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“Questo non è”

Leggo che l’anno prossimo andrà in TV una serie tratta da un romanzo che in Italia probabilmente ha avuto più edizioni della Bibblia ma che quando è stato portato sul piccolo o grande schermo è stato spesso massacrato da sceneggiature oltraggiose. E non mi riferisco ai tagli necessari a ridurre le centinaia di pagine del libro alla durata di un film o di una serie.

Ultimo esempio il film in due parti presentato a Cannes quest’anno e andato in tv subito dopo il Santo Natale scorso. Mi riferisco a “Il Conte di Montecristo”, dove le modifiche nella trama originale sono talmente numerose che non vale la pena elencarle. Basti dire che che nell’occasione Edmond Dantes usa le maschere come Diabolik e alla fine della storia parte senza Haydée.

Non sono di quelli che si scandalizzano se un’opera dell’ngegno umano viene modificata, se un testo viene stravolto anche pesantemente ma ritengo che il linguaggio serva a comunicare e che per farlo correttamente, cioè in modo che altr* comprendano cosa stiamo dicendo è necessario chiamare le cose col proprio nome o evitare i fraintendimenti anche usando qualche stratagemma.

Per cui mi va benissimo se nella prossima versione (e in tutte quelle che seguiranno fino alla fine dei tempi…) la storia del Conte di Montecristo subirà qualsiasi modifica ma mi piacerebbe che, come fanno nell’industria dei video porno statunitensi quando producono parodie di titoli famosi, diventasse consuetudine aggiungere le tre parole – “questo non è” – prima del titolo in modo che sia chiaro alla persona con la quale si sta comunicando che non si sta parlando dell’originale ma di qualcosa d’altro. Questo principalmente perché quella persona potrebbe anche non aver mai letto il libro in questione e finire per credere che alla fine della storia Edmond e Mercedes vissero poi felici e contenti. Che, per essere chiari, potrebbe essere anche un finale migliore o semplicemente piacere di più ma che non è quello de “Il Conte di Montecristo”.

Lo so che è una speranza vana, in un contesto dove quando si parla di spaghetti alla carbonara qualcun* può fare riferimento anche a un condimento senza guanciale e/o senza uova e/o senza pecorino e forse anche senza spaghetti…

Poi però ci si lamenta della difficoltà di comunicazione.

C’era, una volta

Ci sono ricorrenze di tutti i tipi, si ricordano, si celebrano, si festeggiano avvenimenti anche lontanissimi nel tempo, sia allegri che tristi, a volte anche dimenticati (o sconosciuti) dalla maggior parte delle persone e persino fatti che storicamente non hanno alcun fondamento. A volte queste occasioni possono essere un modo come un altro, per ricordare un passato conosciuto o per farlo conoscere ai più giovani. Quando va bene da queste storie si possono trarre utili insegnamenti, come nel nostro caso.

Alla fine del mese di novembre, in mezzo a chissà quante altre ricorrenze, saranno passati 25 anni dalla creazione di “Indymedia”, qualcosa che per ragioni anagrafiche non appartiene alla memoria personale di chi oggi ha tra i 20 e i 30 anni ma che davvero vale la pena di ricordare.

Tutto iniziò, non proprio casualmente, negli ultimi mesi dello scorso millennio o se preferite dello scorso secolo uno di quei momenti che ha il fascino della fine di un’epoca, un appuntamento che nella storia lontana veniva associato a eventi apocalittici, collegati spesso alla fine del mondo. E, in un certo senso, nel contesto aleggiava qualcosa di simile. Da qualche anno si aggirava per il globo un movimento transnazionale che aveva portato alla ribalta una generazione che protestava contro una globalizzazione che stava aggravando le disuguaglianze sociali e accelerando la distruzione dell’ecosistema. Questo movimento era palesemente connesso e in prosecuzione degli altri che, a partire dalla fine degli anni ’50 del 1900, avevano percorso chilometri nelle strade e nelle piazze di tutto il pianeta. Movimenti che erano nati, erano cresciuti e poi erano scomparsi più o meno velocemente dal palcoscenico della Storia, quella con la “S” maiuscola.

Nel novembre del 1999, in un contesto dove tra le novità principali erano comparse – con tutta la loro dirompente novità – la Rete Internet e soprattutto il Web fu proprio dalla miscela di questi due ingredienti, che prese le mosse il primo e fino a questo momento unico tentativo di mettere sottosopra il sistema tradizionale della comunicazione di massa.

