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Genova 20 anni e dopo (4)

Altri quattro articoli tra quelli pubblicati sul settimanale anarchico “Umanità Nova” a proposito di quello che è successo dopo le tre giornate di Genova del luglio del 2001.

Gli articoli precedenti si trovano qui:
Genova 20 anni e dopo (1)
Genova 20 anni e dopo (2)
Genova 20 anni e dopo (3)


Umanità Nova n.35 del 4 novembre 2007

Genova 2001. Vendetta di Stato

“Subii una carica della polizia davanti alla Questura di Genova. Beccai una manganellata da un poliziotto per difendere un mio amico poliomelitico.” (Claudio Scajola)

Alla fine sono arrivate la richieste dei PM al processo in corso a Genova contro 25 persone accusate di “devastazione e saccheggio, più di due secoli di carcere (224 anni e sei mesi), con pene che vanno da 6 a 16 anni. Anche se era facilmente prevedibile la richiesta di condannare quelli che sono diventati, a tutti gli effetti, dei capri espiatori nessuno si aspettava richieste tanto pesanti per quanto avvenuto durante le proteste di piazza del luglio 2001.
A queste si aggiungono quelle dell’Avvocatura dello Stato che ha chiesto 2,5 milioni di danni che sono però principalmente “danni di immagine”. Evidentemente, ma già lo sapevamo, le foto ed i filmati degli agenti che pestano a sangue persone inermi fanno solo del bene all’immagine dello Stato.
Le premesse per questo finale c’erano davvero tutte: il reato contestato,che prevede dagli 8 ai 15 anni di reclusione e che permette un processo collettivo piuttosto che procedimenti separati, l’uso della “compartecipazione psichica” per cui chiunque si trova nei pressi di uno scontro ne diventa immediatamente corresponsabile, e, non ultimo, il clima attuale che pone al centro del dibattito politico la “tolleranza zero” contro lavavetri e imbrattamuri, figuriamoci contro chi osa lanciare un sanpietrino, rovesciare un cassonetto o rubare un prosciutto in un supermercato.
In un contesto del genere e favorita anche dal quasi completo disinteresse per tutti i processi riguardanti i fatti di Genova, nelle ottanta e passa udienze è stata fatta una ricostruzione di quanto avvenuto in quei giorni mirata esclusivamente ad incastrare i malcapitati in un teorema che li vede, insieme alle centinaia di migliaia di persone che arrivarono a Genova, come gli unici responsabili delle violenze. Una ben strana giustizia quella che chiede “pene severe ma non esemplari”, ma che vorrebbe punire chi ha rotto una vetrina con la stessa pena di chi ha ammazzato una persona.
Ma è la stessa giustizia che ha già, ripetutamente, condannato il Ministero degli Interni a risarcire le ferite che gli agenti hanno causato ad alcuni manifestanti. La stessa che sta processando decine di agenti e di funzionari per le violenze perpetrate alla Scuola Diaz ed a Bolzaneto contro persone inermi, ben sapendo che questi processi si risolveranno in un nulla di fatto. La stessa che ha mandato assolto l’assassino di Carlo Giuliani. La stessa che ha arrestato la settimana scorsa cinque persone a Spoleto, per “terrorismo”, senza trovargli in casa neppure una fionda.
Intanto, proprio negli stessi giorni, il Parlamento ha discusso le nuove misure repressive (il “pacchetto sicurezza”) contro chiunque osi disturbare il meraviglioso mondo che ci circonda, e la Commissione Giustizia ha dato parere favorevole alla costituzione di una inutile commissione di inchiesta sui fatti del luglio 2001.
Genova pesa ancora sulla coscienza di tutti quelli che, in quei giorni, pensavano fosse giusto far sentire la propria voce ai potenti della Terra, pesa ancora di più su quelli che hanno costruito su quel movimento le loro fortune politiche. Il processo non è ancora finito, le condanne proposte non sono ancora state eseguite, ma il segnale è arrivato chiaro e forte.
Si tratta di vedere adesso se esiste ancora la forza e la voglia di ritornare nelle strade.

Pepsy


Umanità Nova n.36 dell’11 novembre 2007

A Genova. Non solo per ricordare

Nei giorni immediatamente seguenti ai fatti del luglio 2001 le città, italiane ma non solo, vennero attraversate da manifestazioni nel nome di Carlo Giuliani. Centinaia di migliaia di persone che avevano partecipato alle proteste contro il G8, una volta tornate a casa raccontarono a tutti quello che era successo a Genova. Molti descrissero gli inseguimenti ed i gas dei lacrimogeni, tanti mostrarono i segni che i manganelli avevano lasciato sulla loro pelle e tutti avevano ben impresso nella memoria il significato del termine “violenza di stato”.

Il 17 novembre prossimo è stata indetta una manifestazione a Genova per protestare contro le richieste di condanna formulate nel processo a 25 tra le centinaia di persone che furono arrestate in quei giorni di luglio. La pesantezza delle accuse e delle pene chieste (225 anni di carcere e milioni di euro di risarcimento) non riguardano solo un gruppo di violenti, come vorrebbe far credere chi sostiene le tesi colpevoliste. Ad essere processato è tutto un movimento che, a partire da quella esperienza, ha provato a lottare contro il capitalismo globale attraverso l’opposizione alla guerra ed alle politiche di sfruttamento e di oppressione che ne sono un inestricabile corollario.

