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I “capri espiatori” nel XXI Secolo

La campagna vaccinale è stata caratterizzata da una incessante e martellante campagna mediatica, apertamente sostenuta dalla maggioranza dei politici e dal Governo, rivolta contro chiunque abbia mostrato poco o alcun entusiasmo di obbedire all’alluvione di Decreti e disposizioni di questi ultimi due anni. Una parte della popolazione convenzionalmente definita “no-vax” è stata additata come uno dei problemi principali da risolvere e quindi, anche se non sempre in maniera esplicita, come concausa dei danni provocati dalla pandemia.
La storia del “capro espiatorio” è vecchia quanto la Bibbia (Levitico 16) e non è certo la prima volta che viene individuata all’interno del corpo sociale un determinato gruppo di persone alle quali addebitare delle colpe particolarmente infamanti e che danneggiano tutta la popolazione: dalla caccia agli untori nel ‘500 e ‘600, ritenuti la causa della diffusione della peste alle Pétroleuse che vennero accusate di aver messo a fuoco Parigi al tempo della Comune del 1871. Per non dire poi della caccia alle streghe e alle sue mille varianti basate su pregiudizi razziali, religiosi, sessuali o politici. In ogni caso lo scopo principale di questa tecnica di manipolazione della realtà è stato sempre quello di distogliere l’attenzione dai veri colpevoli per concentrarla sulle vittime designate. Oggi alcune differenze rendono il caso dei “no-vax” alquanto diverso ma altrettanto funzionante.
In passato i “capri espiatori” venivano scelti tra le classi sociali che avevano meno possibilità di difendersi e che sopratutto non avevano accesso ai principali mezzi di comunicazione di massa che sono da sempre tutti ordinatamente allineati e schierati al fianco dell’ordine costituito e gli individui e i gruppi diventati un bersaglio protestavano la loro innocenza negando sempre di essere responsabili delle nefandezze che gli venivano attribuite.
Oggi invece chi è stato etichettato come nemico della salute pubblica ha rivendicato, in alcuni casi anche rumorosamente, la propria devianza dalle norme imposte e la composizione sociale dei “capri espiatori” non è stata caratterizzata da una divisione di tipo orizzontale. A essere incluse tra i reprobi sono state infatti fasce della popolazione appartenenti a tutte le classi sociali. A questo va aggiunto che la diffusione dell’uso di strumenti di comunicazione come la Rete ha reso meno incisive alcune delle tecniche di manipolazione dell’informazione utilizzate in passato. Essendo diventato più difficile ricorrere alle rozze motivazioni che in precedenza avevano costituito il nucleo centrale della propaganda statale oggi si è preferito trasformare la scienza in un Totem intoccabile, cercando di trasformare lo scontro in una guerra tra oscurantismo e progresso, tra credenze primitive e moderne, tra esperti e ignoranti, tra stupidi e intelligenti. Facendo somigliare la “Scienza” a una religione più che a un metodo razionale che ha come scopo la conoscenza del mondo.
Per esempio, si continua a suggerire che coloro che non si vaccinano siano un potenziale pericolo di contagio per tutti gli altri, contraddicendosi due volte: la prima perché, come tutti sanno, anche un vaccinato può essere contagioso e la seconda perché persino chi guarisce potrebbe contagiarsi e contagiare di nuovo.
