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C’era, una volta

Ci sono ricorrenze di tutti i tipi, si ricordano, si celebrano, si festeggiano avvenimenti anche lontanissimi nel tempo, sia allegri che tristi, a volte anche dimenticati (o sconosciuti) dalla maggior parte delle persone e persino fatti che storicamente non hanno alcun fondamento. A volte queste occasioni possono essere un modo come un altro, per ricordare un passato conosciuto o per farlo conoscere ai più giovani. Quando va bene da queste storie si possono trarre utili insegnamenti, come nel nostro caso.

Alla fine del mese di novembre, in mezzo a chissà quante altre ricorrenze, saranno passati 25 anni dalla creazione di “Indymedia”, qualcosa che per ragioni anagrafiche non appartiene alla memoria personale di chi oggi ha tra i 20 e i 30 anni ma che davvero vale la pena di ricordare.

Tutto iniziò, non proprio casualmente, negli ultimi mesi dello scorso millennio o se preferite dello scorso secolo uno di quei momenti che ha il fascino della fine di un’epoca, un appuntamento che nella storia lontana veniva associato a eventi apocalittici, collegati spesso alla fine del mondo. E, in un certo senso, nel contesto aleggiava qualcosa di simile. Da qualche anno si aggirava per il globo un movimento transnazionale che aveva portato alla ribalta una generazione che protestava contro una globalizzazione che stava aggravando le disuguaglianze sociali e accelerando la distruzione dell’ecosistema. Questo movimento era palesemente connesso e in prosecuzione degli altri che, a partire dalla fine degli anni ’50 del 1900, avevano percorso chilometri nelle strade e nelle piazze di tutto il pianeta. Movimenti che erano nati, erano cresciuti e poi erano scomparsi più o meno velocemente dal palcoscenico della Storia, quella con la “S” maiuscola.

Nel novembre del 1999, in un contesto dove tra le novità principali erano comparse – con tutta la loro dirompente novità – la Rete Internet e soprattutto il Web fu proprio dalla miscela di questi due ingredienti, che prese le mosse il primo e fino a questo momento unico tentativo di mettere sottosopra il sistema tradizionale della comunicazione di massa.

Sarebbe troppo lungo e complicato raccontare la storia di “Indymedia”, per chi è interessat* rimandiamo a questo vecchio articolo e alle risorse (buone e meno buone) che sono facilmente rintracciabili sulla Rete, in questo caso ci limitiamo a segnalare alcuni dei motivi per i quali quella storia va ricordata ancora nel 2024 quando è passato già un quarto di secolo.

Allora come oggi il sistema delle comunicazioni di massa era in mano a poche centri economici, politici e di potere che erano gli unici ad avere le risorse necessarie per stampare un giornale, per gestire un network radiofonico o televisivo. Strumenti in grado di trasformare i fatti in notizie, di costruire una narrazione del presente (ma anche del passato) funzionale al sistema del capitalismo che in quegli anni celebrava la sua vittoria sul presunto “socialismo reale”.

La creazione di “Indymedia”, partita da un semplice sito web messo in piedi per documentare quella che fu chiamata la “Battaglia di Seattle” dimostrò, in modo inoppugnabile, che anche un piccolo gruppo di persone con risorse economiche ridicole rispetto a quelle a disposizione dei giganti dela comunicazione riuscì a mettere in piedi un progetto in grado di produrre e diffondere una informazione indipendente. L’idea iniziale nel giro di un paio d’anni si trasformò in una vera e propria Rete internazionale che arrivò ad avere più di un centinaio di nodi sparsi, anche se in maniera disomogenea, in tutti i continenti.

Al contrario di quello che era avvenuto in precedenza, in quel 1999 il movimento era riuscito a dotarsi di un sistema di comunicazione e informazione, veloce, moderno e che usava in modo assolutamente nuovo la telematica. Negli anni a seguire saranno numerose le iniziative commerciali e non che copieranno molte delle innovazioni tecniche usate per la prima volta da “Indymedia”.

Non sempre le belle storie hanno un lieto fine e così è stato anche per questa. Dopo una decina d’anni la Rete che aveva provato, spesso riuscendoci, a contrastare il potere dei mezzi di comunicazione di massa ufficiali perse forza, principalmente perché si indebolì, fin quasi a scomparire, il movimento che le aveva fornito linfa vitale. Ma le ragioni di questa scomparsa sono anche altre e rientrano, in gran parte, nelle caratteristiche proprie di tutti i movimenti sociali e che risentono in modo significativo delle trasformazioni dei diversi contesti storici nei quali hanno operato.

Il panorama attuale è caratterizzato, tra le altre cose, da una estrema frammentazione delle forze che operano per un cambiamento sociale e, all’interno di questa situazione, ci sono anche delle diversità che riguardano il modo di rapportarsi personalmente e collettivamente ai media digitali. Negli ultimi anni il sistema dei media ufficiali ha colonizzato, quasi completamente, la Rete Internet e molt* subiscono passivamente questa invasione non riuscendo ad immaginare alternative attraverso le quali si possa provare a sfuggire al controllo diffuso che caratterizza la società digitalizzata.

La storia di “Indymedia”, difetti compresi, anche se vecchia di 25 anni è un anniversario che vale le pena di ricordare e che ha ancora molto da insegnare a chi abbia la voglia di imparare.