La spinta iniziale di Genova si è però scontrata contro diversi ostacoli: da una parte, il tentativo di recupero (parzialmente riuscito) di quella forza all’interno del teatrino istituzionale. Dall’altra c’è stato, col passare del tempo, il disimpegno di tanti di quelli che 7 anni fa si erano impegnati in prima persona. A questo va aggiunto lo scarso sostegno dato durante tutti questi anni alla difesa di coloro che sono diventati gli agnelli sacrificali sull’altare dell’attuale politica che sta costruendo, giorno dopo giorno, la società futura a forma di carcere.

È anche per questo che si dovrebbe essere di nuovo in piazza a Genova, per gridare con determinazione la nostra opposizione alla deriva securitaria che in questi giorni sta mostrando tutta la propria barbarie, a forza di rappresaglie in stile nazifascista e di razzismo in doppiopetto. La caccia al diverso, che si svolga con gli strumenti della legge o con quelli delle squadracce, è parte della stessa politica messa in atto nel 2001.

Questa manifestazione rischia però di arrivare forse troppo tardi per dare la necessaria solidarietà e il sostegno dei quali c’era bisogno fin da subito e per riannodare il filo rosso che ha portato a Genova una intera generazione. E sarebbe anche un errore mobilitarsi in sostegno a quelli che si pongono come obiettivo una inutile commissione di inchiesta su Genova, visto che sono gli stessi che hanno fin dall’inizio scaricato la colpa di tutto sul blocco nero falsamente accusato di essere connivente con la polizia, gli stessi che in questi giorni in parlamento stanno sostenendo la caccia allo straniero.
Ma, cosa più importante di tutte, bisognerebbe riprendere ad interrogarsi collettivamente non solo sugli eventi di Genova, ma anche su tutto quanto è avvenuto fino ad oggi ad un movimento che sembrava avesse un futuro davanti a sé e che poi invece non è stato più capace di esprimere pienamente le potenzialità mostrate in quei mesi. Proprio oggi che ce ne sarebbe maggiormente bisogno.

Le diverse lotte in corso, dal “NO-TAV” al “NO Dal Molin” (solo per citare quelle più note), mostrano che non tutto è fermo, che una delle strade percorribili passa in questo momento attraverso il coinvolgimento delle popolazioni su tematiche concrete. Una sfida da raccogliere per tutti coloro che sono ancora convinti che un mondo diverso oltre che possibile e necessario è, visti i tempi che corrono, dannatamente urgente.

Pepsy


Umanità Nova n.38 del 25 novembre 2007

Genova punto a capo

Il corteo a Genova dello scorso 17 novembre è pienamente riuscito. Anche se le premesse per un flop c’erano tutte, a partire dalle polemiche sulla sua indizione, passando per il tentativo della sinistra di governo di farlo passare per un sostegno alla richiesta di una inutile commissione di inchiesta e finendo con le allarmistiche previsioni dei giornali locali che quel giorno strillavano dalle locandine di un aumento della richiesta di vigilantes. A tutto questo si potrebbero aggiungere anche le proteste di alcuni sindacatini di polizia che avevano chiesto tutte le principali piazze della città per un volantinaggio, che poi hanno (forse) fatto molto lontano dal corteo e l’attitudine vergognosa di Trenitalia che ha fatto del suo meglio per ostacolare l’arrivo dei manifestanti.

E invece no. Nonostante i media avessero ripiegato sulla discesa in massa degli ultrà, in mancanza della calata dei “black bloc”, sabato 17 novembre Genova ha visto sfilare circa 50 mila persone che hanno ricordato alla città ed a tutti che quanto accaduto nel 2001 non può essere archiviato con la condanna di 25 persone, che la violenza esercitata in quei tre giorni dalle forze della repressione è ancora ben viva nella memoria di chi c’era e di chi l’ha sentita raccontare.

Il corteo è partito in anticipo sul ritardo che di solito caratterizza le manifestazioni a causa del notevole afflusso di partecipanti e intanto sono iniziate ad arrivare le notizie dai treni. Il convoglio da Milano, per poco tempo, ma anche quello da Napoli hanno subito dei ritardi. Il peggio è toccato ai toscani, che sono stati costretti ad invadere i binari della stazione di Pisa per poter partire e poi, di nuovo, alla stazione di La Spezia, che è stata occupata per quasi due ore a causa dei responsabili delle Ferrovie che hanno preferito causare un danno (il blocco della circolazione ferroviaria) economico e di immagine alla propria azienda solo per incassare qualche centinaio di euri in più.

Aperta dallo striscione “la storia siamo noi”, la manifestazione si è ingrossata durante il tragitto e gli ultimi spezzoni sono arrivati in piazza quando ormai era già buio, a concerto iniziato. C’erano davvero tutti: centri sociali e gruppi, soprattutto dal centro nord, sindacati di base e collettivi, le bandiere dei NO TAV e, in testa, lo striscione che ha ricordato il prossimo appuntamento di Vicenza contro la costruzione dell’aeroporto militare. Buona la partecipazione allo spezzone anarchico con diversi striscioni oltre a quello della Federazione Anarchica Italiana ed a quello (All’arrembaggio del futuro…) usato nel 2001, presente per marcare una continuità di impegno in una lotta che in molti vorrebbero far dimenticare. Ha chiuso la lunga sfilata, il settore dei partiti e dei movimenti della sinistra istituzionale con i loro leader intenti a farsi intervistare da chiunque, purché armato di microfono e telecamera.

Le forze del disordine hanno scelto una tattica di basso profilo, nascondendosi alla vista e lasciando a 700 agenti in borghese, coadiuvati dal servizio d’ordine dei metalmeccanici, la gestione del corteo. Qualche camionetta di poliziotti e gruppi di finanzieri in assetto antisommossa si è vista solo più tardi davanti alle stazioni.

