Nei primi giorni di novembre sembrava proprio che fosse arrivata al termine la saga di “Twitter”. Dopo mesi di tira-e-molla Elon Musk, definito l’uomo più ricco del mondo, ha acquisito per la modica cifra di 44 miliardi di dollari il controllo di uno dei più conosciuti servizi di comunicazione su Internet.
Quello che spesso viene chiamato “blue birdie”, a causa del suo logo che rappresenta un uccellino blu, è un servizio aperto nel 2006 e che quasi immediatamente ha riscosso un grande successo, soprattutto tra i blogger e i giornalisti che ne hanno apprezzato la semplicità d’uso e la velocità. La limitazione del numero di caratteri (140) che si potevano usare per ogni messaggio (“tweet”) e la possibilità di spedirli da un telefonino anche non molto potente hanno sicuramente contribuito alla diffusione di uno strumento che alla fine del 2012 aveva 200 milioni di iscritti che sono diventati 396 alla fine del 2021. Nonostante i numeri, che posizionano “Twitter” alquanto in basso nella classifica (per quello che vale) dei “social network” la sua importanza nel panorama mediatico è stata superiore a quella di altri servizi con un numero di utenti ben superiore. Secondo alcune ricerche sociologiche a usare questo strumento sono soprattutto maschi, di età compresa tra i 25 e i 34 anni e residenti nella maggior parte dei casi negli USA e in Giappone. Uno dei fattori che hanno influito sulla sua crescita di importanza è il fatto che moltissime persone famose, in tutti i settori della vita sociale, hanno iniziato a utilizzarlo o, in alcuni casi, a pagare qualcun altro per farlo. Gli introiti dell’azienda derivano principalmente dalla pubblicità, fatta direttamente o tramite una delle altre società che sono state acquisite nel corso degli anni. Alla fine del 2021 “Twitter” aveva circa 7500 dipendenti.
L’ingresso del nuovo padrone è avvenuto in modo molto rumoroso visto che il personaggio sa che non c’è niente di meglio che una campagna pubblicitaria promozionale e soprattutto gratuita, immancabilmente arrivata. Subito dopo i primi annunci tutti i mezzi di comunicazione, vecchi e nuovi, hanno seguito il balletto che ha preceduto l’acquisizione vera e propria. Anche perché Elon Musk ha iniziato a rilasciare dichiarazioni sui cambiamenti che aveva in mente di attuare una volta entrato in possesso dell’azienda. Quello principale riguardava la politica di moderazione dei contenuti che è da sempre tra i problemi centrali in un qualsiasi “social” mentre il secondo aveva a che fare con le modifiche da implementare per migliorare la redditività del servizio.
Una volta acquisito “Twitter” si è sollevata una tempesta che ha colpito tutti, sia gli utenti del servizio che i dipendenti della società. Ai primi è stato annunciato che la “spunta” sul nome, vale a dire il simbolo che certifica “l’identità” di un utente, sarebbe diventata a pagamento. Per i secondi è andata molto peggio in quanto è stato anticipato che sarebbe stato licenziato addirittura il 75% del personale. Questi annunci hanno causato molto rumore e sono stati seguiti, come prevedibile, da una serie di smentite, di conferme, di passi in avanti e indietro. L’abbonamento per avere la “spunta” è passato da 20 a 8 dollari al mese e, in questo momento, è stato sospeso. Il numero dei dipendenti da licenziare è passato dal 75% al 50%, e secondo alcuni per risparmiare sulle buonuscite di quattro top manager (dai 20 ai 60 milioni di dollari a testa) sembra che Elon Musk li abbia licenziati “per giusta causa”, come diremmo in Italia.
