El pañuelo de Blanca

Oziose perdite di tempo e domande futili

Recentemente la piattaforma digitale della TV di stato ha messo a disposizione una serie di film girati da Ken Loach, un regista che ha diretto belle pellicole. Ho quindi avuto modo di rivedere (per la terza o quarta volta) “Tierra y Libertad” (1995) un film che mi è piaciuto fin dalla prima volta che l’ho visto. La storia è ambientata in Spagna, tra il 1936 e il 1937 e la trama saccheggia felicemente “Omaggio alla Catalogna” (1938) di George Orwell, un bel libro nel quale l’autore racconta la sua esperienza personale in Spagna durante i primi mesi della Rivoluzione.

La vicenda narrata nel film ruota attorno alla storia di un disoccupato inglese, David Carr, iscritto al Partito Comunista che decide di andare in Spagna a combattere il fascismo e si arruola in una brigata internazionale del POUM (Partido Obrero de Unificacion Marxista) un partito comunista non stalinista. Il resto della trama si può leggere sulla wikipedia.

Fin dalla seconda volta che ho visto il film ho notato un particolare che è quello che mi ha fatto sorgere una domanda (futile) alla quale non ho mai saputo dare una risposta certa.

In Spagna, negli anni nei quali è ambientata la storia era costume per i/le militanti legarsi al collo un pañuelo (fazzoletto) colorato che segnalava la propria appartenenza politica. I colori dei pañuelos erano sostanzialmente due: il rosso e nero usato dagli anarchici e dai militanti della CNT (Confereracion Nacional del Trabajo) l’organizzazione anarco-sindacalista alla quale aderivano anche comunisti non stalinisti e altri. Il fazzoletto di colore rosso invece era indossato da chi militava nell’area comunista in generale; scritte o simboli sul pañuelo potevano indicare in modo più preciso il partito di appartenenza.

Questa spiegazione è necessaria perché il particolare che mi è saltato agli riguarda proprio un pañuelo. Ma non uno qualsiasi bensì quello indossato nel film da Blanca, che possiamo considerare uno dei personaggi centrali della storia.

Fotogramma dal film "Tierra y Libertad"

Fotogramma 1

All’inizio del film, come si può vedere nel fotogramma 1, Blanca indossa chiaramente un fazzoletto rosso e nero e lo indossa da molto tempo almeno a giudicare dal fatto che il colore rosso appare alquanto sbiadito (è quasi un rosa) come accade ai tessuti esposti per molto tempo agli agenti atmosferici e/o sottoposti a molti lavaggi. Anche se il personaggio fa parte di una milizia del POUM la cosa risulta abbastanza coerente perché, probabilmente, Blanca lo indossa in quanto iscritta alla CNT. Del resto gli altri personaggi che fanno parte del gruppo di combattenti portano al collo, in maggioranza, fazzoletti di colore rosso in quanto militanti del POUM ma ce ne sono anche alcuni che indossano un pañuelo rosso-nero. Lo stesso protagonista maschile porta un fazzoletto rosso.

Fotogramma dal film "Tierra y Libertad"

Fotogramma 2

 

Più avanti nel film però si può notare che Blanca invece porta un pañuelo rosso, come si può vedere nel fotogramma 2 che è poi quello che indosserà fino alla fine.

Ecco, la domanda oziosa e futile è questa: il cambiamento di colore del fazzoletto di Blanca ha un significato all’interno della storia? Indica un cambiamento di posizione politica del personaggio in seguito agli avvenimenti narrati nel film? Questo sarebbe un segnale di quanta attenzione ci sia stata nella cura dei dettagli, persino di un semplice fazzoletto. Oppure si tratta semplicemente di un particolare trascurato da chi ha curato i costumi?

 

Non so se qualcuno/a si è posto la stessa domanda, ma so che se potessi sarebbe questa una domanda che farei a Ken Loach.