Come è sempre accaduto le idee dell’insieme dei “capri espiatori” sono state tutte condensate, semplificate e generalizzate ed è stata creata una etichetta attaccata indiscriminatamente addosso a persone che spesso hanno ben poche cose in comune. In pratica chiunque abbia contestato i provvedimenti delle autorità o abbia anche solo criticato le innumerevoli contraddizioni degli “esperti” è stato immediatamente classificato come “no-vax”, mentre all’interno di quell’area si trova di tutto: persone che hanno paura di vaccinarsi in generale o farlo con questi vaccini, altri che credono che vaccinandosi il loro corpo diventerà proprietà della multinazionale che detiene i diritti sul prodotto iniettato, altri convinti che sia tutto un complotto volto a instaurare una “dittatura sanitaria”. Ad aumentare la confusione nella schiera dei “nemici del popolo” sono stati arruolati – volenti o nolenti – anche coloro che hanno provato a opporsi al “Green Pass” come strumento di discriminazione e spesso questi ultimi non hanno fatto abbastanza per evitare questa coscrizione forzata o per marcare chiaramente ed esplicitamente una distanza dalle posizioni dei primi. Il successo di queste vere e proprie campagne di disinformazione è stato favorito dal fatto che, spesso, nelle iniziative pubbliche si sono trovati gomito a gomito persone e gruppi che avrebbero molte più ragioni per protestare in piazze diverse.
La martellante campagna contro chi si sottrae all’obbligo di fare il proprio dovere è andata in crescendo nel tempo utilizzando veri e propri metodi di terrorismo mediatico per cui non passa un giorno che i mezzi di comunicazione non riportino almeno un caso nel quale si segnala la morte di una persona, anche solo appena sfiorata dalla notorietà, sottolineando che “non era vaccinata” o peggio che aveva rifiutato di farlo. Per non dire dei casi di intere famiglie “sterminate” dalla loro irresponsabile scelta.
Avere a disposizione un nuovo tipo di “capro espiatorio”, che oltretutto rivendica anche pubblicamente il proprio status, significa facilitare alle istituzioni il compito di dover giustificare (come avveniva in passato) tutte le colpe, le deficienze e le contraddizioni che da sempre contraddistinguono l’azione governativa.
Per esempio alcune delle critiche rivolte al modo nel quale viene gestita l’emergenza hanno fondamenti concreti ma possono essere tranquillamente trascurate in quanto chi le rivolge viene accusato, spesso non a torto, di far parte di una categoria che è tra le più coinvolte nella diffusione e nel sostegno delle “fake news” e quindi, per definizione, inaffidabile. A questo va aggiunto che le forze politiche hanno utilizzato lo spauracchio “no-vax” come strumento di lotta interna alla compagine governativa e di propaganda ai fini elettorali.
Contrariamente a quanto accadeva prima, le vittime sacrificali odierne sono pienamente coscienti di essere dei “capri espiatori” come è facile rilevare anche con una semplice ricerca su Internet dove abbondano scritti che lamentano questa condizione e dove qualcuno ha anche lanciato un paradossale appello alla vaccinazione anche dei più recalcitranti per togliere al governo anche l’ultimo alibi sulla sua incompetenza. Incompetenza che conduce a situazioni ridicole come nelle Università dove tutto i lavoratori (docenti e non) hanno l’obbligo di essere vaccinati ma agli studenti basta un tampone negativo per la frequenza.
Questo stato di cose ha ancora poco respiro in quanto – pur se formalmente inesistente – ormai l’obbligo vaccinale è stato esteso a un numero di categorie tale da lasciare fuori solo una infima minoranza della popolazione e si avvicina il momento nel quale l’etichetta “no-vax”, almeno per come è stata usata fino a oggi, sarà diventata un’arma spuntata, non più inutilizzabile.
Ma nulla vieta anzi è più che probabile che a quel punto, nel caso sia ancora necessario, verrà individuata una nuova minaccia da additare all’odio popolare e il giochino continuerà.

