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Piacevoli ricordi

La scorsa settimana ci ha lasciato Tom Robbins, appena letta la notizia volevo scrivere qualcosa ma, per farlo, dovevo cercare qualcosa. Poi, finalmente, sono riuscito a ripescare nel caos totale nel quale riposano i miei files quello che cercavo.

Tom Robbins è, lo scriverò sempre al presente, uno dei miei scrittori preferiti in assoluto e probabilmente per sempre. Anche se l’ho scoperto da grande, quasi 20 anni dopo la pubblicazione del suo primo libro e dietro suggerimento di un amico e quindi i suoi libri non hanno accompagnato la mia formazione ma l’hanno sicuramente arricchita.

Ci sono molte ragioni per le quali apprezzo quello che ha scritto, alcune tra le prime che mi vengono in mente: i suoi libri (anche quelli meno belli) mi hanno sempre regalato bei momenti mentre li leggevo e spesso sono tornato a prenderli in mano per sfogliarli e leggerne qualche pagina. Le sue storie sono sempre imprevedibili oltre che incredibili ma se ti lasci andare alla sua scrittura riesce a farti credere possibile anche l’impossibile. Non è palloso anche se scrive di argomenti che altr* hanno trattato e trattano in modo palloso, non è melenso anche se scrive di sentimenti, non cerca di convincerti che ha ragione anche quando (con tutta evidenza) ha ragione. In un certo senso è come quell’amic* che ti racconta una storia e che riesce a tenerti incollato alla sedia anche per un’ora.

Per questo e anche per altro continuerò a consigliare la lettura dei suoi libri alle persone libere che forse sono quelle che possono apprezzare meglio le sue mitologie felici. Per chi non avesse mai letto qualcosa di Tom Robbins qui sotto ricopio l’elenco dei suo romanzi secondo il mio personale ordine di gradimento. Non ci metto le raccolte di scritti o i singoli racconti pubblicati, ci metto invece la sua autobiografia perché anche quella e quasi meglio di un romanzo.

Skinny Legs and All (1990), trad. Bernardo Draghi, Coscine di pollo, Leonardo, 1992; Baldini e Castoldi, 1998

Still Life with Woodpecker (1980), trad. Francesco Franconeri, Natura morta con picchio, Mondadori, 1981; Baldini e Castoldi, 1998

Jitterbug Perfume (1984), trad. Francesco Franconeri, Profumo di Jitterbug, Mondadori, 1985; Baldini e Castoldi, 1999

Even Cowgirls Get the Blues (1976), trad. Hilia Brinis, Il nuovo sesso: Cowgirl, Baldini e Castoldi, 1994

Another Roadside Attraction (1971), trad. Hilia Brinis, Uno zoo lungo la strada, Baldini e Castoldi, 1997

Tibetan Peach Pie: A True Account of an Imaginative Life (2014), trad. Michele Trionfera, Tibetan Peach Pie, cronache di una vita immaginifica, Edizioni Tlon, 2017

Half Asleep in Frog Pajamas (1994), trad. Hilia Brinis, Beati come rane su una foglia di ninfea, Baldini e Castoldi, 1995

Fierce Invalids Home from Hot Climates (2000), trad. Hilia Brinis, Feroci invalidi di ritorno dai paesi caldi, Baldini e Castoldi, 2001

Villa Incognito (2003), trad. Hilia Brinis, Villa Incognito, Baldini Castoldi e Dalai, 2004

Illustrazione di Aubrey Beardsley per la Salomé di Oscar Wilde

Aubrey Beardsley, The Climax

Attenzione, spoiler ma piccolo-piccolo

Di seguito ho ricopiato alcuni pezzi tratti da “Coscine di pollo”, il libro che preferisco. Il riferimento ai veli è quello della danza di Salomé. Per sapere come finisce la storia dovrete leggervi il libro ;-)

Primo Velo
Perché i veli dell’ignoranza, della disinformazione e dell’illusione ci separano da qualcosa che è assolutamente essenziale per la comprensione del nostro viaggio evolutivo, ci dividono dal Mistero che sta al centro dell’essere.
Il primo di questi veli cela la rimozione della Dea, maschera la sessualità presente sul volto del pianeta, avvolge l’antico fondamento del terrore erotico che sorregge la religione dell’uomo contemporaneo. (p.61)

Secondo Velo
L’inerzia degli oggetti è ingannevole. Agli esseri umani il mondo inanimato appare statico, “morto”, a causa del nostro sciovinismo neuromuscolare. Siamo talmente accecati dal nostro spettro di attività da non renderci conto che la maggior parte delle azioni dell’universo si svolgono al di fuori di tale spettro, a velocità tanto superiori o inferiori alla nostra da restare nascoste ai nostri occhi come dietro un … velo. (p.79)

