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Simboli orgogliosi

Sabato 7 settembre ero a Lucca a fare foto al “Toscana Pride”. Più che le facce mi piace fotografare striscioni, cartelli, bandiere e simboli vari. Di seguito qualcuna delle foto e qualche riga di commento.
striscione Lo striscione dell’Unione deli Atei e degli Agnostici Razionalisti non lascia adito a dubbi, forse qualcun* non sa o non si ricorda che “Il paradiso può attendere” (Heaven Can Wait) è il titolo di un film del 1978 quando molt* dei partecipanti al Pride non erano ancora nati. Il messaggio comunque è chiaro e forte.

cartello

 

Forse il cartello più stravagante che ho visto è quello con su scritto “Casa Proud”. La provocazione è evidente anche se il ragionamento non è proprio chiaro. Credo che anche per questo sia stata aggiunta una coppia di bandiere “Antifa” e una casetta con una bandiera arcobaleno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

striscioneContinuo ad avere problemi con questo slogan per la sua estrema ambiguità e per il fatto che è usato sia da sostenitori dello Stato di Israere che da sostenitori della causa palestinese. Come ho già scritto su questo blog preferisco di gran lunga “From the river to the sea all people must be free” che sicuramente è un pessimo inglese ma altrettanto sicuramente non si presta ad ambiguità. Pazienza.

bandiera

 

Non mi sembra di aver visto uno striscione “ufficiale” ma c’era questa bandiera solitaria dell’Ordine degli Psicologi. E le psicologhe? Sarebbe pretendere troppo?

Dimenticare è impossibile

Il 1974 è, come quasi tutti gli altri anni di quel decennio, segnato da avvenimenti destinati a restare a lungo nella memoria personale di chi ha vissuto quei momenti e in quella collettiva di chi invece li conosce solo attraverso la mediazione del racconto storico.

Ricordiamo velocemente e disordinatamente solo pochi dei fatti che segnarono quell’anno collocato quasi a metà di un periodo che da alcune persone è stato bollato come famigerato mentre per altre è rimasto indimenticabile. E probabilmente sono vere entrambe le cose.

In Italia nel corso di dodici mesi si diedero il cambio quattro formazioni di Governo: Rumor IV, Rumor V, Rumor V.bis e Moro IV; un Referendum popolare confermò la Legge sul divorzio messa in discussione dai cattolici e dalle forze di destra; le “Brigate Rosse” rapirono e poi liberarono il giudice Mario Sossi, i “Nuclei Armati Proletari” sequestrarono l’industriale Giuseppe Moccia che fu rilasciato dietro il pagamento di un riscatto di un miliardo di lire. A Brescia una bomba uccise 8 persone e ne ferì più di un centinaio; a San Benedetto Val di Sambro (BO) una bomba collocata su un treno uccise 12 persone e ne ferì più di una cinquantina. E qui ci fermiamo perché l’elenco degli avvenimenti di quell’anno potrebbe riempire diverse pagine mentre il nostro scopo è quello di soffermarci solo su uno di essi.

La mattina del 28 maggio del 1974 in Piazza della Loggia a Brescia era in corso una manifestazione indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista locale per protestare contro la dilagante violenza fascista e non a caso: solo pochi giorni prima (il 19 maggio) il giovane fascista Silvio Ferrari era rimasto ucciso nell’esplosione della bomba che trasportava sullo scooter con l’obiettivo di compiere un attentato contro una sede sindacale.

L’ordigno fu messo in un cestino dei rifiuti e scoppiò mentre si stava svolgendo il comizio, provocando la morte di cinque insegnanti e di tre pensionati che stavano partecipando all’iniziativa. Del fatto resta, oltre alle foto dei corpi a terra, la registrazione del rumore dell’esplosione e di quella voce che subito dopo invitava alla calma le persone ancora in piazza.