Pepsy

 

Green pass e controllo di massa

Uno dei tanti argomenti che in questi mesi poco felici viene ripreso nella comunicazione prodotta della composita galassia che si oppone alle misure prese dal Governo, in special modo da quella maggiormente appassionata di tesi complottiste, riguarda l’esistenza di un piano occulto di controllo della popolazione a livello globale che si servirebbe per raggiungere i suoi fini anche del “Green Pass” [1].
Come spesso accade quando si affrontano le teorie del complotto è possibile trovare all’interno della loro narrazione sia elementi sostanzialmente verificabili e reali, sia vere e proprie mitologie, sia una quasi inestricabile mescolanza tra i primi e le seconde. Quello che invece viene meno spesso sottolineato dai critici di questo genere di convinzioni è quanto concorrono ad alimentare questo tipo di credenze la confusione e la contraddittorietà che caratterizzano, oggi più che in passato, le decisioni prese dai legislatori.
Prendiamo, ad esempio, l’uso del “Green Pass” sui luoghi di lavoro.
Alla sua introduzione era stata vietata ai datori di lavoro la conservazione della certificazione che veniva richiesta ai lavoratori, prevedendo quindi un controllo quotidiano, con tutte le complicazioni che questo genere di obbligo comporta, sia per i lavoratori che per l’organizzazione del lavoro. In alcuni settori si sono usati altri sistemi: all’inizio dell’anno scolastico in corso, è stata messa in funzione dal Ministero dell’Istruzione una piattaforma on-line per automatizzare di questo genere di verifica. Il programma adottato permette di avere (in tempo reale) l’elenco del personale di una scuola e di verificare l’esistenza e la validità di un certificato o la segnalazione della sua mancanza. Anche in questo caso non è prevista la possibilità di conservare alcun tipo di dato in quanto il software prevede solo la generazione di liste nominative e la segnalazione dello status di ogni singola persona. La decisione di non permettere la conservazione di questo genere di informazioni deriva anche dal fatto che la stessa è vietata da un Regolamento vigente a livello europeo [2]. Come è evidente un sistema del genere non verifica la presenza o meno al lavoro di un dipendente ma esclusivamente il suo status.
La Legge 19 novembre 2021, n.165 [3] ha ribaltato completamente le regole precedenti disponendo che “Al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche […] i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro”. Questo provvedimento però non ha abrogato ma si è andato ad aggiungere alle norme precedenti causando, al posto della “semplificazione”, una ulteriore complicazione in quanto i lavoratori non sono obbligati a consegnare la propria certificazione e i datori di lavoro non possono pretenderla. Per cui oggi sussistono entrambe le possibilità.
L’esempio della confusione e della contraddittorietà appena fatto è uno dei “carburanti” che alimentano la macchina pseudo-informativa tanto diffusa oggi, soprattutto on-line.
L’uso di un qualche genere di documento relativo alla vaccinazione è comunque qualcosa che non preoccupa solo chi vi si oppone, in quanto lo scorso mese di agosto l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha pubblicato un documento [4] nel quale ha indicato le linee guida che andrebbero seguite per mantenere al sicuro i dati personali contenuti nei “passaporti vaccinali”, soprattutto nei confronti di terze parti, come per esempio datori di lavoro, farmacie, ecc… e la necessità di evitare che l’introduzione di questi documenti causi svantaggi e ingiustizie.
Questo per sottolineare quanto sia importante valutare attentamente che tipo di informazioni e a chi vengano messe a disposizione e quanto queste siano al sicuro da usi che possono discriminare o danneggiare una persona. A questo proposito è stata segnalata già da tempo l’esistenza in Cina di una App usata dalle autorità per raccogliere e archiviare le informazioni relative allo stato di salute delle persone e alla loro localizzazione, il cui uso si presta anche a controlli che nulla hanno a che vedere con la pandemia e a Singapore i dati usati per il tracciamento relativo al contagio da virus sono stati adoperati dalla polizia a scopi investigativi [5].
D’altra parte non si può certo nascondere il fatto che uno strumento come il “Green Pass” è in grado di fornire a chi ne abbia le chiavi un sistema di controllo capillare della popolazione, specialmente quando viene usato non solo per certificare dati di tipo sanitario ma anche per consentire l’accesso in determinati luoghi, rendendo possibile creare una sorta di mappa che indichi “dove” sono le persone (al lavoro, al ristorante, su un mezzo di trasporto, a uno spettacolo) anche senza che vengano usati i dati già forniti dai telefoni cellulari che potrebbero essere non disponibili, in quanto basta anche un foglio di carta sul quale è stampato il “QRCode”.
Il controllo sempre più capillare della popolazione non è certo iniziato con la diffusione del virus e la maggior parte delle misure prese in questi mesi ha, almeno in parte, accelerato questo processo rendendo molto più complicato opporsi a tecnologie che possono avere un impatto positivo rispetto all’arginamento del contagio ma che comportano sicuramente degli effetti collaterali non desiderabili dal lato del controllo sociale. Va anche sottolineato che, spesso, sopravvalutare l’aspetto tecnologico di questioni del genere mette in secondo piano che poi, in realtà, vengono sempre rafforzati i sistemi tradizionali, come per esempio dovrebbe avvenire a partire dai primi del mese di dicembre quando sarebbero necessarie migliaia di unità delle forze dell’ordine (qualcuno ha già proposto l’uso dell’esercito) per controllare che vengano realmente applicate le nuove norme sul cosiddetto “Super Green Pass”.
La necessità di uscire dalla situazione attuale e quella di evitare un aumento del controllo sociale è una delle tante contraddizioni che ci troviamo davanti in questo momento storico, come dimostrano le divisioni – anche profonde – che tutta la questione relativa alle iniziative “no Green Pass” hanno provocato tra coloro che dovrebbero essere dalla stessa parte della barricata.