Sarebbe troppo lungo e complicato raccontare la storia di “Indymedia”, per chi è interessat* rimandiamo a questo vecchio articolo e alle risorse (buone e meno buone) che sono facilmente rintracciabili sulla Rete, in questo caso ci limitiamo a segnalare alcuni dei motivi per i quali quella storia va ricordata ancora nel 2024 quando è passato già un quarto di secolo.

Allora come oggi il sistema delle comunicazioni di massa era in mano a poche centri economici, politici e di potere che erano gli unici ad avere le risorse necessarie per stampare un giornale, per gestire un network radiofonico o televisivo. Strumenti in grado di trasformare i fatti in notizie, di costruire una narrazione del presente (ma anche del passato) funzionale al sistema del capitalismo che in quegli anni celebrava la sua vittoria sul presunto “socialismo reale”.

La creazione di “Indymedia”, partita da un semplice sito web messo in piedi per documentare quella che fu chiamata la “Battaglia di Seattle” dimostrò, in modo inoppugnabile, che anche un piccolo gruppo di persone con risorse economiche ridicole rispetto a quelle a disposizione dei giganti dela comunicazione riuscì a mettere in piedi un progetto in grado di produrre e diffondere una informazione indipendente. L’idea iniziale nel giro di un paio d’anni si trasformò in una vera e propria Rete internazionale che arrivò ad avere più di un centinaio di nodi sparsi, anche se in maniera disomogenea, in tutti i continenti.

Al contrario di quello che era avvenuto in precedenza, in quel 1999 il movimento era riuscito a dotarsi di un sistema di comunicazione e informazione, veloce, moderno e che usava in modo assolutamente nuovo la telematica. Negli anni a seguire saranno numerose le iniziative commerciali e non che copieranno molte delle innovazioni tecniche usate per la prima volta da “Indymedia”.

Non sempre le belle storie hanno un lieto fine e così è stato anche per questa. Dopo una decina d’anni la Rete che aveva provato, spesso riuscendoci, a contrastare il potere dei mezzi di comunicazione di massa ufficiali perse forza, principalmente perché si indebolì, fin quasi a scomparire, il movimento che le aveva fornito linfa vitale. Ma le ragioni di questa scomparsa sono anche altre e rientrano, in gran parte, nelle caratteristiche proprie di tutti i movimenti sociali e che risentono in modo significativo delle trasformazioni dei diversi contesti storici nei quali hanno operato.

Il panorama attuale è caratterizzato, tra le altre cose, da una estrema frammentazione delle forze che operano per un cambiamento sociale e, all’interno di questa situazione, ci sono anche delle diversità che riguardano il modo di rapportarsi personalmente e collettivamente ai media digitali. Negli ultimi anni il sistema dei media ufficiali ha colonizzato, quasi completamente, la Rete Internet e molt* subiscono passivamente questa invasione non riuscendo ad immaginare alternative attraverso le quali si possa provare a sfuggire al controllo diffuso che caratterizza la società digitalizzata.

La storia di “Indymedia”, difetti compresi, anche se vecchia di 25 anni è un anniversario che vale le pena di ricordare e che ha ancora molto da insegnare a chi abbia la voglia di imparare.

Bombe di merda

Una delle mie, troppe, debolezze è relativa alla Corea del Nord. Non si tratta di qualcosa legato alla ideologia governativa vigente da quelle parti o a qualche altra caratteristica di quel paese ma alle notizie che molto spesso vengono pubblicate sui mass-media e che riportano avvenimenti collegati al conflitto Nord-Sud Corea. Molto spesso si tratta di notizie strane o comunque “altre” rispetto a quelle che vengono diffuse e che riguardano altri paesi.
Ricordo di fucilazioni fatte con un cannone, di avversari politici dati in pasto a leoni/tigri/orsi e di altri eventi che quasi sempre suscitano anche un accenno di sorriso. Non perdo tempo a provare a scoprire quante delle notizie riportate sono accurate o false perché sono sicuro che sono (in ogni caso) uno strumento di propaganda diretta contro la Corea del Nord.

L’ultima, in ordine di tempo, si può leggere sul sito web di un noto quotidiano

"Corea del Sud, alta tensione doo il bombardamento di escrementi ordinato da Kim..."

Anche solo a leggere il titolo e il sommario verrebbero in mente un certo numero di considerazioni sullo stato del Mondo, sulla situazione internazionale e sulle bombe che piovono in altre parti. Per non dire dell’idea di replicare “bombardamenti” del genere anche dalle nostre parti.