Terzo Velo
In un futuro non troppo distante, in un qualche improvviso movimento della danza, il terzo velo, il velo che permetteva agli espedienti della politica (di solito transitori, spesso stupidi, regolarmente originati dalla corruzione) di mascherarsi da espressione universale ed eterna di libertà, virtù e buonsenso, avrebbe presumibilmente potuto cadere. I giovani, da quel momento in poi, avrebbero potuto essere più esigenti riguardo alle “libertà” da difendere, preservando così la propria anima e – purchè abbastanza lesti d’ingegno e di piede – anche il proprio corpo.
Nel frattempo ogni individuo doveva dare dei gran strattoni a quel travestimento; tirare, lacerare e sbirciare, e finalmente, dopo averlo penetrato a sufficienza, prendere in mano le redini della propria vita. Assumersi la responsabilità della propria esistenza non era esattamente un sonnellino sulla spiaggia. (p.145)

Quarto Velo
La religione è uno dei principali responsabili della sofferenza umana. Non è semplicemente l’oppio dei popoli, ma il loro cianuro.
La politica è la scienza del dominio, e la persona che ha imboccato la via dell’espansione e dell’illuminazione è notoriamente difficile da controllare. (p.203)
Qualcuno ha osservato che la guerra è la logica continuazione della politica. Una volta che la religione è divenuta tutt’uno con la politica, si potrebbe affermare che anche il suo esercizio prima o poi sfocia nella guerra. “La guerra è un inferno” Ne consegue che le credenze religiose ci spediscono diritti verso la guerra.
La religione non è altro che misticismo istituzionalizzato. Il problema è che il misticismo non si presta all’istituzionalizzazione. Nel momento stesso in cui si cerca di organizzarlo se ne distrugge l’essenza. La religione, dunque, è misticismo in cui l’essenza mistica è stata uccisa. O perlomeno anestetizzata.
Coloro che assisteranno alla caduta del quarto velo potranno scorgere chiaramente che la religione non conduce soltanto alla divisione e all’oppressione, ma anche alla negazione di tutto ciò che l’uomo ha di divino; al soffocamento dell’anima. (p.204)

Quinto Velo
Quando il quinto velo cade e con esso l’illusione del valore monetario, l’individuo può forse riuscire a riconoscere nuovamente se stesso, può forse ritrovarsi ritto e per così dire ignudo tra gli antichi valori in un paesaggio da lungo tempo perduto. (p.276)
Perciò, anche per coloro tra noi che non possono assistere personalmente alla danza di Salomé, il quinto velo sicuramente cadrà. Cadrà nel momento della nostra morte. Quando saremo lì distesi, impotenti, al di là di ogni certezza, mentre l’elettricità abbandona furtivamente il nostro cervello come un truffatore che se la svigna dal quartiere di colui che ha infinocchiato, a più d’uno di noi capiterà di pensare che tutto ciò che ha fatto, l’ha fatto per soldi. E in quel momento, un istante prima che le stelle smettano di ammiccare, a seconda di quant’altro abbiamo appreso nel corso della nostra vita, ci sentiremo bruciare da un insopportabile rammarico… o ci faremo una bella risata silenziosa alle nostre stesse spalle. (p.278-279)

Sesto Velo
La verità evidente è che nessuno, indipendentemente dalla razza, dalla religione o dal livello di illuminazione personale, nessuno sa se vi sia davvero una vita oltremondana. (p.363)
Di contro a questa totale mancanza di prove, tuttavia, persiste in genere una fiducia incrollabile nella fine dei tempi, e nelle orchidee o nelle cipolle che verranno distribuite in occasione del gran finale; e questa fede, questa pia – o timorosa – illusione, costituisce un velo così spesso, così resistente, che c’è da stupirsi se la mattina riusciamo a vederci abbastanza da scendere dal letto. Se non altro, il sesto velo è un ottimo riparo contro i raggi solari. Può essere anche una pastoia o un sudario.
Finché si può indurre un popolo a credere in un aldilà soprannaturale, quel popolo può essere oppresso e controllato. Chi è convinto che alla fine lo attenda una sorta di villaggio turistico celeste in cui la piscina è sempre aperta e i bagnini sono superflui, sarà disposto a sopportare prepotenze, privazioni e maltrattamenti di ogni genere. In più, il fedele è pronto a rischiare la pelle in qualsiasi avventura militare il suo governo voglia promuovere. Quando cadrà il sesto velo, verrà indubbiamente a mancare la carne da cannone. (p.363-364)

[da Tom Robbins, Coscine di pollo]

 

 

 

 

Uno dei peggiori effetti del periodo pandemico è stato quello di iniziare a guardare serie TV in modo smodato. Ricopio qui sotto alcune delle “Recensioni non richieste” mandate nel corso del 2024 in una chat per poch* intim*. Chi legge lo fa a proprio rischio e pericolo e non si rimborsa il biglietto. Spoiler quasi nessuno.