Pepsy

Riferimenti

[1] Il “Green Pass” è una certificazione introdotta dal Decreto Legge 22 aprile 2021, n.52, il cosiddetto “Decreto Riaperture”.

[2] Si tratta del cosiddetto “GDPR” (General Data Protection Regulation), Regolamento UE 2016/679.

[3] La legge ha convertito, con modificazioni, il Decreto-legge n.127/2021.

[4] Vedi https://apps.who.int/iris/handle/10665/343361

[5] Vedi https://privacyinternational.org/examples/3417/china-alipay-health-code-app-controls-movement-china e https://www.reuters.com/article/us-singapore-tech-lawmaking/singapore-to-limit-police-access-to-covid-19-contact-tracing-data-idUSKBN2A20ZI

 

 

Didattica a distanza. Studenti come cavie

Il termine “proctoring” è probabilmente sconosciuto alla maggioranza delle persone ma basta davvero poco per capire di cosa si tratti. In lingua inglese viene chiamato “exam proctor” l’addetto al controllo nelle aule dove si tengono degli esami scritti, un personaggio ben noto a chiunque abbia partecipato a una prova di qualsiasi genere, per ragioni di studio o di lavoro.
Nel nostro caso il termine in questione è entrato a far parte del lungo elenco dei termini legati alle tecnologie informatiche a partire da quando, per cause ben note, la “didattica a distanza” (DaD) è diventata la principale (in alcuni casi l’unica) forma di interazione tra studenti e docenti, non solo per le lezioni ma anche per le interrogazioni che prima avvenivano con l’alunno presente in classe. In passato “imbrogliare” in situazioni del genere era alquanto complicato e chi ha frequentato, anche solo per poco tempo, una scuola non ha certo bisogno di ulteriori spiegazioni a riguardo.
La “DaD” ha sicuramente complicato, tra le tante cose, anche le classiche interrogazioni mettendo gli interrogandi in una posizione sicuramente più favorevole rispetto all’interrogante che in quel caso ha ridotte possibilità di controllo su quello che sta accadendo dall’altra parte dello schermo, soprattutto sulla parte che non rientra nel campo inquadrato dalla telecamera. Negli ultimi mesi sono stati registrati dalle cronache una serie di episodi limite riguardanti queste situazioni, tra i più sconcertanti quello degli studenti costretti a bendarsi per fare una interrogazione a distanza [1].
Questo genere di problemi non è nuovo e già da tempo gli addetti ai lavori hanno provato a porre rimedio a questo handicap dei docenti tramite una serie di strumenti tecnici, il “proctoring”, che nelle loro intenzioni dovrebbe ridurre al minimo o addirittura eliminare del tutto i possibili “trucchi” utilizzati dai discenti.
Si tratta in pratica di far gestire gli esami a distanza da software specializzati, che spesso però sono disponibili esclusivamente all’interno di una piattaforma gestita dalle aziende che li producono o li vendono. Programmi di questo genere erano in commercio già da tempo ma negli ultimi due anni hanno chiaramente avuto uno sviluppo inatteso e generato di conseguenza enormi profitti. Tra i principali produttori di questo tipo di applicativi c’è (guarda caso) la famigerata “Microsoft” che pubblicizza il suo “examus” [2] vantando anche il premio 2021 per la “migliore soluzione” nel settore del controllo degli esami a distanza. Sempre secondo la pubblicità il sistema sarebbe in grado di: controllare l’assenza della persone (sic!), riconoscerle e identificarle tramite la ricognizione facciale, riconoscere le emozioni, controllare il movimento degli occhi [3] e la voce. In aggiunta dovrebbe essere in grado di individuare se la persona oggetto del controllo stia usando un monitor secondario o se stia condividendo le immagini che compaiono sul quello che usa. Quasi sempre questi software sono anche in grado di individuare se sul computer dell’esaminando sono aperti altri programmi oltre a quello che serve per sostenere l’esame. Inutile sottolineare che l’uso di controlli del genere viene proposto anche al di fuori di una interrogazione a distanza in quanto possono essere utilizzati anche per verificare che gli studenti stiano attenti durante una lezione. La maggior parte degli altri produttori di “proctoring” pubblicizzano tutti – più o meno – le stesse caratteristiche.
Negli USA, dove questo genere di tecnologia del controllo è già in uso da molti anni [4], ci sono state proteste, non tanto contro l’idea di usare la tecnologia per scoprire uno studente che imbroglia, ma contro l’enorme quantità di dati personali che vengono registrate a archiviate dalle aziende che vendono questi sistemi. Per esempio nel dicembre del 2020 l’EPIC (“Elecronic Privacy Information Center”) ha presentato una denuncia contro 5 programmi tra quelli maggiormente usati [5].
In Italia, dove di solito certi problemi arrivano sempre con un certo ritardo, è notizia recente che una delle Università private più (come si dice) “prestigiose” si è vista sanzionare dal Garante della Privacy (Provvedimento n. 317 del 21/09/2021) una multa non proprio leggera di 200 mila euro perché utilizzava un software [6] che violava le norme del GDPR [7] sulla riservatezza dei dati. Non ci sono dati ufficiali ma si potrebbe tranquillamente scommettere che anche altri Atenei italiani già usano o stanno per iniziare a utilizzare questo genere di sistemi.
Il fenomeno riguarda anche il resto dei paesi europei dove i problemi collegati all’uso di questi programmi sono stati affrontati in modo contraddittorio: lo scorso mese di maggio l’autorità di controllo portoghese ha vietato a una istituzione educativa l’uso di questo genere di applicazioni [8], mentre in Danimarca un provvedimento analogo ne ha consentito l’utilizzo all’Università di Copenhagen [9]. A ulteriore dimostrazione di quanto le norme riguardanti gli strumenti informatici molto spesso non siano in grado di gestirne la complessità in modo appropriato.
Ma, nel caso del “proctoring”, in gioco c’è più che uno strumento per scoprire a distanza gli studenti impreparati o imbroglioni. Sistemi del genere possono essere molto facilmente utilizzati anche per il controllo da remoto dei lavoratori e questo in una situazione nella quale il cosiddetto “smart working” sta diventando una modalità lavorativa che molto probabilmente sopravviverà anche all’emergenza. Un sistema di sorveglianza affidato ad algoritmi che si pretende siano infallibili, non a caso tutti i software di questo tipo fanno riferimento all’uso della mitica “Intelligenza Artificiale” come garanzia di funzionamento, quando in realtà molte delle tecnologie usate – a partire dal riconoscimento facciale – sono ancora molto criticate per il loro malfunzionamento.
Sicuramente l’applicazione su larga scala di questi sistemi nell’ambito dell’istruzione è un ottimo banco di prova utilissimo sia per poi estenderli ad altri settori della società che per abituare, a partire dalle scuole, le persone ad essere controllate tramite un computer.
Gli studenti sono in questo momento delle vere e proprie cavie.

