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Quarantaquattro punti, in fila per tre…

Non è certo la prima volta che è annunciata una riforma della “Pubblica Amministrazione” (P.A.) e, probabilmente, non sarà nemmeno l’ultima ma, anche questa volta come nelle precedenti, chi ha fatto l’annuncio e tutti quelli che lo sostengono hanno fatto finta di non essere a conoscenza di qual è la realtà concreta.

Il funzionamento attuale della P.A. è principalmente il frutto, storicamente e politicamente, di misure determinate dai vari Governi della Repubblica e, prima di loro, da quelli del Regno. Per cui, se qualcosa non funziona nella P.A. i primi responsabili sono da ricercarsi proprio all’interno dei parlamenti dove sono state proposte e approvate le leggi, piuttosto che di quei lavoratori che devono applicarle. La corruzione, l’elefantiasi burocratica, la stratificazione legislativa, la duplicazione di procedure e la contraddittorietà delle norme non sono certo causate dall’assenteismo dell’ultimo usciere di una qualsiasi amministrazione. I loro colpevoli vanno invece cercati all’interno del sistema di potere, del clientelismo e delle lobby dei politici che hanno sempre fatto principalmente i loro interessi e quelli dei loro padroni a scapito di quelli collettivi. Gli esempi che si potrebbero fare hanno riempito pagine e pagine di libri.

Nel corso degli anni i vari tentativi di riformare la P.A. si sono sempre arenati non su qualche amena spiaggia ma all’interno della stessa macchina statale e anche questo non certo per colpa dei “fannulloni” o magari delle lotte vincenti dei lavoratori ma di altre cause dipendenti esclusivamente dai vertici politici e amministrativi. Gli annunci delle “riforme” sono sempre serviti da campagna propagandistica, meglio se condotta in prossimità di una scadenza elettorale, a tutti quelli che avevano interesse di conservare le proprie posizioni economiche e di potere ed eventualmente allargarle. Anche in questo caso gli esempi si sprecano.

Nonostante questa realtà sia sotto gli occhi di tutti, il decisionismo iper-attivo dell’attuale capo di governo ha portato a fine aprile alla pubblicazione di una “lettera aperta” indirizzata direttamente ai dipendenti pubblici [*], nella quale sono elencate le 3 “linee guida” ed i 44 “punti” che dovrebbero essere alla base di questa ennesima promessa di cambiamento.

Sarebbe troppo noioso per chi legge, una critica puntuale di tutto quanto scritto e, almeno per questa volta, ci limitiamo solo a qualche osservazione di carattere generale.

Le “linee guida” sono indice di una solida cialtroneria demagogica a partire dalla prima, “Il cambiamento comincia dalle persone” dovrebbe essere quella delle “innovazioni strutturali” nella quale si mettono insieme una serie di desiderata sulle quali i singoli lavoratori non hanno alcuna voce in capitolo: programmazione, dirigenza, misurazione dei risultati, tempi di vita e di lavoro.

La seconda, “Tagli agli sprechi e riorganizzazione dell’Amministrazione”, riguarda l’abolizione di enti inutili e le poltrone degli “amici degli amici”, altro settore dove i semplici dipendenti pubblici contano in pratica meno di zero.

La terza, “Gli Open Data come strumento di trasparenza. Semplificazione e digitalizzazione dei servizi”, è sicuramente quella più alla moda, peccato che – come nei casi precedenti – non si capisce perché sia inserita in una lettera i cui destinatari sono i lavoratori e non piuttosto gli alti burocrati ed i dirigenti che sono gli unici che hanno un minimo di potere in questo campo.

Passando ai 44 “punti”, che dovrebbero essere la trasposizione nel dettaglio delle suddette “linee guida”, si capisce il perché di questo apparente errore di mira.

Leggendoli si scopre che si vogliono impoverire ulteriormente i lavoratori della P.A., i cui contratti sono fermi per legge da anni, per esempio legando i premi di produttività all’andamento dell’economia, si vogliono introdurre nuove norme sul licenziamento (ipocritamente chiamato “esonero”) già ampiamente previsto dai contratti vigenti, si vuole ridurre la possibilità di fare lavoro sindacale dimezzando le ore dei permessi. Lo stesso accorpamento o eliminazione degli enti è, chiaramente il viatico (con la scusa della lotta agli sprechi) che produrrà personale in esubero da licenziare. Si continua poi con la farsa della “digitalizzazione” della P.A., un obiettivo già da tempo assegnato a strutture che hanno cambiato più volte nome e funzioni nel corso degli ultimi venti anni, ottenendo solo il risultato di aggiungere confusione a confusione.

