Un governo vecchio

Internet vive di immagini, per cui alle principali notizie viene sempre collegata una foto o un piccolo clip video, anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Così, contestualmente all’elezione del Presidente del Senato è rimbalzata su tutto il web la sequenza iniziale del film “Sbatti il mostro in prima pagina” (regia di Marco Bellocchio, 1972). La pellicola si apre con delle immagini di repertorio dove si vede l’attuale seconda carica della Repubblica che arringa dal palco una piccola folla durante un comizio. È interessante, oltre alle immagini, ascoltare l’audio che ha registrato un piccolo brano del discorso, probabilmente quello finale:

“… italiani che non hanno rinunciato all’appellativo di uomini che si uniscano al di sopra delle fazioni, al di sopra dei partiti, al di sopra delle divisioni interessate e volute, al di sopra dell’ormai superato, in disuso e troppo a lungo sfruttato fascismo e antifascismo. Si uniscano per dire sì alla libertà nell’ordine… questa dimostrazione, questa manifestazione vuole dimostrare che è possibile battere il comunismo, che è possibile battere i nemici dell’Italia e insieme lo faremo. Viva l’Italia.”

Il filmato è stato girato a Milano, probabilmente nel 1972, nel corso di una manifestazione indetta da quella che allora si autodefiniva “maggioranza silenziosa”, un estemporaneo raggruppamento che metteva insieme forze provenienti da aree politiche diverse che coprivano uno spettro molto ampio: dagli iscritti al “Movimento Sociale Italiano” (MSI) a quelli del “Partito Socialista” (PSI), incluso ovviamente l’area della “Democrazia Cristiana” (DC) e degli altri partiti più piccoli. Un agglomerato del genere, che oggi verrebbe definito un movimento trasversale, aveva come suo principale collante un comune nemico il “comunismo” che in quegli anni era identificato nel “Partito Comunista Italiano” (PCI) ma anche nei tanti gruppi della cosiddetta “sinistra extraparlamentare”. L’anticomunismo rappresentava la paura degli strati privilegiati della società riguardo alla possibilità che in Italia ci potesse essere una rivoluzione comunista. Un primo tentativo di organizzare quella paura fu fatto nel 1970 da Edgardo Sogno, partigiano “bianco” e medaglia d’oro per il suo contributo alla resistenza, che aveva provato a fondare un movimento anticomunista, non caratterizzato esplicitamente da una ideologia fascista, che auspicava la trasformazione dell’Italia in una Repubblica presidenziale, ristabilendo i “valori di una democrazia occidentale e nazionale”.

L’anno successivo, il 1 di febbraio, fu invece costituita ufficialmente a Milano una associazione denominata proprio “maggioranza silenziosa”, nel corso di una riunione tenuta nella sede del “Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica” (PDIUM”).

Questa “maggioranza silenziosa” fece parlare di sé per poco meno di un paio di anni, soprattutto perché le sue iniziative pubbliche, che si tennero principalmente in alcune città del nord Italia, vennero quasi sempre contestate da gruppi della sinistra extraparlamentare.

Intanto l’espressione “maggioranza silenziosa” era entrata nel gergo giornalistico e fu usata molto frequentemente negli anni ’70 e solo sporadicamente in quelli successivi. Un fugace ritorno alla ribalta dei mezzi di comunicazione di massa di quella espressione avvenne in occasione della cosiddetta “marcia dei 40000”, la manifestazione tenuta a Torino il 14 ottobre del 1980 dai quadri della FIAT.

Tornando al giorno d’oggi e leggendo anche il discorso di insediamento fatto dal Presidente del Senato potrebbe sembrare che le elezioni del 25 settembre 2022 abbiano portato al governo una versione moderna di quella “maggioranza silenziosa” che scendeva in piazza 50 anni fa. Ma non è proprio così.

La Storia non si ripete esattamente allo stesso modo ma ci sono comunque molte somiglianze tra l’area sociale alla quale si rivolgeva il giovane capellone e barbuto del film di Marco Bellocchio e quella rappresentata oggi dai partiti al governo. Non c’è bisogno di dimostrare che “FdI” è un partito che ha raccolto l’eredità del “MSI” e che sia “FI” che “Lega” sono l’attuale incarnazione dei vecchi partiti di centro e di sinistra che hanno governato l’Italia per tutta la cosiddetta “prima repubblica”. Il superamento della discriminante antifascista, auspicata nel comizio del 1972, è ormai avvenuto da tempo e le componenti politiche di una sorta di “maggioranza silenziosa” sono nuovamente insieme al governo. Di nuovo perché l’attuale non è certo il primo governo formato da quel tipo di maggioranza. Dal 1994 al 2011 si sono succeduti in continuità, salvo un breve intervallo i governi: Berlusconi I (1994), Berlusconi II (2001-2005), Berlusconi III (2005-2006) e Berlusconi IV (2008-2011) che hanno visto riuniti insieme sempre gli stessi partiti. Volendo trovare una differenza quelli precedenti si potrebbero definire governi di “centro-destra” e l’attuale potrebbe essere definito di “destra-centro”, solo per sottolineare che gli equilibri di quella coalizione si sono spostati a favore di un partito erede del fascismo storico.

