Libertà per Julian Assange

Nel corso del mese di ottobre di quest’anno ci sono state a livello mondiale, Italia compresa, numerose iniziative di protesta contro l’estradizione di Julian Assange che è detenuto dall’aprile del 2019 nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nei pressi di Londra. Il governo britannico ha infatti deciso, a giugno 2022, di concedere l’estradizione richiesta dagli Stati Uniti che accusano Assange di vari reati tra i quali quello di spionaggio. Queste notizie non sono nascoste, ma non è certo un caso che siano collocate lontano dalle prime pagine e principalmente relegate negli spazi che si occupano di giornalismo e di comunicazione elettronica nonostante in passato la vicenda alla quale fanno riferimento ha occupato la ribalta mediatica per mesi.

Nel 2010, quando Wikileaks (fondato da Assange ed altri nel 2006) pubblicò sul web una serie di documenti riservati relativi alla politica statunitense e internazionale, lo fece con una azione concordata e coordinata con alcuni dei più importanti e diffusi quotidiani di tutto il mondo e il nome di Assange diventò famoso quanto quello di una rockstar. Il materiale diffuso riguardava soprattutto le guerre in Irak e Afganistan e migliaia di messaggi che si erano scambiati i diplomatici di tutti i paesi. La vicenda fu raccontata da tutti i mezzi di comunicazione del pianeta. Sempre nel 2010 la Svezia spiccò un mandato di cattura contro Assange a causa di alcune denunce per violenza sessuale e chiese la sua estradizione. L’accusato, che si proclamava innocente, si rifugiò nel giugno del 2012 nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra nella quale ha soggiornato fino al 2019 quando, venuta meno la protezione delle autorità diplomatiche, fu arrestato e condannato a 50 settimane di carcere per aver violato la libertà vigilata alla quale era sottoposto. Nel 2017 gli inquirenti svedesi hanno lasciato cadere le accuse di violenza sessuale in quanto ritenevano che fossero passati troppi anni dagli eventi denunciati ma, nel 2019, hanno annunciato di avere ripreso nuovamente le indagini sul caso.

Intanto, anche con Assange fuori gioco, il sito Wikileaks ha continuato a mettere in Rete materiali riservati e nel 2015 il suo archivio conteneva già più di dieci milioni di documenti.

Nel 2016 vennero pubblicati i cosiddetti “Yemen files”, e-mail e altro materiale prodotto dalle autorità statunitensi riguardanti la guerra in corso in quel paese e documenti sulla repressione seguita al fallito colpo di stato in Turchia. Nel 2017 fu la volta di file della CIA e informazioni riguardanti la sorveglianza digitale in Russia. Nel 2018 finirono su Internet i dati personali di alcuni impiegati della sezione del Ministero degli Affari Interni degli USA che si occupa della gestione degli immigrati e le carte relative a uno scandalo per tangenti che coinvolgeva un’impresa pubblica francese e gli Emirati Arabi Uniti. Nel 2019 vennero pubblicati documenti interni della “Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche” riguardanti la sua inchiesta su quanto avvenuto nell’aprile dello stesso anno nella città di Douma, in Siria. Nel 2021 fu la volta di 17mila file riguardanti due gruppi di estrema destra statunitensi.

Julian Assange, come si può facilmente capire leggendo la sua storia, riassunta anche in un film, non è un personaggio “facile” e sicuramente le sue contraddizioni possono renderlo estremamente simpatico o antipatico, per cui sarebbe meglio riflettere sul ruolo che ha avuto un progetto come Wikileaks all’interno della comunicazione elettronica e più in generale del sistema dell’informazione mondiale.

La digitalizzazione dei documenti e degli archivi permette oggi cose che fino l’altro ieri erano quasi impossibili; impossessarsi di nascosto di 400 mila documenti di carta, che sono più o meno il numero dei cosiddetti “Irak file”, e trasportarli da qualche parte sarebbe stato impossibile e per fare lo stesso con i “War logs”, che erano un numero sette volte maggiore, ci sarebbe voluto un supereroe. Tanto è vero che alcuni sostengono che gli apparati riservati dei vari governi hanno ripreso a tenere archivi di carta piuttosto che digitali.

A questa facilità di archiviazione e trasporto dei dati va aggiunta la possibilità di diffonderli facilmente, tramite Internet, in tutto il mondo e il fatto che, sempre utilizzando strumenti informatici, è possibile salvaguardare la sicurezza di chi rischia il carcere o la vita per rendere pubbliche informazioni che i governi hanno tutto l’interesse a mantenere segrete, come, per esempio, quelle persone che in queste settimane stanno mettendo a disposizioni di tutti le immagini e le notizie su quello che sta accadendo in Iran.

Non va però mai dimenticato che, sempre allo stesso modo, la tecnologia in uso viene utilizzata anche per diffondere la disinformazione degli stati e dei loro apparati e che è alla base di tutti i loro nuovi sistemi di controllo. Ma questo è qualcosa che è sempre avvenuto anche prima che i computer invadessero il mondo.

Julian Assange è diventato il simbolo di chi lotta per smascherare gli affari sporchi dei governi, così come Edward Snowden nel 2013 è diventato quello di chi ha rivelato i programmi e gli strumenti di controllo messi a punto dalla famigerata NSA, l’Ente statunitense incaricata del controllo della comunicazione mondiale. Snowden, accusato di reati molto simili a quelli a carico di Assange, dopo essere fortunosamente sfuggito all’arresto ha ottenuto nel 2020 la cittadinanza russa il che lo ha messo, almeno per il momento, al riparo dalla vendetta del governo degli USA. Secondo notizie, ovviamente non confermate, ai vertici della CIA si sarebbe discusso sulla possibilità di rapire o assassinare Assange. Attendibile o meno che sia questa notizia sta di fatto che rapimenti e omicidi ordinati e messi in atto da quella struttura non sono solo leggende metropolitane.

Allo stato attuale la sorte di Assange, che negli USA rischia una condanna fino a 175 anni di carcere, è legata da una parte a quello che farà o non farà il governo dell’Australia (suo paese di nascita) che potrebbe intralciare la procedura di estradizione ma che ancora non si è pronunciato ufficialmente e dall’altra all’appello presentato a luglio di quest’anno alla Corte Suprema inglese.

Contro l’estradizione si sono mosse, più di una volta, numerose associazioni per i diritti umani e per la libertà di informazione e migliaia di persone hanno partecipato a iniziative di sostegno.

Protestare contro l’estradizione di Assange significa impedire che egli faccia paradossalmente da capro espiatorio per aver reso pubbliche notizie che mostrano la criminalità di stati e governi. Significa difendere la libertà di chi, anche oggi e domani, abbia il coraggio di svelare i retroscena di quello che accade realmente dietro l’apparenza. Significa utilizzare una tecnologia invadente e spesso dannosa in modo diverso. Ma significa anche difendere il diritto alla comunicazione e informazione di tutti e tutte, anche di chi non ci crede.

Pepsy

[Pubblicato su “Umanità Nova”, n.25 del 30/10/2022]