Impossibile, quando si tratta di cortei di tali dimensioni, fare una cronaca puntuale, quello che si può dire è che l’atmosfera è stata sempre serena e rilassata, che hanno partecipato persone di ogni età, che le bandiere anarchiche hanno sventolato non solo nel nostro spezzone ma anche in altri settori del lungo serpentone e che i media hanno dovuto davvero fare i salti mortali per inventarsi (molto spesso con una certa fantasia) qualcosa di “piccante” per eccitare i loro lettori.

Adesso, però, viene la parte più difficile. Il progetto di una commissione di inchiesta, bocciato a livello di movimento, è stata riproposta dal ceto politico presente a Genova e questo non servirà, nè ad impedire una eventuale pesante condanna delle vittime designate nè tanto meno la prescrizione del reato per gli agenti che si sono resi responsabili delle torture di Bolzaneto e del massacro della Diaz. Davanti alla riproposizione di una via parlamentare alla verità, l’unica alternativa resta quella di mantenere alta l’attenzione e la mobilitazione sui processi in corso, a Genova come a Cosenza e, se ci saranno le condizioni, tornare ad invadere le strade.

Pepsy


Umanità Nova n.42 del 23 dicembre 2007

Processo Genova G8. La vendetta a metà

A sei anni dai fatti ed a quasi quattro dall’inizio del processo, è arrivata la sentenza di primo grado contro i 25 compagni accusati di devastazione e saccheggio per aver partecipato alle proteste del luglio 2001 a Genova. Una sentenza annunciata dalle pesanti richieste dei PM, che volevano seppellire con più di due secoli di galera chi aveva osato manifestare contro i padroni della terra. Il giudizio ha solo parzialmente accolto le richieste dell’accusa, comminando comunque più di un secolo di carcere ai 24 (una è stata assolta) imputati.

In particolare, quattordici sono stati condannati per danneggiamento, con pene da 5 mesi a 2 anni e 6 mesi (ma anche con una condanna a 5 anni), per questi il reato di devastazione e saccheggio è stato derubricato e ciò ha comportato pene meno pesanti di quelle richieste. Gli altri dieci invece sono stati condannati per devastazione e saccheggio, con pene che vanno vanno da 6 a 11 anni. Per alcuni di loro sono stati chiesti anche 3 anni di libertà vigilata e per dieci l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. I condannati dovranno pagare migliaia di euro di spese processuali e, dopo un altro processo civile, eventuali risarcimenti di danni milionari.

Senza entrare nello specifico dei singoli casi si può dire che questa è stata una sentenza squisitamente politica, come lo è stato del resto tutto il processo, che ha visto una ricostruzione degli avvenimenti del luglio 2001 finalizzata principalmente alla ricerca delle prove di un reato pesante come quello di “devastazione e saccheggio” a carico dei manifestanti e che ha ricostruito il contesto ed i fatti avvenuti in funzione di tale richiesta. A parziale contentino per i sostenitori della giustizia “giusta”, il tribunale ha disposto anche la trasmissione in Procura degli atti relativi a due dirigenti di polizia e due ufficiali dei carabinieri, ipotizzando per loro il reato di falsa testimonianza.

Non ci si poteva aspettare altro, visto che in questi sei anni, tutti i principali responsabili dell’ordine pubblico di Genova sono stati promossi (l’ultimo da poco più di un mese), sia dai governi di centro-destra che da quelli di centro-sinistra. Una sentenza annunciata che ha fatto la felicità (“Condannati (pochi) no global”, ha titolato un giornale) delle forze più reazionarie e che permette a quelle di “sinistra” di continuare a sventolare l’inutile foglia di fico della “commissione di inchiesta” che dovrebbe scoprire chissà quale verità che non sia già ben chiara. A Genova, in quei tre giorni, furono sospese le cosiddette “garanzie democratiche”, centinaia di persone vennero pestate a sangue senza che avessero fatto qualcosa, centinaia vennero massacrate nel sonno nella Scuola Diaz e centinaia vennero portate a Bolzaneto dove tra un inno fascista ed un ceffone impararono i rudimenti della democrazia e del rispetto per le persone che hanno le bande statali in servizio. Carlo Giuliani fu ucciso da un carabiniere, assolto perché le forze dell’ordine possono sparare anche a persone disarmate.

La sentenza è politica non solo perché è stato riconosciuto un reato come quello di “devastazione e saccheggio” che in passato raramente aveva trovato spazio nelle aule dei tribunali ma soprattutto perché, con la diversificazione delle pene, il tribunale ha sancito, con anni di carcere, la divisione tra manifestanti poco o molto “cattivi”. Da una parte coloro che avrebbero solo reagito alla violenza delle cariche delle forze dell’ordine contro un corteo autorizzato e dall’altra il famigerato “black bloc” che invece avrebbe pianificato la devastazione ed il saccheggio. Una sentenza che sposa, in fin dei conti, la tesi portata avanti da sempre, anche da una parte del ceto politico presente a Genova nelle file di chi manifestava.

Il primo dei processi per i fatti di Genova si è concluso e, per la prossima primavera, è prevista la sentenza dei procedimenti contro gli agenti imputati per il massacro della Scuola Diaz e per le torture di Bolzaneto. Vedremo, in quelle occasioni, se le violenze commesse contro delle persone inermi verranno considerate più o meno gravi dei danneggiamenti di vetrine ed auto.

