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Dimenticare è impossibile

Il 1974 è, come quasi tutti gli altri anni di quel decennio, segnato da avvenimenti destinati a restare a lungo nella memoria personale di chi ha vissuto quei momenti e in quella collettiva di chi invece li conosce solo attraverso la mediazione del racconto storico.

Ricordiamo velocemente e disordinatamente solo pochi dei fatti che segnarono quell’anno collocato quasi a metà di un periodo che da alcune persone è stato bollato come famigerato mentre per altre è rimasto indimenticabile. E probabilmente sono vere entrambe le cose.

In Italia nel corso di dodici mesi si diedero il cambio quattro formazioni di Governo: Rumor IV, Rumor V, Rumor V.bis e Moro IV; un Referendum popolare confermò la Legge sul divorzio messa in discussione dai cattolici e dalle forze di destra; le “Brigate Rosse” rapirono e poi liberarono il giudice Mario Sossi, i “Nuclei Armati Proletari” sequestrarono l’industriale Giuseppe Moccia che fu rilasciato dietro il pagamento di un riscatto di un miliardo di lire. A Brescia una bomba uccise 8 persone e ne ferì più di un centinaio; a San Benedetto Val di Sambro (BO) una bomba collocata su un treno uccise 12 persone e ne ferì più di una cinquantina. E qui ci fermiamo perché l’elenco degli avvenimenti di quell’anno potrebbe riempire diverse pagine mentre il nostro scopo è quello di soffermarci solo su uno di essi.

La mattina del 28 maggio del 1974 in Piazza della Loggia a Brescia era in corso una manifestazione indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista locale per protestare contro la dilagante violenza fascista e non a caso: solo pochi giorni prima (il 19 maggio) il giovane fascista Silvio Ferrari era rimasto ucciso nell’esplosione della bomba che trasportava sullo scooter con l’obiettivo di compiere un attentato contro una sede sindacale.

L’ordigno fu messo in un cestino dei rifiuti e scoppiò mentre si stava svolgendo il comizio, provocando la morte di cinque insegnanti e di tre pensionati che stavano partecipando all’iniziativa. Del fatto resta, oltre alle foto dei corpi a terra, la registrazione del rumore dell’esplosione e di quella voce che subito dopo invitava alla calma le persone ancora in piazza.

Per quell’attentato ci sono stati, nel corso dei successivi 50 anni, diversi procedimenti istruttori e processi che non sono mai riusciti a mettere la parola fine a quella strage, vale a dire individuarne con certezza i mandanti e gli esecutori. Rinvii a giudizio, condanne, assoluzioni sono arrivate incredibilmente fino a oggi e non per modo di dire. Risale infatti all’anno scorso un ennesimo rinvio a giudizio per strage di un fascista che nel 1974 era ancora minorenne. In questo la storia giudiziaria della Strage di Brescia ha seguito una sorte quasi identica a quelle delle altre stragi che hanno insanguinato quel decennio, anche loro destinate a seguire percorsi investigativi e giudiziari contraddittori e interminabili, senza mai raggiungere una verità definitiva e senza ombre, cosa che forse non era nemmeno possibile.

C’è però un’importante differenza che distingue quanto accaduto il 28 maggio del 1974 dagli altri attentati dello stesso genere avvenuti in quegli anni, in quanto in quel caso si è trattato di un’azione esplicitamente diretta contro una determinata e precisa parte sociale. Quella di Brescia non è stata una bomba “lanciata nel mucchio”, di quelle che colpiscono in modo indiscriminato chi ha la sventura di trovarsi nel momento sbagliato nel posto sbagliato, ma è stata l’espressione di una esplicita volontà di uccidere il maggior numero possibile di nemici politici, di lavoratori, di sindacalisti, di attivisti e simpatizzanti di sinistra, di antifascisti. In altre parole le persone che quella mattina erano in piazza a Brescia e di riflesso tutte quelle che in quegli anni in Italia si opponevano al rigurgito neo-fascista fatto di spedizioni punitive ma anche di attentati. L’attentato in Piazza della Loggia non può avere che un “unico” colpevole, un’unica firma, quella fascista. Un avvenimento per il quale è infatti stato quasi impossibile costruire teorie, più o meno fantasiose, come spesso si è provato a fare nel corso degli anni a proposito di altre stragi altrettanto o anche più note.