La cosa più ridicola di tutte, ammesso che ci sia ancora da ridere, è che viene chiesto – sulla scia della moda dell’e-government – un parere a tutti i cittadini dando anche una scadenza (il 30 maggio prossimo) per inviare, ovviamente via posta elettronica, commenti e osservazioni in proposito. Chiunque potrebbe far notare che, se solo lo 0,1% della popolazione decidesse di partecipare a questa farsa qualcuno dovrebbe leggersi almeno 60 mila mail (senza tener conto dell’inevitabile posta spazzatura) e poi farne una sintesi da sottoporre all’attenzione dei legislatori, il tutto in meno di due settimane, visto che è stato anche annunciato che a metà del mese di giugno saranno presentati i Decreti Legge attuativi.

Una cosa credibile solo dai più indefessi sostenitori del Governo.

[*] Si può leggere qui http://governo.it/Notizie/Palazzo%20Chigi/dettaglio.asp?d=75525

 

Disinformazione al quadrato

A gennaio 2014 era stata pubblicata da tutti i media la storia del dittatore Nord Coreano che fa sbranare lo zio (e magari anche tutta la di lui famiglia) dai cani. Titoli, articoli commenti e poi… smentite. Si trattava di un “malinteso”, qualcuno che aveva preso per vero un articolo satirico. Cose che capitano? No.
Storie del genere sono frutto del costante lavoro degli uffici di disinformazione, un classico e neppure tanto originale, anzi piuttosto datato come metodo di guerra psicologica.
La cosa divertente, in questi casi, è che c’è sempre chi esagera.

A questo link, se ancora non lo hanno fatto sparire,

http://www.repubblica.it/esteri/2014/04/20/foto/kim_jong-un_le_foto_sono_sempre_un_mistero-84071029/1/?ref=HRESS-1#1

un bell’esempio, proveniente da (afp) che, salvo errori, dovrebbe essere “Agence France-Presse”, agenzia di stampa francese.

L’autore della didascalia ci spiega come il dittatore coerano venga fotografato ma senza che alle immagini sia messa una qualsiasi didascalia che precisi data, luogo e occorrenza della foto.

Per far capire all’incolto lettore quanto cattivo sia il suddetto dittatore, il prode giornalista (?) scrive testualmente che il dittarore coreano “Alcuni mesi fa ha decretato la morte di uno zio facendolo divorare dai leoni.”

Quando un cialtrone al soldo della disinformazione, accusa un dittatore di fare disinformazione, si produce una disinformazione al quadrato.

Nel caso gli addetti alla disinformazione del web di “la Repubblica” abbiano modificato la didascalia, eccola qui sotto in tutto il suo splendore.

web_repubblica 20140420at13.51.37

 

 

Aggiornamento (21/04/2014): la didascalia è stata cambiata, adesso lo zio è stato fatto divorare dai cani. Evidentemente anche per gli addetti alla disiformazione i leoni erano davvero troppo.

Il nemico marcia, sempre, alla tua testa

Il M5S alla prova dei fatti

Dopo le ultime elezioni, la frase più abusata è stata: “L’Italia è ingovernabile”, come se la penisola fosse in preda a chissà quale rivolta, mentre i problemi invece riguardavano piuttosto la composizione del Parlamento uscita dalle urne. Visti i risultati, la situazione è sembrata subito bloccata e nonostante la fantasia degli addetti ai lavori si sia sbizzarrita con le ipotesi, non si vede ancora all’orizzonte un governo possibile. Sulla ragione di questo stallo sono però tutti concordi: la vittoria del “Movimento 5 Stelle” (M5S) e il crollo elettorale di PD e PDL.