Pepsy


 

Genova 20 anni e dopo (3)

Continuo a ripubblicare alcuni articoli sui “Fatti del G8 di Genova” usciti sul settimanale anarchico “Umanità Nova” dopo il 2001 per ricordare che quei fatti non durarono solo tre giorni.
Di seguito altri 4 articoli, quelli precedenti si trovano qui:

Genova 20 anni e dopo (1)
Genova 20 anni e dopo (2)


Umanità Nova, n.10 del 19 marzo 2006

Un orrore premeditato

Cinque anni possono essere davvero tanti, e chi non è stato direttamente coinvolto nei fatti accaduti a Genova durante le proteste contro il summit del G8 forse non ha avuto molte occasioni per rendersi conto della tragicità di quelle giornate. A fare da promemoria basterebbero i processi relativi alle violenze messe in atto dalle forze dell’ordine nei confronti di centinaia di persone durante il raid notturno nella Scuola Diaz e nel carcere di Bolzaneto.

Al tempo apparve chiaro che la violenza usata nei confronti di persone inermi era stata davvero spropositata, non si trattava di qualche manganellata data durante una manifestazione, ma di comportamenti messi in atto con freddezza e premeditazione. Nel luglio 2001 i sostenitori del principio di “legge e ordine” minimizzarono le testimonianze di chi aveva provato sulla propria pelle il nuovo corso della repressione inaugurato a Napoli nel marzo precedente. Oggi, dalle testimonianze rese nei processi, trova conferma – inconfutabile – una storia già raccontata.

I pestaggi, in stile squadroni della morte, operati dalla polizia alla Diaz sono stati ricordati con lucidità da decine di compagni e compagne, anche stranieri, che ebbero la sventura di andare a dormire in quella scuola. La verità che viene fuori è quella di un massacro coscientemente pianificato e messo in atto e non della risposta a chissà quale provocazione. Le testimonianze ascoltate sono state talmente univoche che lo scorso febbraio il Presidente del tribunale ha emesso una ordinanza nella quale ha chiesto di far parlare solo i testi che avessero qualcosa “di nuovo” da aggiungere a quanto già ascoltato. Dopo una settimana di polemiche suscitate da questa decisione il tribunale ha precisato che non si riferiva alle testimonianze riguardanti le violenze subite dalle parti offese, ma solo a quelle riguardanti fatti ormai accertati.

La stessa scena si è ripetuta nel procedimento per le torture inflitte a chi fu fermato e rinchiuso a Bolzaneto. Anche in questo caso i testimoni hanno confermato che in quel luogo, tra i canti fascisti, le minacce di stupro ed i pestaggi, sono continuate le violenze delle forze dell’ordine con la complicità dei medici di servizio. Al contrario di quanto accaduto nella Diaz, in questo caso gli “eroi in divisa” non erano mascherati ed alcuni di essi sono stati riconosciuto da più testimoni. Stando alle cronache, la difesa degli imputati ha avuto pochi margini di replica davanti ai racconti di chi ha vissuto sulla propria pelle episodi intollerabili. Intanto, il primo marzo il Gip ha accolto 120 delle 126 richieste di archiviazione (parziale) per i fatti collegati a questo procedimento.

Oltre a questi due processi a Genova si sta svolgendo anche quello contro i presunti “black-bloc”, che vede sul banco degli imputati due dozzine di compagni accusati di devastazione e saccheggio. Le udienze stanno andando avanti con le testimonianze dei poliziotti e dei carabinieri che ricostruiscono, dal loro punto di vista, i vari episodi degli scontri ed il ruolo giocato dagli imputati. Questo processo rischia una sospensione, a causa della necessità della ricomposizione del collegio giudicante, il che farebbe slittare di diversi mesi le prossime udienze. La decisione è prevista nelle prossime settimane.

Prosegue intanto, a Cosenza, il processo alla rete del “Sud Ribelle” che vede un gruppo di compagni accusati di “associazione sovversiva” (270bis). Questo procedimento va a rilento (dal dicembre 2004 solo 14 udienze) anche qui a causa della composizione del collegio giudicante. L’8 marzo scorso, alla ripresa, dopo una pausa di alcuni mesi, ancora problemi legati alla sostituzione di un giudice a latere e di parte della giuria popolare. L’unico decisione presa riguarda le date delle prossime udienze che si terranno dal 17 maggio al 30 giugno prossimo. Ma la repressione non molla la presa e due imputati si sono visti consegnare, al loro ingresso in tribunale, una denuncia per “interruzione di un ufficio o servizio pubblico”, per la loro partecipazione alle lotte dei lavoratori della zona cosentina.

Non è la prima volta che i movimenti si trovano a confrontarsi con la “giustizia”, ma è sicuramente una delle rare volte che, come nel caso dei processi Diaz e Bolzaneto, sul banco degli imputati non ci sono compagni ma decine di tutori dell’ordine (29 per la Diaz e 45 per Bolzaneto), inchiodati da una serie di precise testimonianze. Comunque finiscano i due processi, nessuno potrà dire che non sapeva delle violenze del potere o continuare a paragonare i danni fatti ad una vetrina con quelli contro una persona.

Pepsy


Umanità Nova, n.10 del 18 marzo 2007

Processi al movimento

Nel marzo e nel luglio del 2001 a Napoli ed a Genova le manifestazioni contro la globalizzazione furono segnate da centinaia di arresti di dimostranti, da violenze nelle caserme contro persone inermi e seguite da diversi procedimenti giudiziari ancora oggi in corso. Già in altri articoli [*] è stato sollevato il problema dello sfondo di silenzio sul quale si stanno svolgendo questi processi, un silenzio che, con il trascorrere del tempo, diventa ogni giorno sempre più pesante.