Bombe di merda

Una delle mie, troppe, debolezze è relativa alla Corea del Nord. Non si tratta di qualcosa legato alla ideologia governativa vigente da quelle parti o a qualche altra caratteristica di quel paese ma alle notizie che molto spesso vengono pubblicate sui mass-media e che riportano avvenimenti collegati al conflitto Nord-Sud Corea. Molto spesso si tratta di notizie strane o comunque “altre” rispetto a quelle che vengono diffuse e che riguardano altri paesi.
Ricordo di fucilazioni fatte con un cannone, di avversari politici dati in pasto a leoni/tigri/orsi e di altri eventi che quasi sempre suscitano anche un accenno di sorriso. Non perdo tempo a provare a scoprire quante delle notizie riportate sono accurate o false perché sono sicuro che sono (in ogni caso) uno strumento di propaganda diretta contro la Corea del Nord.

L’ultima, in ordine di tempo, si può leggere sul sito web di un noto quotidiano

"Corea del Sud, alta tensione doo il bombardamento di escrementi ordinato da Kim..."

Anche solo a leggere il titolo e il sommario verrebbero in mente un certo numero di considerazioni sullo stato del Mondo, sulla situazione internazionale e sulle bombe che piovono in altre parti. Per non dire dell’idea di replicare “bombardamenti” del genere anche dalle nostre parti.

El pañuelo de Blanca

Oziose perdite di tempo e domande futili

Recentemente la piattaforma digitale della TV di stato ha messo a disposizione una serie di film girati da Ken Loach, un regista che ha diretto belle pellicole. Ho quindi avuto modo di rivedere (per la terza o quarta volta) “Tierra y Libertad” (1995) un film che mi è piaciuto fin dalla prima volta che l’ho visto. La storia è ambientata in Spagna, tra il 1936 e il 1937 e la trama saccheggia felicemente “Omaggio alla Catalogna” (1938) di George Orwell, un bel libro nel quale l’autore racconta la sua esperienza personale in Spagna durante i primi mesi della Rivoluzione.

La vicenda narrata nel film ruota attorno alla storia di un disoccupato inglese, David Carr, iscritto al Partito Comunista che decide di andare in Spagna a combattere il fascismo e si arruola in una brigata internazionale del POUM (Partido Obrero de Unificacion Marxista) un partito comunista non stalinista. Il resto della trama si può leggere sulla wikipedia.

Fin dalla seconda volta che ho visto il film ho notato un particolare che è quello che mi ha fatto sorgere una domanda (futile) alla quale non ho mai saputo dare una risposta certa.

In Spagna, negli anni nei quali è ambientata la storia era costume per i/le militanti legarsi al collo un pañuelo (fazzoletto) colorato che segnalava la propria appartenenza politica. I colori dei pañuelos erano sostanzialmente due: il rosso e nero usato dagli anarchici e dai militanti della CNT (Confereracion Nacional del Trabajo) l’organizzazione anarco-sindacalista alla quale aderivano anche comunisti non stalinisti e altri. Il fazzoletto di colore rosso invece era indossato da chi militava nell’area comunista in generale; scritte o simboli sul pañuelo potevano indicare in modo più preciso il partito di appartenenza.

Questa spiegazione è necessaria perché il particolare che mi è saltato agli riguarda proprio un pañuelo. Ma non uno qualsiasi bensì quello indossato nel film da Blanca, che possiamo considerare uno dei personaggi centrali della storia.

Fotogramma dal film "Tierra y Libertad"

Fotogramma 1

All’inizio del film, come si può vedere nel fotogramma 1, Blanca indossa chiaramente un fazzoletto rosso e nero e lo indossa da molto tempo almeno a giudicare dal fatto che il colore rosso appare alquanto sbiadito (è quasi un rosa) come accade ai tessuti esposti per molto tempo agli agenti atmosferici e/o sottoposti a molti lavaggi. Anche se il personaggio fa parte di una milizia del POUM la cosa risulta abbastanza coerente perché, probabilmente, Blanca lo indossa in quanto iscritta alla CNT. Del resto gli altri personaggi che fanno parte del gruppo di combattenti portano al collo, in maggioranza, fazzoletti di colore rosso in quanto militanti del POUM ma ce ne sono anche alcuni che indossano un pañuelo rosso-nero. Lo stesso protagonista maschile porta un fazzoletto rosso.

Fotogramma dal film "Tierra y Libertad"

Fotogramma 2

 

Più avanti nel film però si può notare che Blanca invece porta un pañuelo rosso, come si può vedere nel fotogramma 2 che è poi quello che indosserà fino alla fine.

Ecco, la domanda oziosa e futile è questa: il cambiamento di colore del fazzoletto di Blanca ha un significato all’interno della storia? Indica un cambiamento di posizione politica del personaggio in seguito agli avvenimenti narrati nel film? Questo sarebbe un segnale di quanta attenzione ci sia stata nella cura dei dettagli, persino di un semplice fazzoletto. Oppure si tratta semplicemente di un particolare trascurato da chi ha curato i costumi?

 

Non so se qualcuno/a si è posto la stessa domanda, ma so che se potessi sarebbe questa una domanda che farei a Ken Loach.