“La casa de papel – Berlin”
Spin-off di “La casa di papel” che ha come protagonista Berlin, quello che viene ammazzato dalla polizia sulle note di “Bella ciao”, lo ricordo per quell* che hanno poca memoria.
Senza farla troppo lunga si tratta della storia di un un colpo da 44 milioni di euro ai danni di una casa d’aste parigina. A capo della banda c’è appunto Berlin e la sua banda formata da altre cinque persone. La definizione migliore per il colpo può essere presa da una espressione (spero) alquanto nota: “è una bojata pazzesca” che va letta cercando di imitare la voce di Paolo Villaggio.
Si tratta, molto più banalmente, di una serie romantico-sentimentale dove tutti i personaggi della banda (a partire dal capo) si imbarcano nella costruzione e nella gestione di legami sentimentali con soggetti interni e/o esterni alla banda. Ci manca davvero poco che la serie finisca con sei matrimoni, il che forse sarebbe stato davvero un finale a sorpresa. Attori, montaggio, fotografia, ecc… confezionati in modo appena decente. I dialoghi sono farciti di massime e consigli a carattere romantico, amoroso e sentimentale davvero imbarazzanti.
Non ho idea se la serie avrà mai una seconda stagione, quello che dimostrano progetti del genere è quanto sia sempre più difficile trovare soggetti decenti nelle produzioni seriali. Ma, anche, quanto sia dannoso il successo di una prima serie decente (mi riferisco a “La casa de papel”) e poi cercare di ripetere il suo successo. Voto: 5/10.

“The swarm”
Una serie di fantascienza con ambientazione “marina”… la recensione manca in quanto l’autore si è assopito un numero di volte abnorme durante la visione. In sostituzione comunichiamo che “The calculating stars” uscito il mese scorso è davvero un bel libro di fantascienza.

La scena si svolge su un lussuoso yacht durante una festa. Lei e lui si appartano verso prua. Lei a lui: “Titanic me”. (non ricordo in che film ho visto la scena ma la ritengo la migliore battuta -in senso cinematografico- del 2024)

“Fallout”
Tratto da un gioco conosciuto, non da me, genere fantascienza post-apocalisse. Prodotto tipicamente made-in-usa tra il pop e il trash, inevitabili contaminazioni western. Poche sorprese, guardabile se vi piace il genere. Voto: 5,9/10.

“Devs”
Alquanto pretenziosa, visto che tratta temi come il contrasto tra determinismo e libero arbitrio, la fisica quantistica e il multiverso tutto. Fantscienza senza (troppi) effetti speciali. Recitazione passabile, fotografia noiosa, sceneggiatura, colonna sonora e montaggio da dimenticare. Colpi di scena telefonati. Se ne consiglia la visione in condizioni di stato alterato di coscienza. Voto: 4/10.

“Reina roja”
Tratta da omonimo romanzo che non ho letto. Serial (?) killer VS consulente con un QI di 242 e poliziotto “strano”. Fattura decente ma trama AAA (alquanto abbondantemente abusata). Citazioni a valanga. Consigliabile a nottambuli e amanti del genere. Voto: 5/10.

“Nobody want this”
Come da titolo. Voto: NC.

“Zorro”
Spoiler solo per boomer e fan: non c’è il Sergente Garcia. Maledetti. Voto: 4/10.

 

 

 

C’era, una volta

Ci sono ricorrenze di tutti i tipi, si ricordano, si celebrano, si festeggiano avvenimenti anche lontanissimi nel tempo, sia allegri che tristi, a volte anche dimenticati (o sconosciuti) dalla maggior parte delle persone e persino fatti che storicamente non hanno alcun fondamento. A volte queste occasioni possono essere un modo come un altro, per ricordare un passato conosciuto o per farlo conoscere ai più giovani. Quando va bene da queste storie si possono trarre utili insegnamenti, come nel nostro caso.

Alla fine del mese di novembre, in mezzo a chissà quante altre ricorrenze, saranno passati 25 anni dalla creazione di “Indymedia”, qualcosa che per ragioni anagrafiche non appartiene alla memoria personale di chi oggi ha tra i 20 e i 30 anni ma che davvero vale la pena di ricordare.