G 20 e mass media

Il “G20” è uno dei numerosi incontri internazionali che infestano il pianeta e che di solito servono a tutto fuorché a risolvere i suoi problemi globali. Prima del vertice di quest’anno, che si è tenuto in India, si è svolta (il 6 settembre) anche una riunione indetta da giornalisti che lavorano in alcuni dei paesi che fanno parte del G20, un incontro chiamato “M20 Media Freedom Summit”.
Gli argomenti trattati in questo incontro sono stati molti e la maggior parte hanno sicuramente una importanza globale non solo per gli addetti ai lavori ma anche per il resto della popolazione.
Molto spazio hanno avuto gli interventi riguardanti le ormai famigerate fake news: alcuni si sono lamentati della minaccia che la loro diffusione nei social media portano al lavoro dei giornalisti. Un attacco che avrebbe come scopo addirittura quello di distruggere la professione di giornalista, trasformando l’informazione e la comunicazione in un dibattito rissoso da bar. Altri hanno segnalato l’ennesima iniziativa, in questo caso promossa dall’inglese BBC, che avrebbe l’obiettivo di combattere le fake news attraverso un dialogo tra i produttori di notizie e le grandi piattaforme tecnologiche. Tra gli strumenti previsti una sorta di “allarme” che avverta gli addetti ai lavori nel caso le notizie false diffuse diventino di tendenza.
Altri interventi, più interessanti, hanno stigmatizzato la tendenza di alcuni politici (che spesso ricoprono incarichi governativi) a prendere di mira determinati giornalisti perché i loro articoli sono critici verso il loro operato. Non li invitano alle conferenze stampa o alle loro manifestazioni e a volte incitano i loro sostenitori sui social media ad attaccarli. Qualcuno ha ricordato che i problemi sorti quando nel 2013 vennero pubblicate su alcune testate giornalistiche le rivelazioni di Edward Snowden furono superati solo grazie a una collaborazione a livello internazionale che riuscì a battere chi avrebbe preferito il silenzio su quella vicenda. Per chi non lo ricordasse Snowden rivelò molti dei sistemi di controllo delle informazioni e della popolazione usati, più o meno legalmente, dai governi di tutto il Mondo. Qualcuno ha anche ricordato che i costi che devono sostenere coloro che vogliono fare informazione indipendente su Internet spesso rendono impossibile la loro esistenza se non ricorrendo a sponsorizzazioni che poi spesso influenzano le informazioni.
Tra gli interventi più interessanti quello di un giornalista che ha ricordato come la rivoluzione digitale portasse con sé una nuova speranza per la democrazia, per la condivisione della conoscenza, per la comunicazione senza confini e per la partecipazione dei cittadini. Oggi invece anche nelle democrazie elettive viene represso il giornalismo indipendente e lo strapotere delle piattaforme digitali stia deludendo quella speranza. Come dimostrato dalla storia di Wikileaks il cui fondatore Julian Assange sta oggi pagando un prezzo troppo alto per il suo impegno.
La cosa più significativa che però, in alcuni casi, è stata passata in secondo piano o è stata taciuta del tutto è che questa riunione, organizzata prima dell’apertura del summit proprio per portare le tematiche della libertà di informazione all’attenzione del G20, si sia svolta on-line (nove fusi orari differenti) e non dal vivo. Questo è avvenuto “a causa delle politiche restrittive del governo indiano – con visti per conferenze e visti giornalistici soggetti a livelli proibitivi di controllo” (da https://thewire.in/media/g20-m20-media-freedom-summit)
Basterebbe anche solo quest’ultimo fatto a dirla lunga sulla situazione della comunicazione e dell’informazione nel XXI secolo.

All’arme a sorpresa ma non troppo

Oggi è arrivato il terzo “allarme di prova” diffuso, almeno nella Regione dove vivo, negli ultimi quattro mesi, qui qualche osservazione sul primo.

Nella immagine a destra quello arrivato stamattina verso le 12:00

schermata di un allarme di prova trasmesso ai cellulariL’intestazione farebbe supporre anche a Watson che la cosa si dovrebbe ripetere, il condizionale è d’obbligo per quello che riguarda certe iniziative della pubblica amministrazione, con cadenza mensile.

Più che pensare alla vecchia storia di “al lupo, al lupo!” che molti avranno imparato fin da piccoli mi ha fatto venire in mente un simpatico paradosso imparato da grande secondo il quale non è possibile annunciare un evento a sorpresa quando viene definito l’ambito temporale nel quale dovrebbe verificarsi.

Provo a spiegare questo paradosso a chi non lo conosce.

Sappiamo (vedi sopra l’avviso che il test avrà una cadenza mensile) che nel prossimo mese di ottobre ci sarà, in un giorno a caso, un allarme di prova. Sappiamo che deve essere un giorno a caso altrimenti se tutti sapessero in che giorno viene diffuso verrebbe meno la sua funzione. Sappiamo che ottobre è un mese che ha 31 giorni (30 giorni ha novembre…) e che quindi il test dovrà necessariamente avvenire, in un giorno a caso, dal primo al trentuno ottobre.

In realtà il test non potrebbe avvenire il 31/10 in quanto se il giorno prima (il 30/10) non viene diffusa l’allerta sarebbe evidente che questo avverrà il giorno dopo e quindi non sarebbe più un giorno a caso. D’altro canto l’allarme di prova non potrebbe essere diffuso nemmeno il 30/10 in quanto se arrivati al 29/10 non fosse ancora stato diffuso sarebbe ovvia la scelta del 30/10 come giorno del test in quanto il 31/10 è escluso per la ragione spiegata sopra.

Ma, a questo punto dobbiamo escludere anche il 29/10 dai giorni possibili in quanto se arrivati al 28/10 non fosse ancora stato diffuso l’allarme di prova sarebbe ovvia la scelta del 29/10 come giorno del test in quanto il 30/10 e il 31/10 sono da escludere per le ragioni già spiegate.

Vi risparmio le ragioni per le quali bisogna escludere anche il 28/10, il 27/10 e così via.

Noto, con interesse, la scelta del giorno (11 settembre) per la diffusione di questo allarme ma evito di chiedermi se sia una coincidenza o meno in quanto il giorno in cui hanno spiegato a scuola come fare a capire cosa passa per la testa delle persone io ero assente.

Aggiornamento: dopo un nuovo test alle 15:30 circa, ne sono seguiti alle 16:30 circa altri 3 (tre)  nel giro di qualche minuto ! Tutti identici a quello di stamattina e quindi è inutile pubblicare lo screen-shot. Riflettendoci forse era meglio raccontare la storia di “al lupo, al lupo!” piuttosto che il pretenzioso paradosso.