Ma nel recente passato molti dei provvedimenti legislativi che hanno peggiorato le condizioni di vita dei più poveri non sono stati sempre adottati da governi di “centro-destra” ma piuttosto da quelli che si definivano di “centro-sinistra”: la deregolamentazione dei contratti di lavoro è iniziata con il cosiddetto “pacchetto Treu” preparato durante il Governo Dini (1995-1996) e portato a compimento dal Governo Prodi I (1996-1998). La riduzione delle tutele dei lavoratori, previste dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, è stata ottenuta attraverso il cosiddetto “Jobs Act” approvato durante il Governo Renzi (2014-2016). Solo per citare i due esempi più eclatanti.

Il peggio di sé questo governo non lo potrà dare nella politica estera, visto che si dovrà allineare (volente o nolente) al carro della NATO e nemmeno in quello economico, dove a comandare sono le solite istituzioni sovranazionali alle quali, chiunque sia al governo, deve obbedire. Andrà probabilmente peggio sul campo interno, dove potranno essere prese delle decisioni che hanno globalmente uno scarso impatto economico ma che possono provocare grossi danni sociali.

Il logoro e lugubre terzetto “Dio, Patria e Famiglia” (tutto con la maiuscola) verrà declinato in tutte le sue varianti, e ci sarà sicuramente un aumento della demagogia che fa comunque parte di ogni compagine governativa. Ma anche questo inossidabile terzetto verrà rivisitato in senso moderno e sarà quasi irriconoscibile rispetto a quello tradizionale per cui verrà fatto di tutto per rendere più difficile la scelta di interrompere una gravidanza ma difficilmente verrà abrogata la Legge 194. E probabilmente nemmeno il più accanito nostalgico del fascismo proporrà di eliminare la legge sul Divorzio che, alle origini, era uno dei principali obiettivi della battaglia della destra, in quanto minava la famiglia e andava contro l’indissolubilità del sacramento religioso del matrimonio.

Demagogia che già si è vista in azione a partire dalle nuove denominazioni dei Ministeri, come se bastasse cambiarne il nome per modificare qualcosa. Demagogia nei primi provvedimenti annunciati il cui impatto sarà molto più mediatico che concreto. In alcuni casi le differenze tra l’esecutivo in carica e quelli precedenti non sarà apprezzabile, proprio in questi giorni si legge della decisione di mantenere l’ergastolo “ostativo” (la legge secondo la quale un ergastolano non pentito non può accedere ad alcun beneficio) introdotta dal precedente governo e questo nonostante sia stata già definita la sua incostituzionalità. In altre parole probabilmente verranno confermate e/o peggiorate tutte le scelte già fatte da governi “antifascisti”.

Questo non significa che non ci siano differenze tra avere al Governo degli (ex) fascisti piuttosto che degli (ex) democristiani o degli (ex) comunisti, ma che le differenze tra le politiche portate avanti dagli schieramenti politici in Parlamento sono davvero minime e comunque ci sono sempre più punti in comune che punti divergenti tra “centro, destra e sinistra”.

Nei prossimi mesi il gioco delle parti vedrà la cosiddetta “opposizione” lanciarsi in molto poco credibili campagne per i “diritti sociali”, saranno esattamente gli stessi che quando erano al Governo hanno colpevolmente ignorato per anni, lasciando nel dimenticatoio provvedimenti come lo “ius soli”, il diritto a un degno fine vita e la liberalizzazione del consumo e della coltivazione della cannabis, giusto per citare i primi tre esempi che vengono in mente.

Dalla parte sua l’esecutivo in carica ha oggi, oltre che una maggioranza parlamentare abbastanza solida, anche la fortuna di avere una donna come capo di governo, cosa impensabile nella “maggioranza silenziosa” degli anni ’70, il che ha provocato anche una sorta di piccolo corto circuito culturale. Oltre alla scontata constatazione che, nonostante tutte le belle parole spese negli ultimi 50 anni dai partiti e dai movimenti di sinistra, la prima donna Presidente del Consiglio è cresciuta nell’ambiente delle formazioni studentesche di estrema destra piuttosto che in qualche collettivo femminista.

Il paragone con la vecchia “maggioranza silenziosa” è servito solo per segnalare che l’ideologia che sta dietro al nuovo governo non è poi così nuova come vogliono farci credere, ignorando colpevolmente la storia recente che ha visto i politici di “FdI” al governo in più di una occasione, anche se sotto altro nome. Questo non vuol dire che l’antifascismo debba andare in pensione, in quanto la vittoria elettorale del 2022 sicuramente sarà di stimolo ai più nostalgici del 1922 per provare a sollevare la testa magari sperando in una benevolenza da parte dell’autorità costituita, benevolenza che non è certo mancata fino a ieri, visto che a Predappio manifestano da anni.

Una delle differenze più evidenti tra il 1972 e oggi è che allora era molto diffuso, in campo lavorativo, politico e sociale, un movimento di ribellione con il quale dovevano fare i conti tutti i partiti e i governi, che reclamava – con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti – più diritti per tutti e un radicale cambiamento sociale. Un movimento che oggi non c’è, nemmeno mettendo insieme tutte le varie e diverse esperienze di lotta che esistono. Un movimento che non può essere fatto rinascere basandosi esclusivamente sulla risposta emozionale agli allarmi antifascisti.