Tutto iniziò, non proprio casualmente, negli ultimi mesi dello scorso millennio o se preferite dello scorso secolo uno di quei momenti che ha il fascino della fine di un’epoca, un appuntamento che nella storia lontana veniva associato a eventi apocalittici, collegati spesso alla fine del mondo. E, in un certo senso, nel contesto aleggiava qualcosa di simile. Da qualche anno si aggirava per il globo un movimento transnazionale che aveva portato alla ribalta una generazione che protestava contro una globalizzazione che stava aggravando le disuguaglianze sociali e accelerando la distruzione dell’ecosistema. Questo movimento era palesemente connesso e in prosecuzione degli altri che, a partire dalla fine degli anni ’50 del 1900, avevano percorso chilometri nelle strade e nelle piazze di tutto il pianeta. Movimenti che erano nati, erano cresciuti e poi erano scomparsi più o meno velocemente dal palcoscenico della Storia, quella con la “S” maiuscola.

Nel novembre del 1999, in un contesto dove tra le novità principali erano comparse – con tutta la loro dirompente novità – la Rete Internet e soprattutto il Web fu proprio dalla miscela di questi due ingredienti, che prese le mosse il primo e fino a questo momento unico tentativo di mettere sottosopra il sistema tradizionale della comunicazione di massa.

Sarebbe troppo lungo e complicato raccontare la storia di “Indymedia”, per chi è interessat* rimandiamo a questo vecchio articolo e alle risorse (buone e meno buone) che sono facilmente rintracciabili sulla Rete, in questo caso ci limitiamo a segnalare alcuni dei motivi per i quali quella storia va ricordata ancora nel 2024 quando è passato già un quarto di secolo.

Allora come oggi il sistema delle comunicazioni di massa era in mano a poche centri economici, politici e di potere che erano gli unici ad avere le risorse necessarie per stampare un giornale, per gestire un network radiofonico o televisivo. Strumenti in grado di trasformare i fatti in notizie, di costruire una narrazione del presente (ma anche del passato) funzionale al sistema del capitalismo che in quegli anni celebrava la sua vittoria sul presunto “socialismo reale”.

La creazione di “Indymedia”, partita da un semplice sito web messo in piedi per documentare quella che fu chiamata la “Battaglia di Seattle” dimostrò, in modo inoppugnabile, che anche un piccolo gruppo di persone con risorse economiche ridicole rispetto a quelle a disposizione dei giganti dela comunicazione riuscì a mettere in piedi un progetto in grado di produrre e diffondere una informazione indipendente. L’idea iniziale nel giro di un paio d’anni si trasformò in una vera e propria Rete internazionale che arrivò ad avere più di un centinaio di nodi sparsi, anche se in maniera disomogenea, in tutti i continenti.

Al contrario di quello che era avvenuto in precedenza, in quel 1999 il movimento era riuscito a dotarsi di un sistema di comunicazione e informazione, veloce, moderno e che usava in modo assolutamente nuovo la telematica. Negli anni a seguire saranno numerose le iniziative commerciali e non che copieranno molte delle innovazioni tecniche usate per la prima volta da “Indymedia”.

Non sempre le belle storie hanno un lieto fine e così è stato anche per questa. Dopo una decina d’anni la Rete che aveva provato, spesso riuscendoci, a contrastare il potere dei mezzi di comunicazione di massa ufficiali perse forza, principalmente perché si indebolì, fin quasi a scomparire, il movimento che le aveva fornito linfa vitale. Ma le ragioni di questa scomparsa sono anche altre e rientrano, in gran parte, nelle caratteristiche proprie di tutti i movimenti sociali e che risentono in modo significativo delle trasformazioni dei diversi contesti storici nei quali hanno operato.

Il panorama attuale è caratterizzato, tra le altre cose, da una estrema frammentazione delle forze che operano per un cambiamento sociale e, all’interno di questa situazione, ci sono anche delle diversità che riguardano il modo di rapportarsi personalmente e collettivamente ai media digitali. Negli ultimi anni il sistema dei media ufficiali ha colonizzato, quasi completamente, la Rete Internet e molt* subiscono passivamente questa invasione non riuscendo ad immaginare alternative attraverso le quali si possa provare a sfuggire al controllo diffuso che caratterizza la società digitalizzata.

La storia di “Indymedia”, difetti compresi, anche se vecchia di 25 anni è un anniversario che vale le pena di ricordare e che ha ancora molto da insegnare a chi abbia la voglia di imparare.