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Recensioni di cadaveri dell’informazione

Disinformazione al quadrato

A gennaio 2014 era stata pubblicata da tutti i media la storia del dittatore Nord Coreano che fa sbranare lo zio (e magari anche tutta la di lui famiglia) dai cani. Titoli, articoli commenti e poi… smentite. Si trattava di un “malinteso”, qualcuno che aveva preso per vero un articolo satirico. Cose che capitano? No.
Storie del genere sono frutto del costante lavoro degli uffici di disinformazione, un classico e neppure tanto originale, anzi piuttosto datato come metodo di guerra psicologica.
La cosa divertente, in questi casi, è che c’è sempre chi esagera.

A questo link, se ancora non lo hanno fatto sparire,

http://www.repubblica.it/esteri/2014/04/20/foto/kim_jong-un_le_foto_sono_sempre_un_mistero-84071029/1/?ref=HRESS-1#1

un bell’esempio, proveniente da (afp) che, salvo errori, dovrebbe essere “Agence France-Presse”, agenzia di stampa francese.

L’autore della didascalia ci spiega come il dittatore coerano venga fotografato ma senza che alle immagini sia messa una qualsiasi didascalia che precisi data, luogo e occorrenza della foto.

Per far capire all’incolto lettore quanto cattivo sia il suddetto dittatore, il prode giornalista (?) scrive testualmente che il dittarore coreano “Alcuni mesi fa ha decretato la morte di uno zio facendolo divorare dai leoni.”

Quando un cialtrone al soldo della disinformazione, accusa un dittatore di fare disinformazione, si produce una disinformazione al quadrato.

Nel caso gli addetti alla disinformazione del web di “la Repubblica” abbiano modificato la didascalia, eccola qui sotto in tutto il suo splendore.

web_repubblica 20140420at13.51.37

 

 

Aggiornamento (21/04/2014): la didascalia è stata cambiata, adesso lo zio è stato fatto divorare dai cani. Evidentemente anche per gli addetti alla disiformazione i leoni erano davvero troppo.

La storia si riscrive anche con i necrologi

Inutile ripetere che da tempo i mass media stanno riscrivendo la storia degli anni ’70, la stanno riscrivendo ad uso e consumo di un pubblico troppo giovane per ricordare o troppo distratto per preoccuparsene. La stanno riscrivendo secondo un paio di canovacci, sempre gli stessi, che vengono adattati alla bisogna. Uno dei più ab-usati è quello che presenta gli anni tra la fine dei ’60 e la metà degli ’80 come “anni di piombo”, un periodo storico “buio”, una sorta di “nuovo medioevo”.

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Se Calabresi è innocente…

“Piazza Fontana. 12 dicembre 1969 ore 16,37. La verità esiste.” (da una pubblicità sul web)

E’ appena uscito nelle sale il film “Romanzo di una strage” del regista Marco Tullio Giordana, che già con “La meglio gioventù” (2003) aveva fornito una discutibile interpretazione della storia degli anni ’70.
Il film in questione inizia con la bomba di Piazza Fontana (12/12/1969) e termina con la morte del commissario Luigi Calabresi (17/05/1972) ed è incentrato principalmente sulla ricostruzione dei momenti immediatamente precedenti e successivi all’attentato di Milano. Sullo schermo passano praticamente tutte o quasi i protagonisti di quell’avvenimento: militanti, politici, giornalisti e poliziotti, tutti interpretati da attori che sono stati scelti anche in base ad una qualche somiglianza con le persone reali. A rendere più vero-simile il tutto ci sono poi i piccoli particolari, messi apposta per essere notati: le “Senior Service” di Gian Giacomo Feltrinelli, i foulard di Camilla Cederna, il questore Marcello Guida che fa un riferimento a Ventotene, giusto per citarne alcuni.
Il motivo conduttore del film, che sarà ribadito in più occasioni e da diversi personaggi, è che i gruppi di destra e di sinistra (nel nostro caso  anarchici) erano tutti infiltrati da agenti al servizio degli apparati dello Stato. Nonostante questo, la strage non è stata prevenuta e le indagini successive si sono sviluppate nella confusione più totale. Per spiegare questa incongruenza l’autore mette in bocca ai più importanti politici dell’epoca, soprattutto a quelli che non possono smentirlo in quanto defunti, una tesi sicuramente vecchia: la strage è stata organizzata e messa in atto da un ben assortito e nutrito gruppo di cospiratori. In questo gruppo ci sono un po’ tutti: anarchici (veri e presunti), fascisti, funzionari statali di vario livello e persino “la parte più oltranzista della NATO” (sic!).
Nulla di nuovo, fin dai primi momenti, la contro-informazione militante aveva già disegnato per sommi capi un quadro delle complicità e soprattutto dell’uso politico che si voleva fare della bomba. Non a caso l’espressione “Strage di Stato” fu coniata subito.
La novità, anche questa non proprio freschissima, è che accanto alla ricostruzione di fatti già consegnati alla storia, il film presenta anche la tesi delle “due bombe”. La prima, a basso potenziale, che doveva scoppiare durante la chiusura della Banca e la seconda, più potente, che invece venne fatta esplodere quando nell’edificio c’erano ancora dei clienti. Nemmeno a farlo apposta la prima potrebbe essere stata collocata dagli anarchici, forse proprio da Pietro Valpreda, e la seconda invece non si sa bene da chi, probabilmente da un fascista somigliante al “ballerino anarchico”.
Su questo scenario, nella prima metà del film, si sviluppa la vicenda di Giuseppe Pinelli e di Luigi Calabresi che vengono presentati come una sorta di Peppone e Don Camillo (absit injuria verbis…), ognuno cristallizzato nel suo ruolo ma, come si suggerisce nella scena in cui al commissario appare il fantasma di Pinelli, accomunati dallo stesso tragico destino. Raccontare in questo modo gli avvenimenti è una costante di un certo filone culturale impegnato da anni a riscrivere la storia degli anni ’70 ad uso e consumo delle generazioni presenti e future. Il quadro presentato è quello di un periodo oscuro e violento a causa degli “opposti estremismi” in campo e delle ideologie ottocentesche che li animavano.
Questo film ripropone una lettura pacificatrice delle coscienze, di chi ha paura di chiedere come mai fin dai tempi di Portella della Ginestra (per restringere il campo alla storia della Repubblica) dietro una strage si è sempre intravista l’ombra dello Stato, in una delle sue tante forme. Che si continui a chiamarli “servizi deviati”, “settori dei servizi”, “apparati riservati”, “forze oscure” o come si preferisce, si tratta sempre di strutture interne allo Stato. Da sempre e non solo dal 12 dicembre del 1969.
La “Strage di Stato” non ha significato, come molti scrivono la “perdita dell’innocenza”, ma solo l’inizio di una stagione politica che in quegli anni si esprimeva con le bombe nelle piazze, sui treni e nelle stazioni e che oggi plaude a chi riscrive quella storia.
Nel film c’e’ una scena nella quale il principe Valerio Borghese si lamenta della “strage di civili” e Stefano delle Chiaie che risponde “E’ la guerra, principe.” e lui di rimando “Taci. Non usare quella parola. I soldati possono dirla. I macellai no”. Questo scambio di battute fa sembrare Borghese una persona che in fondo voleva solo la “proclamazione dello stato di emergenza” dimenticandosi di ricordare che era stato il capo della famigerata “Decima Mas” che si è macchiata, durante la guerra di liberazione, anche di stragi di civili inermi. Il film è tutto su questa falsariga.
Buona visione… se vi regge lo stomaco.