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Questioni di identità (digitale)

Tra le meraviglie future promesse dal governo in carica c’è l’attivazione di un sistema di “identità digitale”, che dovrebbe facilitare la quotidiana lotta tra i cittadini e la burocrazia delle leggi e dello stato. Non è certo la prima volta che si prova a informatizzare le identità personali, ma la propaganda si guarda bene dal portare alla memoria il passato e i suoi insuccessi. Come per una casa produttrice di saponi o di liquori questi incidenti di percorso sono argomenti da sistemare in archivio con la speranza, che spesso è certezza, che la scarsa memoria delle persone li lascerà a ricoprirsi di polvere.

Al principio fu la carta di identità elettronica (CIE) prevista fin dal lontano 1997 e mai andata completamente a compimento, persino fonti di informazione che hanno ben poco di sovversivo parlano, senza possibilità di smentita, di “18 anni di insuccessi” [1]. Qualche anno dopo venne inventata la “carta nazionale dei servizi” (CNS) con, più o meno, le stesse finalità della CIE. Anche in questo caso il destino cinico e baro non ha arriso ai progetti di digitalizzazione delle identità e attualmente la CNS è poco diffusa e sostituita, in alcuni casi, dalla “tessera sanitaria” [2] che in qualche regione viene distribuita anche provvista di un chip sul quale archiviare la cartella clinica, la firma digitale ed altro.

Attualmente i tre documenti sopra citati sono ancora legalmente in vigore sebbene nessuno sia diffuso a tutta la popolazione; oltretutto non sono completamente compatibili fra di loro e quindi non è prevedibile cosa accadrà dopo l’imminente (secondo la propaganda di stato) arrivo del fantastico “Sistema Pubblico di Identità Digitale” (SPID) [3].

A leggerne la pubblicità sembra proprio che si tratti di uno strumento che dovrebbe fare quasi le stesse cose dei tre precedenti, ovvero permettere “a cittadini e imprese di accedere con un’unica identità digitale ai servizi online della PA e dei privati che aderiranno.”. Una cosa è certa, questo SPID sarà un affare per molti: per i “gestori di identità digitale”, per i produttori delle “smart card” e dei sistemi di OTP [4], per i produttori e venditori di programmi e di attrezzature elettroniche e magari per qualcuno che su tutto questo flusso di denaro ci farà la cresta.

A parte queste sicurezze, non è detto che i vantaggi ci saranno anche dal punto di vista dei cittadini, delle persone, di quelli magari che si sono visti bloccare alla frontiera perché la loro CIE risultava scaduta in quanto nessuno aveva previsto che una legge aumentasse la validità delle carte di identità e che questo avrebbe comportato degli inconvenienti per quelle elettroniche [5].

A questo genere di problemi si vanno ad aggiungere quelli della Pubblica Amministrazione che, secondo i venditori di sogni al governo, dovrebbe adeguare in due anni le proprie strutture ai fini di rendere pienamente utilizzabile il SPID. Questo significa andare probabilmente verso un fallimento annunciato, tenuto conto i costi e i tempi per rendere adeguati al SPID tutti i sistemi informatici proprietari in uso in ogni singolo Ente pubblico, di solito già poco compatibili fra di loro.

Ma tutto questo ci riguarda solo parzialmente, in quanto come anarchici ci dovrebbe interessare maggiormente lo scenario sociale che si aprirebbe se la “identità digitale” funzionasse davvero.

La possibilità, tramite una carta di plastica e di un collegamento a una banca dati, di conoscere tutto sulla nostra vita, dal nome dei genitori all’ultima prescrizione medica, dalla multa per divieto di sosta al nostro curriculum studi. Gli abusi possibili in una società nella quale l’identità sia gestita tramite macchine e programmi sono enormi. Il potere di chi può controllare una banca dati con quelle informazioni è assoluto. La manipolazione di un sistema del genere ai propri fini non sarà certo fermata da una legge o da misure tecniche di sicurezza che, come si vede quotidianamente, possono sempre essere violate.

Ancora una volta problemi del genere portano alla ribalta le classiche discussioni sulla scienza e sulle tecnologie e sul rapporto che dovremmo avere con esse. Ancora una volta più che dibattere sui massimi sistemi, sulla neutralità del metodo scientifico o sulla intrinseca natura anti-umana della scienza e della tecnologia, sarebbe meglio attrezzarsi per opporsi a delle scelte che portano più svantaggi che vantaggi.

Riferimenti

[1] http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/CRONACA/carta_identita_elettronica_governo_riprova/notizie/1411790.shtml

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Carta_nazionale_dei_servizi

[3] http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/infrastrutture-architetture/spid/percorso-attuazione

[4] “One time password” sistemi di sicurezza già in uso nelle banche per fornire ai clienti una password nuova ogni volta che si accede a un servizio.