Il 16 gennaio scorso è ripreso a Genova il processo ai venticinque compagni accusati di “devastazione e saccheggio”. Nelle udienze i responsabili dell’ordine pubblico stanno ricostruendo (a modo loro) quanto accaduto in quei giorni ed i modi attraverso i quali hanno individuato le persone da processare. Dai resoconti pubblicati da chi sta seguendo il dibattimento, viene fuori l’immagine di una gestione dell’ordine pubblico alquanto caotica, e se i testi sono molto precisi quando si tratta di descrivere le azioni dei dimostranti, diventano quasi sempre smemorati quando si tratta di individuare precise responsabilità nella catena di comando delle forze della repressione. A fine febbraio è iniziato l’esame dei testi della difesa.

Continua anche il processo “Diaz” contro 28 poliziotti accusati di falso e calunnia, procedimento ritornato per un attimo alla ribalta della cronaca mediatica grazie alla pagliacciata delle molotov “scomparse” [vedi U.N. n.3 del 28/1/07]. Nelle ultime udienze è continuata la ricostruzione di quanto avvenne la notte del 21 luglio 2001, durante l’irruzione all’interno della scuola “Diaz-Pertini”, dove dormivano pacificamente centinaia di persone. Per quanto riguarda le molotov, l’unica cosa appurata e che quelle “scomparse” sono le stesse che vennero ritrovate per strada. Riguardo poi il presunto accoltellamento di un agente che sarebbe avvenuto durante l’irruzione e che fu attribuito ad un ignoto aggressore presente all’interno della scuola, non sono stati fatti significativi passi avanti, in quanto i testimoni della polizia non ricordavano bene gli avvenimenti.

Nel processo per le violenze subite a Bolzaneto dai compagni fermati nelle giornate di luglio 2001, sta sfilando la lunga teoria dei 270 testimoni che raccontano le terribili esperienze personali di quei giorni, fatte di violenze verbali e fisiche. Non è un caso che questi racconti non trovino spazio nelle tv, troppo impegnate a santificare la famiglia e le sue rassicuranti violenze, per avere tempo da dedicare alla sospensione di qualsiasi forma di libertà collettiva avvenuta a Bolzaneto e nella caserma Raniero di Napoli.

Collegato ai fatti del marzo 2001 a Napoli, prosegue a Cosenza il processo, per reati associativi, al cosiddetto “Sud Ribelle”, tredici compagni che sarebbero stati gli organizzatori degli incidenti di Napoli e di Genova e addirittura parte di un complotto “sovversivo”. Anche in questo caso le udienze si trascinano nell’ascolto delle testimonianze di agenti e dirigenti dell’ordine pubblico impegnati a raccontare le loro verità, fatte di intercettazioni e di interpretazioni di telefonate, di messaggi di posta elettronica e di trasmissioni radio. Significativo, in una delle recenti udienze, l’episodio della “sparizione” del verbale di interrogatorio di un ex imputato, avvenuto (quando si dice il caso…) in concomitanza con la scomparsa delle bottiglie genovesi. Scontata invece, in quanto già prevista da diverso tempo, la sostituzione del pubblico ministero che aveva iniziato l’inchiesta.

Non è certo la prima volta che un movimento si trova a fare i conti con gli strascichi giudiziari delle proprie azioni, e non è nemmeno la prima volta che il clamore dei primi momenti si traduce col tempo in un sommesso brusio appena percettibile. Ma è importante che questo sussurro non cessi, che la memoria collettiva continui ad essere alimentata e che i fatti del 2001 non diventino, fra dieci o venti anni, solo l’occasione per la celebrazione di un anniversario.

Pepsy

[*] Vedi Umanità Nova n.7 del 29/2/04, n.6 del 20/2/05, n.24 del 3/7/05, n.10 del 19/3/06. L’articolo si basa principalmente sulle informazioni pubblicate sul sito www.supportolegale.org al quale rimandiamo per maggiori dettagli.


Umanità Nova n.22 del 25 giugno 2007

Alti ufficiali e bassa macelleria

I tutori dell’ordine pubblico, di qualsiasi tipo e grado, hanno tutti una caratteristica in comune che si manifesta quando sono sul banco di un tribunale. Si tratta della loro alta professionalità nel confessare di non ricordare gli avvenimenti che li hanno visti protagonisti, di non sapere cosa abbiano fatto i loro colleghi, di non aver visto neppure quello che avevano sotto il naso o di contare meno di un semplice appuntato nella catena di comando.

Prendiamo, ad esempio, le dichiarazioni di chi era a capo delle squadre che parteciparono al massacro nella Scuola Diaz (Genova 21 luglio 2001): tutti erano contrari a quella azione e tutti vi parteciparono, tutti comandavano uno dei tanti reparti che massacrarono un centinaio di persone inermi e nessuno ammette che i “propri” uomini picchiarono a sangue chi stava dormendo. Tutti sono pronti a giurare di aver fatto del loro meglio per fermare il massacro, ma non ricordano chi lo ha ordinato o chi lo stava portando a termine. In questo senso, la testimonianza del comandante della mobile Michelangelo Fournier [1] e l’intervista al questore Vincenzo Canterini [2] valgono, da sole, più di tutti i volantini e gli articoli pubblicati in questi sei anni per spiegare cosa accadde quella notte. Il primo premio dovrebbe andare a chi ha definito “colluttazioni unilaterali” (sic!) i pestaggi [3].

La scorsa settimana politici e giornalisti si sono improvvisamente accorti che tutte le “verità” raccontate, dal 2001, da tutti i responsabili dell’ordine pubblico a proposito del massacro della Diaz erano delle vergognose bugie. Come se nessuno avesse mai visto le immagini registrate quella notte, che mostravano la lunga fila di compagni e compagne portati fuori dalla scuola con i segni della democrazia ben impressi sulla loro pelle. Come se nessuno avesse mai visto i muri ed i pavimenti della scuola imbrattati di sangue, come se nessuno avesse mai visto la conferenza stampa del giorno dopo, quando i funzionari mostrarono le “armi” sequestrate, comprese le molotov portate all’interno della scuola dagli agenti.