Per quell’attentato ci sono stati, nel corso dei successivi 50 anni, diversi procedimenti istruttori e processi che non sono mai riusciti a mettere la parola fine a quella strage, vale a dire individuarne con certezza i mandanti e gli esecutori. Rinvii a giudizio, condanne, assoluzioni sono arrivate incredibilmente fino a oggi e non per modo di dire. Risale infatti all’anno scorso un ennesimo rinvio a giudizio per strage di un fascista che nel 1974 era ancora minorenne. In questo la storia giudiziaria della Strage di Brescia ha seguito una sorte quasi identica a quelle delle altre stragi che hanno insanguinato quel decennio, anche loro destinate a seguire percorsi investigativi e giudiziari contraddittori e interminabili, senza mai raggiungere una verità definitiva e senza ombre, cosa che forse non era nemmeno possibile.

C’è però un’importante differenza che distingue quanto accaduto il 28 maggio del 1974 dagli altri attentati dello stesso genere avvenuti in quegli anni, in quanto in quel caso si è trattato di un’azione esplicitamente diretta contro una determinata e precisa parte sociale. Quella di Brescia non è stata una bomba “lanciata nel mucchio”, di quelle che colpiscono in modo indiscriminato chi ha la sventura di trovarsi nel momento sbagliato nel posto sbagliato, ma è stata l’espressione di una esplicita volontà di uccidere il maggior numero possibile di nemici politici, di lavoratori, di sindacalisti, di attivisti e simpatizzanti di sinistra, di antifascisti. In altre parole le persone che quella mattina erano in piazza a Brescia e di riflesso tutte quelle che in quegli anni in Italia si opponevano al rigurgito neo-fascista fatto di spedizioni punitive ma anche di attentati. L’attentato in Piazza della Loggia non può avere che un “unico” colpevole, un’unica firma, quella fascista. Un avvenimento per il quale è infatti stato quasi impossibile costruire teorie, più o meno fantasiose, come spesso si è provato a fare nel corso degli anni a proposito di altre stragi altrettanto o anche più note.

Oggi i politici al governo e i loro sostenitori non perdono occasione per affannarsi a sostenere che il fascismo è finito nel 1945 e che gli attuali esponenti dei partiti di destra non hanno niente a che fare con quella ideologia e che parallelamente non avrebbe più ragione di esistere nemmeno l’antifascismo. Per diffondere queste bugie sono costretti a rimuovere tutto quello che gli eredi del Ventennio hanno fatto dopo Piazzale Loreto, o a trasformarlo in un semplicistico “scontro” tra estremisti di destra e di sinistra, qualcosa giustificato da motivazioni ideologiche, facendo finta di non sapere che in quegli anni gli “scontri” avevano come sfondo delle stragi. Anni caratterizzati dai movimenti dalle lotte dei lavoratori, delle donne, degli studenti, dei disoccupati. Movimenti che i fascisti eredi di quelli sconfitti dall’antifascismo hanno provato a colpire con le stragi e con la complicità e la copertura di organismi istituzionali. La storia della Strage di Brescia ce lo ricorda ormai da mezzo secolo.

A proposito della libertà di espressione

Contestare un* politic* che parla è sicuramente un atto contro la sua libertà di espressione ma è contemporaneamente spesso l’unico modo per protestare contro chi rappresenta concretamente la discriminazione esistente nella società tra coloro che detengono anche il potere legato alla diffusione delle proprie idee e coloro che non hanno voce per fare la stessa cosa.
Le due cose sono strettamente collegate, limitarsi a prendere in considerazione esclusivamente una parte è, ancora una volta, la dimostrazione che esiste una diseguaglianza tra chi può permettersi di esprimere il proprio pensiero e chi invece ha difficoltà a farlo.
Viviamo in una società nella quale la libertà di parola è tanto più ampia quanto più soldi hai, tanto più ampia quanto più sei in una posizione di potere.
Una società dove esiste una diseguaglianza anche per un diritto fondamentale come la libertà di espressione.
E le diseguaglianze vanno combattute.