[5] http://www.ilrestodelcarlino.it/imola/2009/05/25/182091-carta_identita_elettronica_pasticcio.shtml

Karma Police

La scorsa settimana sono stati resi pubblici [https://theintercept.com/documents/] alcune decine di documenti riguardanti i programmi usati dai servizi segreti inglesi per lo spionaggio ai danni di tutta la popolazione. Anche questa volta la fonte delle rivelazioni è Edward Snowden, l’ex informatico della CIA che dal 2013 sta mostrando quanto diffusi e pericolosi siano i sistemi usati dalle strutture dei Governi per controllare i loro cittadini.

Non ci sono delle grandi novità tra i documenti inediti pubblicati che riguardano principalmente “Karma police” (sic!) un programma, avviato dalle spie inglesi nel 2008, in grado di registrare le abitudini di “navigazione” di ogni utente visibile su Internet. Ogni giorno viene archiviata una incredibile quantità di dati che comprende di tutto: dai visitatori dei siti di notizie a quelli dei siti porno, dalle sessioni di chat alle richieste sui motori di ricerca. Nel 2010 gli spioni di Sua Maestà archiviavano 30 miliardi di meta-dati al giorno, nel 2012 erano 50 miliardi e sperano di riuscire ad archiviarne 100 entro la fine di quest’anno. Questa enorme mole di informazioni grezze sarebbe di nessuna utilità senza l’aiuto dei computer e di appositi software di analisi.

La paranoia del controllo alla quale sono arrivati gli Stati e la sua pericolosità è bene rappresentata da una specifica operazione, inserita all’interno del programma principale, con la quale sono state controllate le abitudini di ascolto delle web-radio di 200 mila persone abitanti in 185 paesi diversi, Italia compresa. Un Rapporto segreto del 2009 analizza, a diversi livelli, l’ascolto delle web-radio e fornisce una serie di informazioni statistiche: quali sono quelle più ascoltate in un determinato paese, il tipo di programmi o di computer usati per l’ascolto, il genere di trasmissioni prodotte. Così veniamo a sapere che le radio più seguite in Russia e in UK sono quelle che trasmettono musica o programmi di intrattenimento, mentre in Iraq viene molto ascoltata una radio, che trasmette dall’Arabia Saudita, gestita da un gruppo che si batte per la liberazione dei prigionieri politici iracheni. Lo scopo di questo genere di controllo appare chiaro quando nel rapporto vengono fornite le informazioni relative all’ascolto dall’Inghilterra di radio che trasmettono dal Pakistan e viceversa e del numero di volte che compaiono nelle trasmissioni delle radio termini come “Corano” o “Islam”. A titolo di esempio nel Rapporto viene analizzata un po’ più a fondo una radio che trasmette da Dallas (USA) e che viene ritenuta essere collegata ad uno Sceicco egiziano e le abitudini internet di uno degli ascoltatori di una radio Irachena estrapolate dalla miniera di dati a disposizione. I programmi di analisi sono in grado di costruire dei profili che descrivono le abitudini nell’uso di Internet dei malcapitati bersagli delle ricerche. Il Rapporto si chiude consigliando di applicare questo genere di metodologie all’Afghanistan e all’Iran.

Da quello che si può ipotizzare il sistema usato dagli spioni per rubare i dati è quello di inserire delle “sonde” all’interno dei cavi che trasportano i pacchetti di informazione di Internet in giro per il mondo e registrare dalla massa dei dati in transito quelli che poi vengono sottoposti ai software dedicati all’analisi. Un sistema che solo un apparato statale può usare e che, a parte la fase iniziale di connessione ai cavi, rende possibile l’acquisizione di una enorme quantità di dati in modo continuativo. Come è facile immaginare non è certo solo il Regno Unito a usare sistemi del genere. Negli USA sono, da tempo, in funzione programmi che analizzano anche solo banche dati pubblicamente disponibili (almeno questo è quello che affermano) per costruire degli elenchi di “valutazione dei rischi”. Sistemi che vengono comunemente usati per controllare le liste dei passeggeri degli aerei, sia sulle linee internazionali che su quelle interne. Il sospetto, ma visti i precedenti si dovrebbe parlare di certezza, è che questi sistemi usino anche informazioni ricavate in modo meno “legale”, vale a dire intromettendosi nelle comunicazioni private delle persone.

C’è solo una cosa peggiore del venire a conoscenza dell’ennesimo programma di sorveglianza di massa ed è che, a parte le chiacchiere degli articoli (questo compreso) non si è ancora realmente sviluppata una opposizione reale e radicale a questo genere di oppressione.