Adesso i politici invocano una “Commissione di inchiesta”, dimenticando che già nel settembre del 2001 fu istituito un “Comitato Paritetico per un’indagine conoscitiva sui fatti di Genova”, formato da 18 deputati e 18 senatori, che si concluse con tre relazioni diverse: una della maggioranza, una dell’Ulivo e una del Prc. Un Comitato che interrogò ministri, sindaci, portavoce del movimento e davanti al quale iniziò già il balletto dello scaricabarile a partire proprio dal vertice: “Il ministro dell’interno è l’autorità nazionale di pubblica sicurezza, ma non è il responsabile tecnico operativo dell’ordine pubblico.” (dall’audizione di C. Scajola, Ministro degli Interni).

Una “Commissione di inchiesta” oggi non avrebbe un risultato molto diverso.

In questi giorni, uno dei processi relativi ai fatti di Genova, quello contro 25 compagni accusati di gravi reati, si avvia alla conclusione e dopo l’estate potrebbe già arrivare la sentenza. In questo caso, la memoria dei tutori dell’ordine ha funzionato benissimo quando si è trattato di riconoscere questo o quel manifestante. Siamo pronti a scommettere che, nel caso del processo per le violenze, anche quelle ben note e documentate, subite nella caserma di Bolzaneto dai fermati durante le manifestazioni, la memoria degli agenti diventerà improvvisamente più labile e meno sicura. E magari qualcuno proporrà una ulteriore “Commissione di inchiesta”…

Stando a quanto si legge sui giornali [4], Michelangelo Fournier era in piazza a Roma il 9 giugno scorso quando sono state arrestate alcune persone al termine del corteo contro la visita di Bush. Alcuni degli arrestati hanno dichiarato di essere stati picchiati a freddo dagli agenti. Per sapere come sono andate veramente le cose basterà aspettare il 2013. Invece Vincenzo Canterini si trova a Bucarest, presso l’Interpol, ad occuparsi di traffico di organi [5], evidentemente l’esperienza conta.

I più maligni [6] sospettano che tutto il polverone sollevato, da racconti che non aggiungono nulla di nuovo alla verità storica, sia solo un episodio nel processo di cambiamento al vertice della polizia, che vedrebbe l’uscita di Gianni De Gennaro (più volte chiamato in causa a proposito di Genova) e la nomina di Antonio Manganelli. Qualsiasi ironia sul cognome sarebbe fuori luogo, specialmente se si pensa che il summit dei G8 nel 2009 si terrà, di nuovo, in Italia.

Pepsy

Note

[1] Vedi http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=3233&sez=HOME_INITALIA
[2] Vedi http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/cronaca/g8-genova/parla-canterini/parla-canterini.html
[3] Vedi http://www.diario.it/home_diario.php?page=wl07061401
[4] Vedi http://www.ilsecoloxix.it/genova/view.php?DIR=/genova/documenti/2007/06/15/&CODE=5986e30c-1b0a-11dc-bfac-0003badbebe4
[5] Vedi articoli citato nella nota 2.
[6] Vedi http://www.ilvelino.it/articolo.php?Id=372171


Umanità Nova n.33 del 21 ottobre 2007

Genova 2001. La parola all’accusa

Al processo in corso a Genova contro 25 compagni accusati di “devastazione e saccheggio” è arrivato il momento dell’accusa. Secondo il PM non ci fu alcuna “caccia a manifestanti inermi, perché il corteo di Via Tolemaide non era composto da pacifisti ma da persone che avevano scelto deliberatamente di contrapporsi alle forze dell’ordine, non si stavano difendendo né erano in pericolo di vita.” (cfr. Corriere della Sera, 10/10/07)
Questa, in estrema sintesi, la tesi dell’accusa che nel corso di tre udienze ha presentato una ricostruzione degli avvenimenti del 21 luglio 2001 con estremo dettaglio quando si è trattato di episodi che hanno visto protagonisti i manifestanti e con maggiore disinvoltura quando si è trattato delle violenze compiute da polizia e carabinieri su persone inermi e indifese. I primi sarebbero la prova che tutti i manifestanti erano violenti, le seconde che c’è stato qualche eccesso da parte delle forze dell’ordine, ma che questo andrebbe giudicato a parte. Ma dove? Forse in un contesto nel quale, siamo sicuri che, le migliaia di foto ed i filmati che hanno permesso di individuare 25 colpevoli in mezzo ai manifestanti non sarebbero in grado di portare all’identificazione di un solo agente.

Stesso discorso si è sentito a proposito dell’uso – da parte degli agenti – di gas pericolosi, di spranghe di ferro o di altre armi fuori ordinanza. Il PM non nega che determinati episodi siano avvenuti, sarebbe davvero difficile farlo, ma sostiene che tali episodi non hanno rilevanza in questo processo e che dovrebbero essere affrontati in, tanto per cambiare, altre sedi.

Come si può capire leggendo le trascrizioni delle udienze pubblicate sul sito di “supporto legale” (http://www.supportolegale.org), quella che viene fatta dall’accusa è una “ricostruzione a metà” di quanto accaduto, come se a partecipare agli scontri fossero stati solo i manifestanti, come se i colpi di pistola sparati, gli inseguimenti ed i pestaggi fossero sempre “altra cosa”, della quale non ci si debba occupare.