Pepsy

 

Riferimenti

[1] Vedi, per esempio, https://www.ilriformista.it/studentessa-bendata-durante-interrogazione-la-prof-non-si-fida-cosi-vediamo-se-sei-preparata-210168/
[2] https://examus.com/
[3] Molte teorie ritengono che il movimento degli occhi sia in grado di fornire dettagliate informazioni a proposito dei processi mentali di una persona, per cui tracciando questo movimento (spesso involontario) sarebbe possibile scoprire anche qualcosa che la persona vorrebbe nascondere.
[4] Secondo l’elenco pubblicato su https://www.baneproctoring.com/ sarebbero una cinquantina le Università statunitensi che usano sistemi di “proctoring”.
[5] Vedi https://epic.org/privacy/dccppa/online-test-proctoring/index.html
[6] Notiamo che il programma in uso alla Bocconi è tra quelli denunciati da EPIC, vedi sopra.
[7] Il GDPR (“General Data Protection Regulation”) è un regolamento dell’Unione europea in materia di trattamento dei dati personali, in vigore dal 2018.
[8] Vedi https://www.cnpd.pt/umbraco/surface/cnpdDecision/download/121887
[9] Vedi https://www.datatilsynet.dk/tilsyn-og-afgoerelser/afgoerelser/2021/jan/universitets-brug-af-tilsynsprogram-ved-online-eksamen#_ftn2