Il nemico marcia, sempre, alla tua testa

Il M5S alla prova dei fatti

Dopo le ultime elezioni, la frase più abusata è stata: “L’Italia è ingovernabile”, come se la penisola fosse in preda a chissà quale rivolta, mentre i problemi invece riguardavano piuttosto la composizione del Parlamento uscita dalle urne. Visti i risultati, la situazione è sembrata subito bloccata e nonostante la fantasia degli addetti ai lavori si sia sbizzarrita con le ipotesi, non si vede ancora all’orizzonte un governo possibile. Sulla ragione di questo stallo sono però tutti concordi: la vittoria del “Movimento 5 Stelle” (M5S) e il crollo elettorale di PD e PDL.

All’inizio lo sport principale è stato quello di spiegare il successo del M5S e di indovinare quali sarebbero state le sue prossime mosse. Gli imperturbabili istituti di ricerca e sondaggi hanno scoperto l’acqua calda, ovvero che i voti presi dal M5S provengono da ex elettori degli altri partiti, cosa già più che evidente, visto che l’astensionismo è aumentato. Del resto, fin dalla sua prima comparsa, era chiara la natura principale di questo “movimento”, vale a dire quella di essere una sorta di “supermarket” nel quale chiunque può trovare qualcosa di suo interesse, tanto è vero che lo hanno votato un po’ tutti, dai se-dicenti anarchici che esistono solo sui “social network” ai fascisti del terzo millennio. Un risultato non certo improvviso, visto che gli “Amici di Beppe Grillo” sono nati nel 2005 e si sono presentati alle prime elezioni locali già nel 2008, anche se il M5S è stato fondato solo nel 2009. Come già era accaduto nel 1992 per la “Lega Nord”, questa forza politica ha intercettato una parte di elettorato delusa dagli altri partiti ma, soprattutto, ha raccolto i frutti di tutta quella campagna mediatica che dal 2007 ha individuato nella “casta”, anzi nelle “caste”, l’origine di tutti i mali passati e presenti. Come se il sistema capitalista fosse una piccola variabile di scarsa importanza e tutti i problemi esistenti siano causati dagli alti stipendi dei parlamentari. A tutto questo va aggiunta anche la debolezza (qualcuno le ha definite “macerie”) dei movimenti sociali che negli ultimi anni pure si sono timidamente affacciati alla ribalta e che hanno, magari “turandosi il naso”, portato acqua al mulino del M5S.

Una base elettorale come quella descritta sopra è, per la sua stessa composizione, alquanto fragile e l’esame di realtà che aspetta i suoi eletti in Parlamento avrà una fortissima influenza su essa in quanto potrebbe farla crescere ulteriormente oppure ridimensionarla, anche in modo consistente. Tutto dipenderà da una serie di fattori al momento imprevedibili: dalla data nella quale si terranno le prossime elezioni, da quello che accadrà fino a quel momento e da cosa avranno combinato nel frattempo gli eletti del M5S.

Ci sono alcune tattiche che, in questa prima fase, hanno caratterizzato questo “movimento”, principalmente nei confronti dei mezzi di comunicazione. In primo luogo la scelta di concedere pochissimo spazio ai media ufficiali italiani verso i quali è stata dichiarata una vera e propria guerra. Visto anche che i rapporti del leader del M5S con tv e giornali sono stati sempre molto conflittuali tanto è vero che, tra le prime iniziative politiche del “movimento” c’è stata una pseudo raccolta di firme per indire un referendum per l’abolizione dell’ordine dei giornalisti. Sentimento di antipatia ricambiato in pieno, visto l’accanimento con il quale è partita la caccia a qualsiasi notizia in grado di mettere in cattiva luce gli eletti e/o il loro leader. Resta il fatto che le accuse mosse al sistema mediatico non sono nuove e tanto meno originali, in quanto patrimonio di anni e anni di studi critici sui meccanismi di funzionamento dei mass-media all’interno dell’ordine capitalistico. Oltretutto da una parte sono rifiutati i contatti con quelli italiani e dall’altra si accettano, senza farsi troppi scrupoli, quelli con gli stranieri. Come se i difetti del “mediascape” fossero una prerogativa esclusiva italiana e non una caratteristica che accomuna questi mezzi a livello globale.