Prendiamo le telefonate al 113, portate ad esempio del clima di paura che si sarebbe diffusa in quelle ore in parte dei cittadini genovesi, e che sono state anche trasmesse in tv, dove però abbiamo sentito anche, per restare nello stesso ambito, le espressioni di gioia di una agente alla notizia della morte di Carlo Giuliani. Giusto per chiarire il “clima” esistente fra le forze dell’ordine.

Ridurre tutto quanto è accaduto in quelle giornate alle azioni di una o più persone è qualcosa che contrasta con la pretesa di fornire una ricostruzione “oggettiva” degli avvenimenti, come se fosse possibile isolare il comportamento degli accusati da tutto quello che stava avvenendo intorno a loro.

Prosegue anche il processo per l’assalto alla Scuola Diaz, ritornato recentemente sulle prime pagine dei media in occasione delle polemiche sulla “macelleria messicana”. In questo caso ad essere sul banco degli imputati sono gli agenti, magari proprio gli stessi che durante gli avvenimenti relativi al processo ai 25 si sono distinti nella gestione dell’ordine pubblico. Un procedimento che va avanti soprattutto a “colpi di mano” procedurali e che rischia di finire, ma non ci sarebbe da meravigliarsi, in un nulla di fatto.

Ancora in corso, siamo a 150 udienze, il processo contro altri agenti delle forze dell’ordine imputati delle violenze commesse contro i manifestanti fermati e rinchiusi a Bolzaneto, che prosegue con l’interrogatorio degli accusati. Mentre a Cosenza, il processo al “Sud Ribelle”, 13 compagni accusati di “cospirazione”, è ripreso a fine settembre e si trascina tra il disinteresse generale verso la conclusione prevista nella primavera del 2008.

Si avvicina, per molti di questi procedimenti il momento della conclusione di un percorso giudiziario, lungo, poco interessante dal punto di vista mediatico ma, ed è questo il punto dolente, anche poco partecipato da molti di quelli che in quei giorni di Genova erano in piazza. Il bilancio finale dovrà tenere presente anche questo.

Pepsy

Santa pazienza

“Lunico errore che faccio è che certe volte credo di sbagliare” (cit.)

Anche se le riflessioni che seguono sono dedicate in particolare a chi usa l’istanza mastodon.bida.im la maggior parte delle cose scritte valgono in generale anche per altri ambienti virtuali di comunicazione. Le scrivo sul blog perché pubblicarle a “toot” renderebbe il testo meno comprensibile.

Ed è proprio dai limiti di uno strumento come Mastodon che conviene iniziare il discorso.

La Comunicazione Mediata da Computer (CMC per gli amici) tra persone passa attraverso canali diversi: email, chat, mailing list, messaggi istantanei, ecc… ognuno di questi ha delle caratteristiche, di ordine tecnico, peculiari che lo differenziano dagli altri sotto molti aspetti.

Per esempio ci sono strumenti sincroni, tipo le chat, che consentono di interagire in tempo reale e strumenti asincroni, tipo le mailing list, dove a prevalere sono le interazioni più dilatate nel tempo. Anche se su una lista ci possono essere persone che sono sempre connesse e replicano a un email dopo mezzo secondo, ce ne saranno altre che la leggono una volta al giorno e quindi risponderanno in un altro momento.

Mastodon, sebbene permetta di rispondere immediatamente a un “toot” somiglia più a una sorta di blog “collettivo” e quindi può essere usato in diversi modi anche se per una discussione approfondita presenta molti più svantaggi che vantaggi rispetto a una serie di “toot” sullo stile di botta e risposta.

Questo perché non tutti gli strumenti della CMC possono essere usati (proficuamente) per le stesse cose: se devi coordinare una azione di strada in tempo reale difficilmente potrai farlo usando una lista di discussione ma piuttosto userai uno strumento di messaggistica istantanea o una chat. Se invece devi discutere più approfonditamente su un argomento probabilmente sarebbe meglio usare una mailing list che Mastodon.

E questa è la prima “regola” che andrebbe rispettata. Non tanto perché ci sia necessità di regole e di rispetto ma principalmente perché sarebbe poco furbo usare un martello da falegname per tentare di svitare i bulloni della ruota di una automobile.

Uno strumento come Mastodon è fatto, principalmente, per pubblicare brevi scritti e per condividere contenuti. Contenuti che possono essere molto vari: la foto-notizia di una iniziativa, un link interessante, una riflessione generale, una domanda, una richiesta ma anche un contenuto di tipo personale, nel senso che riguarda soprattutto chi scrive.

Ma, qualsiasi sia il contenuto del “toot”, ci si dovrebbe rendere conto che alla sua pubblicazione potrebbe seguire una “reazione” di qualche tipo.

Questo semplicemente perché se una persona si esprime in un “luogo pubblico” deve mettere in conto una possibile reazione e per reazione intendo anche un silenzio assordante. Sono infatti le reazioni che sono alla base di qualsiasi “social coso”, senza di queste ci sarebbe solo un flusso ininterrotto di contenuti senza nessun collegamento tra di loro.

Per cui la seconda “regola” da seguire prima di scrivere un “toot” è quella di riflettere sulle reazioni che quello che si sta per pubblicare potrebbe suscitare nelle altre persone. La frase precedente non vale per troll o per flamer.

Seguire la seconda “regola” è difficile perché si entra nel campo delle diversità individuali, il che apre un mondo infinito di possibilità praticamente uguale al numero di universi paralleli che esistono nelle serie TV.

Pubblicare il link a un concorso dove si vince una mascherina al profumo di bacon potrebbe offendere qualche persona? E ripescare la storia dei “bonsai kitten”?