Intanto, sempre per mantenere uno spazio sulle news, il nuovo padrone ha consigliato di votare il Partito Repubblicano nelle elezioni di medio termine che si sono tenute negli Stati Uniti la scorsa settimana. La pantomima potrebbe continuare ancora, tra il monumento dedicato al miliardario eretto dai gestori di una delle tante “criptomonete” e il commento complottista di Musk riguardante l’aggressione a Paul Pelosi marito di Nancy (Portavoce della Camera degli USA), poi cancellato; ma non aggiungerebbero molto di interessante alla storia. Nel suo primo discorso ai dipendenti, il nuovo padrone, sembra che abbia prospettato anche la possibilità di un fallimento dell’azienda a meno che non cambi – in modo radicale – il suo funzionamento.
Ed è questo forse uno dei punti chiave in quanto nel corso degli anni “Twitter” ha assunto un ruolo importante all’interno della comunicazione politica, soprattutto negli Stati Uniti, dove anche il Presidente in carica usa un account personale (“potus” che sta per President Of The United States) e si è molto spesso parlato della piattaforma sopratutto in relazione alle vere o presunte manovre da parte del governo russo per influenzare e manipolare la politica interna americana. L’importanza di questo servizio è iniziata probabilmente ai tempi di Barak Obama che è stato tra i primi a utilizzare in modo massiccio gli strumenti della comunicazione digitale. Non ci è voluto molto per rendersi conto che mentre uno spot televisivo può costare anche milioni di dollari un “tweet” ben scritto può raggiungere milioni di persone ed essere quasi gratuito. Allo stesso modo però un errore può essere pagato caro, come sa quel parlamentare costretto alle dimissioni nel 2011 per aver pubblicato una foto di troppo. Donald Trump, che ha fatto ampio uso di questa ribalta, ha avuto l’account “sospeso permanentemente” dopo l’assalto a Capitol Hill nel giorno della Befana del 2021.
Anche in Italia molti dei politici più noti scrivono (o fanno scrivere) su “Twitter” con risultati probabilmente meno impattanti che altrove ma che comunque vengono puntualmente ripresi dai mezzi di comunicazione di massa tradizionali.
Questa vicenda ha causato però qualche piccolo effetto collaterale positivo.
Nei primi giorni seguiti all’insediamento di Musk centinaia di migliaia di persone hanno abbandonato la piattaforma alla ricerca di strumenti di comunicazione alternativa. L’effetto di questi allontanamenti è stato visibile soprattutto su “Mastodon”, un software libero che ha un funzionamento molto simile a “Twitter” ma che, al contrario di esso si basa su una filosofia diversa, se non proprio opposta. Si tratta di una piattaforma non centralizzata ma formata da singoli server che possono essere “federati” tra loro e che permettono una buona interazione tra gli utilizzatori. Nelle ultime settimane molti mass-media (anche italiani) hanno indicato “Mastodon” come una possibile alternativa per gli utenti che hanno deciso di abbandonare il servizio del miliardario.
Questa sorte di terremoto avviene in un momento nel quale la situazione non è esaltante per il panorama dei “social” commerciali, visto che anche “Meta” (“Facebook”, “Instagram”, WhatsApp”, ecc…) ha recentemente annunciato il licenziamento di circa 11 mila dipendenti, il 13% del totale. E anche il settore delle “criptovalute” non se la passa molto bene.
Il futuro dell’uccellino blu non è ancora scritto, ma i problemi economici di una azienda che perde un milione di dollari al giorno, mescolati alla smania di protagonismo del suo nuovo padrone, potrebbero formare un miscuglio davvero esplosivo.
Il mercato e la finanza applicati alle aziende che operano nel mondo della comunicazione digitale hanno dato sempre il peggio di sé: da quando la tecnologia informatica è diventata un affare lucroso si sono susseguiti veloci periodi di crescita esponenziale e lo scoppio di “bolle” che hanno lasciato sul campo quelle che sembravano imprese indistruttibili. Ma anche in un settore che non produce, direttamente, beni materiali gli effetti di ascese e cadute si ripercuotono poi concretamente sulle persone.
Pepsy
[Pubblicato su “Umanità Nova”, n.28 del 20/11/2022]