All’inizio lo sport principale è stato quello di spiegare il successo del M5S e di indovinare quali sarebbero state le sue prossime mosse. Gli imperturbabili istituti di ricerca e sondaggi hanno scoperto l’acqua calda, ovvero che i voti presi dal M5S provengono da ex elettori degli altri partiti, cosa già più che evidente, visto che l’astensionismo è aumentato. Del resto, fin dalla sua prima comparsa, era chiara la natura principale di questo “movimento”, vale a dire quella di essere una sorta di “supermarket” nel quale chiunque può trovare qualcosa di suo interesse, tanto è vero che lo hanno votato un po’ tutti, dai se-dicenti anarchici che esistono solo sui “social network” ai fascisti del terzo millennio. Un risultato non certo improvviso, visto che gli “Amici di Beppe Grillo” sono nati nel 2005 e si sono presentati alle prime elezioni locali già nel 2008, anche se il M5S è stato fondato solo nel 2009. Come già era accaduto nel 1992 per la “Lega Nord”, questa forza politica ha intercettato una parte di elettorato delusa dagli altri partiti ma, soprattutto, ha raccolto i frutti di tutta quella campagna mediatica che dal 2007 ha individuato nella “casta”, anzi nelle “caste”, l’origine di tutti i mali passati e presenti. Come se il sistema capitalista fosse una piccola variabile di scarsa importanza e tutti i problemi esistenti siano causati dagli alti stipendi dei parlamentari. A tutto questo va aggiunta anche la debolezza (qualcuno le ha definite “macerie”) dei movimenti sociali che negli ultimi anni pure si sono timidamente affacciati alla ribalta e che hanno, magari “turandosi il naso”, portato acqua al mulino del M5S.

Una base elettorale come quella descritta sopra è, per la sua stessa composizione, alquanto fragile e l’esame di realtà che aspetta i suoi eletti in Parlamento avrà una fortissima influenza su essa in quanto potrebbe farla crescere ulteriormente oppure ridimensionarla, anche in modo consistente. Tutto dipenderà da una serie di fattori al momento imprevedibili: dalla data nella quale si terranno le prossime elezioni, da quello che accadrà fino a quel momento e da cosa avranno combinato nel frattempo gli eletti del M5S.

Ci sono alcune tattiche che, in questa prima fase, hanno caratterizzato questo “movimento”, principalmente nei confronti dei mezzi di comunicazione. In primo luogo la scelta di concedere pochissimo spazio ai media ufficiali italiani verso i quali è stata dichiarata una vera e propria guerra. Visto anche che i rapporti del leader del M5S con tv e giornali sono stati sempre molto conflittuali tanto è vero che, tra le prime iniziative politiche del “movimento” c’è stata una pseudo raccolta di firme per indire un referendum per l’abolizione dell’ordine dei giornalisti. Sentimento di antipatia ricambiato in pieno, visto l’accanimento con il quale è partita la caccia a qualsiasi notizia in grado di mettere in cattiva luce gli eletti e/o il loro leader. Resta il fatto che le accuse mosse al sistema mediatico non sono nuove e tanto meno originali, in quanto patrimonio di anni e anni di studi critici sui meccanismi di funzionamento dei mass-media all’interno dell’ordine capitalistico. Oltretutto da una parte sono rifiutati i contatti con quelli italiani e dall’altra si accettano, senza farsi troppi scrupoli, quelli con gli stranieri. Come se i difetti del “mediascape” fossero una prerogativa esclusiva italiana e non una caratteristica che accomuna questi mezzi a livello globale.

La seconda tattica, anche questa usata da tempo, è legata alla comunicazione elettronica. Il M5S è nato e si è sviluppato inizialmente intorno al blog di Grillo e su una piattaforma informatica adottata dalla nascita dei “meet-up”, che hanno costituito il nucleo di base del “movimento”. Peccato che venga scarsamente tenuto conto che l’uso di Internet non garantisce qualcosa a proposito dei rapporti di potere che si formano all’interno delle comunità virtuali e verso l’esterno. Per fare un solo esempio, il super visitato blog di Grillo chiede una registrazione preventiva a chi voglia inserire commenti e/o votare sondaggi. Nulla però è scritto, almeno non in modo chiaro, a proposito di chi decide e secondo quali criteri se un commento può comparire sul sito o meno. Questa situazione è la medesima di tanti altri siti ma caratterizza un certo “modo” di fare comunicazione/informazione. Un discorso simile vale per tutti gli altri ambiti di discussione telematici. Sebbene la tecnologia permette la partecipazione di tutti, questo non significa che automaticamente tutti partecipano. Sbandierare continuamente l’importanza rivoluzionaria della Rete, senza mai approfondirne realmente i meccanismi, può anche essere frutto di una scarsa conoscenza del funzionamento della comunicazione tramite computer ma, sicuramente, mostra quanto le persone sopravvalutano Internet ed i suoi strumenti. La semplice visita ad un forum ufficiale del M5S e la lettura dei messaggi pubblicati, dice più sul “movimento” di quanto fa un’intera analisi sociologica. Non sarà certo un blog o un tweet che distruggerà lo sfruttamento o la proprietà privata dei mezzi di produzione.