La seconda tattica, anche questa usata da tempo, è legata alla comunicazione elettronica. Il M5S è nato e si è sviluppato inizialmente intorno al blog di Grillo e su una piattaforma informatica adottata dalla nascita dei “meet-up”, che hanno costituito il nucleo di base del “movimento”. Peccato che venga scarsamente tenuto conto che l’uso di Internet non garantisce qualcosa a proposito dei rapporti di potere che si formano all’interno delle comunità virtuali e verso l’esterno. Per fare un solo esempio, il super visitato blog di Grillo chiede una registrazione preventiva a chi voglia inserire commenti e/o votare sondaggi. Nulla però è scritto, almeno non in modo chiaro, a proposito di chi decide e secondo quali criteri se un commento può comparire sul sito o meno. Questa situazione è la medesima di tanti altri siti ma caratterizza un certo “modo” di fare comunicazione/informazione. Un discorso simile vale per tutti gli altri ambiti di discussione telematici. Sebbene la tecnologia permette la partecipazione di tutti, questo non significa che automaticamente tutti partecipano. Sbandierare continuamente l’importanza rivoluzionaria della Rete, senza mai approfondirne realmente i meccanismi, può anche essere frutto di una scarsa conoscenza del funzionamento della comunicazione tramite computer ma, sicuramente, mostra quanto le persone sopravvalutano Internet ed i suoi strumenti. La semplice visita ad un forum ufficiale del M5S e la lettura dei messaggi pubblicati, dice più sul “movimento” di quanto fa un’intera analisi sociologica. Non sarà certo un blog o un tweet che distruggerà lo sfruttamento o la proprietà privata dei mezzi di produzione.

Qualcuno si potrebbe chiedere se il sistema parlamentare italiano è in grado di resistere alla presenza di una così nutrita pattuglia di “guastatori”. Non è certo la prima volta che le Camere accolgono l’arrivo di personaggi o gruppi considerati “non conformisti”, negli anni vi sono approdati (ex) extra-parlamentari “rivoluzionari” di origine marxista-leninista, almeno una notissima porno-star, bande di indipendentisti arrabbiati e via dicendo. In tutti i casi – salvo rarissime eccezioni – anche i più refrattari si sono, in qualche modo, adattati alle regole vigenti nel Palazzo. Anche se i nuovi arrivati sono intenzionati a mostrarsi “diversi”, una volta accettato di partecipare alla fiera elettorale difficilmente si può poi far finta che tutto sia come prima. Per cui anche il M5S dovrà fare i conti con le prossime importanti scadenze istituzionali, dalla formazione del governo all’elezione del Presidente della Repubblica. In tutti questi frangenti dovranno trovare una tattica che gli permetterà di conservare e magari di ampliare la base elettorale che da loro si aspetta – come sempre avviene in questi casi – più delle promesse fatte nei comunicati roboanti o nei comizi oceanici. Una necessità che può portare a scelte che poi si pagano.

I primi problemi si sono presentati subito con l’elezione dei Presidenti delle Camere, che hanno inizialmente visto il M5S mantenersi fermo sulle posizioni già ampiamente preannunciate, in quanto parte della loro strategia generale tesa ad evitare qualsiasi tipo di “connivenza” con i vecchi partiti. Ufficialmente si sono rifiutati di votare i candidati proposti dal PD, ma poi qualcuno ha cambiato idea al Senato, favorendo l’elezione di un presidente di “centro sinistra”.

Nel momento in cui scriviamo tutti danno per scontate nuove elezioni in tempi brevi. Volendo arrischiare una previsione, non particolarmente originale, riteniamo probabile che – in caso non si riesca subito a formare un governo – sarà lasciato ancora in sella il precedente esecutivo “tecnico” con l’incarico di gestire l’ordinaria amministrazione (come prevedono le norme) e procedere all’approvazione di una nuova legge elettorale. Questa soluzione andrebbe incontro agli interessi del PD che già ha i numeri per condizionare l’elezione del nuovo Capo dello Stato e del M5S che manterrebbe più facilmente la sua “integrità”, sperando che questa lo ripaghi alle prossime consultazioni. L’unica cosa ovvia è che il “movimento” non potrà portare avanti per sempre la tattica del rifiuto dell’inciucio con i partiti senza che si alzi, ogni volta, la posta in gioco.

Paradossalmente, ma nemmeno tanto, un sistema per spiazzare il M5S sarebbe quello di chiedere direttamente a Beppe Grillo di formare il nuovo Governo. Un suo rifiuto mostrerebbe le contraddizioni esistenti nel “movimento” e una accettazione sarebbe un vero e proprio suicidio politico in quanto il M5S non avrebbe certamente la capacità e le forze per gestire la situazione, il che andrebbe a tutto vantaggio degli altri partiti.

Nelle prossime settimane vedremo se avverrà, come alcuni hanno già predetto, una spaccatura all’interno di una forza politica così eterogenea, oppure se i “cittadini a 5 stelle” riusciranno a dare realmente del filo da torcere al ceto politico. In ogni modo vada a finire, il teatrino della politica ne ha guadagnato in novità, ma non è detto che questo sia necessariamente un bene per gli sfruttati.

Pepsy

[Pubblicato su “Umanità Nova”, n.12 del 31/03/2013]