, nel peggiore, credendo possibile una loro condivisione. Tentativi falliti miseramente perché una persona “normale” [10] non può usare contemporaneamente due “social”. Usare FB significa non poter usare, realmente, altro di simile e vuol dire quindi partecipare concretamente all’aumento del potere e dell’influenza di uno strumento istituzionale e commerciale e nello stesso tempo contribuire al probabile fallimento di una alternativa.

L’obiettivo da porsi quindi non è quello di far raggiungere a “Mastodon” il miliardo di utenti, una logica che non ha molto senso, ma quello di creare i nostri strumenti di comunicazione autogestiti, decentralizzati e federati, seguendo una pratica che ci appartiene da sempre.

Per fortuna, nonostante il pervicace attaccamento di molti compagni ai famigerati “social” a un anno di distanza sono nate in Italia altre istanze di “Mastodon” vicine ai movimenti: “Nebbia”, “Cisti” e “Snapj” [11]. Un piccolo segnale che non tutti si sono lasciati ingabbiare volontariamente, altre possibilità offerte a chi vuole uscire dal recinto.

Pepsy

 

Riferimenti
[1] Pepsy, “Potere e Comunicazione Sociale”, Umanità Nova, n.23, 2019. https://umanitanova.org/?p=10483
[2] Voccia, Enrico “Se Mastodon avesse miliardi di utenti”, “Umanità Nova”, n.24, 2019. https://umanitanova.org/?p=10558
[3] Voccia, cit.
[4] Voccia, cit.
[5] Un sito che nel mese di ottobre del 2006 – vale a dire alla fine della sua storia – ha contato 1.140.716 visitatori.
[6] Voccia, cit.
[7] Ci sono almeno tre situazioni a nostra conoscenza che lo hanno fatto: quella di Milano, la cui raccolta digitalizzata (1991-1995) si può trovare qui https://grafton9.net/bollettini-ecn-milano, quella di Bologna che si può trovare qui https://archive.org/details/BollettiniEcn e quella di Pisa che però non ci risulta essere disponibile in Rete.
[8] Voccia, cit.
[9] Pepsy, “Jurassic network”, “Umanità Nova”, n.23, 2018. https://umanitanova.org/?p=8150
[10] Per “normale” qui intendiamo una persona diversa dai cosiddetti “influencer” e da quelli che sulla Rete ci lavorano.
[11] “Nebbia” https://nebbia.lab61.org/about; “Cisti” https://mastodon.cisti.org/about; “Snapj” https://snapj.saja.freemyip.com/about

PS
Per comprendere meglio da dove salta fuori il pippone precedente si leggano, in ordine:
“Il potere della comunicazione”
“Potere e comunicazione sociale”
“Se Mastodon avesse miliardi di utenti”
tutti pubblicati sul settimanale anarchico “Umanità Nova” nel 2019