Proseguendo sull’importanza di valutare preventivamente quello che si vorrebbe pubblicare si arriva a uno dei nodi più delicati, vale a dire ai “toot” che riguardano il proprio “personale”.

“oggi mi sento più psichedelico del solito”
“ho cucinato pasta e fagioli (con cotiche o senza)”
“il mio gatto ha detto MIAO”

Come scritto sopra le reazioni a quello che viene pubblicato sono l’elemento di base sul quale si fonda il funzionamento dei “social cosi”. Del resto se Mastodon fosse esclusivamente un susseguirsi di “toot” senza alcuna reazione la cosa potrebbe assumere anche aspetti preoccupanti, anche se discretamente interessanti dal punto di vista di chi analizza la comunicazione.

A questo punto la videocamera dovrebbe inquadrare chi legge un “toot” di tipo personale e reagisce con un commento.

Tralascio qui tutto quello che riguarda “stelline”, “condivisione” e annessi e connessi e mi riferisco solo ai commenti scritti, che abbiano o meno una immagine allegata o che consistano solo in una immagine allegata.

In questo caso la “regola” dovrebbe essere questa: nei commenti ai “toot” di tipo “personale” andrebbero evitati attacchi, insulti e squalifiche (nel senso psicologico del termine) indirizzati alla persona che ha scritto il “toot” che si commenta. A meno che non siano una reazione diretta, ovvero quando sono una risposta a una chiara provocazione di tipo personale alla quale si ha tutto il diritto di replicare a tono.

In casi di “toot” del genere:
“i nati sotto il segno dei pesci con ascendente acquario puzzano”
“il calcio non piace agli snob”
“sono allergico al pelo dei cani”

Seguire questa “regola” è molto semplice, in quanto basta ricordarsi che è sempre legittimo criticare, anche aspramente, il contenuto di quello che non ci piace senza bisogno di attaccare chi lo ha scritto. Questo perché bisogna sempre ricordarsi che per litigare è necessario essere (almeno) in due.

In altri casi seguire questa “regola” è molto più complicato dal fatto che a volte il contenuto pubblicato riguarda questioni che attengono alla sfera intima o emotiva sia personale che collettiva. Non entro nel merito delle ragioni che possono spingere le persone a raccontare in pubblico situazioni, storie, stati d’animo di carattere “intimo” delle quali probabilmente sarebbe meglio parlare con persone che si conoscono, piuttosto che con degli sconosciuti. Segnalo solo che questo genere di “toot” difficilmente producono qualcosa di buono.

Bisogna però evitare anche una sorta di autocensura, per cui si evita volutamente di affrontare certi argomenti perché si ritiene che possano essere offensivi per qualche persona. Visto che non è possibile conoscere e tener conto delle sensibilità di tutte le singole persone, che potenzialmente possono leggere quello che si scrive, si rischierebbe di creare un ambiente dove una presunta “sicurezza” sarebbe il risultato di una totale omologazione e dell’appiattimento delle differenze individuali. O della trasformazione di Mastodon in uno “sfogatoio” piuttosto che in un ambiente dove poter discutere e confrontarsi anche su argomenti “intimi”.

In altri termini sono fermamente convinto che, ogni tanto, un bel flame ci stia bene, basta che non diventi la modalità comunicativa prevalente e che sia sempre, per quanto umanamente possibile, un litigio rispettoso delle persone.

Sintetizzando, quella specie di “regole” indicate sopra, si potrebbero ridurre anche a una sola: avere pazienza, una virtù necessaria anche se so bene che i suoi limiti sono strettamente individuali. Avere pazienza con chi reagisce male a quello che pubblichiamo e avere pazienza con quello che pubblicano le altre persone.

Oltre ad una “santa pazienza” bisognerebbe – da parte di chiunque – ricordare che la comunicazione andrebbe *sempre* contestualizzata e quello che una persona potrebbe considerare offensivo per un’altra potrebbe essere considerato ironico. E se ogni persona ha tutto il diritto di trovare “insultante” quello che vuole dovrebbe concedera anche alle altre persone gli stessi diritti che reclama.

Nota Bene. La “santa pazienza” non si applica a contenuti sfacciatamente sessisti, razzisti, fascisti, ecc…

Pazienza perché l’unica alternativa sarebbe creare o tentare di creare ambienti di comunicazione sterilizzati nei quali tutte le persone la pensano più o meno allo stesso modo. Del resto l’ambiente di comunicazione più sicuro per tutti i suoi utenti è quello dove nessuno comunica con nessuno.

“Piano B”

Un opportuno “toot” su mastodon.bida.im mi fa venire in mente che il mio suggerimento può essere sostituito da una modalità che non presuppone particolari virtù. Autorizzato dall’autore, che ringrazio, copio e incollo di seguito un sistema alternativo per non essere disturbato oltre il necessario.


naivespeaker

Non proponiamo “La mossa del Fassino” perché è subdolamente oppressiva, ma possiamo consigliare una soluzione a chi soffre per l’ignoranza e la cattiveria che dominano l’istanza che l* ospita.

1. Bloccate tutti quell* che non sono dispost* a darvi sempre ragione

2. Sottoponete alla vostra accettazione le richieste di seguirvi

3. Accettate come follower solo quell* che sono dispost* a darvi sempre ragione

4. Impostate “Visibili solo dai Follower” per tutti i vostri toot

5. Interagite con chi vi dà sempre ragione

6. E così nessuno si farà male

In questo modo potrete continuare ad usufruire del servizio fornito dall’ignorante e cattiva istanza.

Volendo potrete contribuire economicamente a pagare i server che vi ospitano, e sentirvi in pari.