Qualcuno si potrebbe chiedere se il sistema parlamentare italiano è in grado di resistere alla presenza di una così nutrita pattuglia di “guastatori”. Non è certo la prima volta che le Camere accolgono l’arrivo di personaggi o gruppi considerati “non conformisti”, negli anni vi sono approdati (ex) extra-parlamentari “rivoluzionari” di origine marxista-leninista, almeno una notissima porno-star, bande di indipendentisti arrabbiati e via dicendo. In tutti i casi – salvo rarissime eccezioni – anche i più refrattari si sono, in qualche modo, adattati alle regole vigenti nel Palazzo. Anche se i nuovi arrivati sono intenzionati a mostrarsi “diversi”, una volta accettato di partecipare alla fiera elettorale difficilmente si può poi far finta che tutto sia come prima. Per cui anche il M5S dovrà fare i conti con le prossime importanti scadenze istituzionali, dalla formazione del governo all’elezione del Presidente della Repubblica. In tutti questi frangenti dovranno trovare una tattica che gli permetterà di conservare e magari di ampliare la base elettorale che da loro si aspetta – come sempre avviene in questi casi – più delle promesse fatte nei comunicati roboanti o nei comizi oceanici. Una necessità che può portare a scelte che poi si pagano.

I primi problemi si sono presentati subito con l’elezione dei Presidenti delle Camere, che hanno inizialmente visto il M5S mantenersi fermo sulle posizioni già ampiamente preannunciate, in quanto parte della loro strategia generale tesa ad evitare qualsiasi tipo di “connivenza” con i vecchi partiti. Ufficialmente si sono rifiutati di votare i candidati proposti dal PD, ma poi qualcuno ha cambiato idea al Senato, favorendo l’elezione di un presidente di “centro sinistra”.

Nel momento in cui scriviamo tutti danno per scontate nuove elezioni in tempi brevi. Volendo arrischiare una previsione, non particolarmente originale, riteniamo probabile che – in caso non si riesca subito a formare un governo – sarà lasciato ancora in sella il precedente esecutivo “tecnico” con l’incarico di gestire l’ordinaria amministrazione (come prevedono le norme) e procedere all’approvazione di una nuova legge elettorale. Questa soluzione andrebbe incontro agli interessi del PD che già ha i numeri per condizionare l’elezione del nuovo Capo dello Stato e del M5S che manterrebbe più facilmente la sua “integrità”, sperando che questa lo ripaghi alle prossime consultazioni. L’unica cosa ovvia è che il “movimento” non potrà portare avanti per sempre la tattica del rifiuto dell’inciucio con i partiti senza che si alzi, ogni volta, la posta in gioco.

Paradossalmente, ma nemmeno tanto, un sistema per spiazzare il M5S sarebbe quello di chiedere direttamente a Beppe Grillo di formare il nuovo Governo. Un suo rifiuto mostrerebbe le contraddizioni esistenti nel “movimento” e una accettazione sarebbe un vero e proprio suicidio politico in quanto il M5S non avrebbe certamente la capacità e le forze per gestire la situazione, il che andrebbe a tutto vantaggio degli altri partiti.

Nelle prossime settimane vedremo se avverrà, come alcuni hanno già predetto, una spaccatura all’interno di una forza politica così eterogenea, oppure se i “cittadini a 5 stelle” riusciranno a dare realmente del filo da torcere al ceto politico. In ogni modo vada a finire, il teatrino della politica ne ha guadagnato in novità, ma non è detto che questo sia necessariamente un bene per gli sfruttati.

Pepsy

[Pubblicato su “Umanità Nova”, n.12 del 31/03/2013]