Ho visto la serie Sandokan andata in onda da poco ma questa non è una recensione.
Non è una recensione perché il Ciclo salgariano dei Pirati della Malesia è stato tra le mie prime letture, tra le elementari e le medie e quindi se esistesse un imprinting anche nel campo dei libri ne sono stato sicuramente vittima. Ho visto anche il Sandokan del 1976 ma ero più grande e già leggevo altri libri. Ho poi visto, nel corso degli anni, alcuni dei film che hanno portato sullo schermo lo stesso personaggio ma solo perché mi piace il cinema. Ho letto anche “Ritornano le tigri della Malesia” (2011) che ritengo tra i libri meno riusciti di uno scrittore che invece mi piace tanto da non citarlo in questa occasione.
Contrariamente all’ossessione che ho per i rifacimenti de “Il Conte di Montecristo” vedere una trama che ha solo in parte a che fare con la saga di Sandokan non mi ha mai sconvolto più di tanto, forse perché non ritengo che quei libri siano dei capolavori letterari anche se hanno venduto molto di più di alcuni di quelli dei più osannati scrittori e scrittici attuali e hanno una qualità non peggiore. O forse si tratta solo di una sorta di nostalgia infantile mescolata al fatto che Salgari ha scritto 85 romanzi e chissà quanti racconti e che esistono anche un certo numero di apocrifi a sua firma, cosa che lo colloca in una posizione unica tra gli scrittori italiani di sempre. Per cui, per quanto possano essere bravi e creativi i soggettisti del XXI secolo non ce la possono proprio fare ad avvicinarsi o scalfire le trame originali.
Nel primo rigo ho scritto una bugia:
- usare la sigla del Sandokan del 1976 è stata un modo puerile per scansare la prima – inevitabile – critica, non farla sentire per intero (almeno una volta) una piccineria;
- l’americanizzazione, o come si vuole chiamare, delle serie tv è fin troppo evidente nella trama, vedi la morte della Dayak Sani alla fine;
- le scene di azione sono state alquanto “mosce” (perdonate il napoletanismo) e il montaggio non ha aiutato;
- su attori, attrici e recitazione mi avvalgo della facoltà di non rispondere;
- visto che personaggi e trame sono stati ampiamente cambiati rispetto ai libri, viene da chiedersi perché sono stati invece mantenuti alcuni minimi particolari superflui;
- scambiare le linee di una mano non basta a fare gli originali;
- Marianna è napoletana anche se ci hanno girato intorno con due indizi;
- ho visto con piacere un prodotto non particolarmente bello e vedrò con piacere anche un seguito, un prequel o uno spin-off.
– Olà! Bell’uomo!
– Milord!
– Al diavolo i milord.
– Sir!…
– All’inferno i sir.
– Mastro!…
– Che ti colga il crampo.
– Monsieur?… Señor!…
– Appiccati. Che pranzo è questo?
– Cinese, señor, cinese come la trattoria.
– E tu vuoi farmi mangiare alla cinese! Cosa sono queste bestioline che si
muovono?
– Gamberi del Sarawak ubriacati.
– Vivi?
– Pescati mezz’ora fa, milord.
– E tu vuoi ch’io mangi i gamberi vivi? Corpo d’un cannone!
– Cucina cinese, monsieur.
– E questo arrosto?
– Cane giovane, señor.
– Che cosa? – Cane giovane.
– Corpo d’una spingarda! E tu vuoi che io mangi del cane? E questo
stufato?
– È gatto, señor.
– Tuoni e fulmini! Un gatto!
– Un boccone da mandarino, sir.
– E questa frittura?
– Topi fritti nel burro.
– Cane d’un cinese! Tu vuoi farmi crepare!
– Cucina cinese, señor.
– Cucina infernale, vuoi dire. Corpo d’un cannone! Gamberi ubriachi,
frittura di topi, cane arrosto e gatto in stufato per pranzo! Se mio fratello
fosse qui riderebbe tanto da scoppiare. Orsù, non bisogna essere schifiltosi.
Se i cinesi mangiano questa roba, può mangiarla anche un bianco. Animo,
portoghese mio!
(da “I Pirati della Malesia”)