Oggi i politici al governo e i loro sostenitori non perdono occasione per affannarsi a sostenere che il fascismo è finito nel 1945 e che gli attuali esponenti dei partiti di destra non hanno niente a che fare con quella ideologia e che parallelamente non avrebbe più ragione di esistere nemmeno l’antifascismo. Per diffondere queste bugie sono costretti a rimuovere tutto quello che gli eredi del Ventennio hanno fatto dopo Piazzale Loreto, o a trasformarlo in un semplicistico “scontro” tra estremisti di destra e di sinistra, qualcosa giustificato da motivazioni ideologiche, facendo finta di non sapere che in quegli anni gli “scontri” avevano come sfondo delle stragi. Anni caratterizzati dai movimenti dalle lotte dei lavoratori, delle donne, degli studenti, dei disoccupati. Movimenti che i fascisti eredi di quelli sconfitti dall’antifascismo hanno provato a colpire con le stragi e con la complicità e la copertura di organismi istituzionali. La storia della Strage di Brescia ce lo ricorda ormai da mezzo secolo.

A proposito della libertà di espressione

Contestare un* politic* che parla è sicuramente un atto contro la sua libertà di espressione ma è contemporaneamente spesso l’unico modo per protestare contro chi rappresenta concretamente la discriminazione esistente nella società tra coloro che detengono anche il potere legato alla diffusione delle proprie idee e coloro che non hanno voce per fare la stessa cosa.
Le due cose sono strettamente collegate, limitarsi a prendere in considerazione esclusivamente una parte è, ancora una volta, la dimostrazione che esiste una diseguaglianza tra chi può permettersi di esprimere il proprio pensiero e chi invece ha difficoltà a farlo.
Viviamo in una società nella quale la libertà di parola è tanto più ampia quanto più soldi hai, tanto più ampia quanto più sei in una posizione di potere.
Una società dove esiste una diseguaglianza anche per un diritto fondamentale come la libertà di espressione.
E le diseguaglianze vanno combattute.

Ridurre la libertà, aumentare la censura

Il Sindaco di New York City ha recentemente dichiarato che i famigerati “social” sono un “pericolo per la salute pubblica” paragonabile addirittura a un “veleno ambientale” e che “i giovani devono essere protetti” da questa minaccia. La notizia è una di quelle che possono potenzialmente innescare (anche in Italia) infiniti dibattiti, polemiche, prese di posizione e via dicendo. L’origine dell’allarme lanciato è stata la pubblicazione di un documento presentato alla “Commissione per la Salute e l’igiene mentale” della città americana nel quale, partendo dalla constatazione che la salute mentale dei giovani abitanti di quella metropoli è andata peggiorando nel corso degli ultimi dieci anni, si addita come responsabile di questa preoccupante tendenza il massiccio uso dei “social” fatto dagli studenti delle scuole superiori.
Come accade spesso, la lettura diretta della fonte rimette le cose in una corretta prospettiva separandole dall’annuncio mediatico fatto da un politico probabilmente in cerca di facili consensi.

avviso contro l'uso dei social mediaIl documento in questione (liberamente scaricabile) presenta alcuni dati: tra il 2011 e il 2021 le idee suicide dei giovani sarebbero aumentate di più del 34% e la mancanza di speranza nel futuro di più del 42%, tanto che nel 2021 il 38% degli adolescenti avrebbero smesso di svolgere le loro abituali attività. La situazione sarebbe anche più grave per gli afro-americani e i latini, per le donne e per chi si riconosce nella comunità LGBTQ+. Contemporaneamente, nel 2021, il 77% degli studenti delle scuole superiori avrebbe passato 3 o più ore al giorno davanti a uno schermo e questo in aggiunta alle ore dedicate allo studio.
In precedenza anche altre istituzioni, come l’American Academy of Pediatrics e l’American Psychological Association avevano lanciato degli allarmi che andavano nella medesima direzione.

In realtà nel documento c’è però anche chiaramente scritto che “l’attuale insieme di prove indica che, sebbene i social media possano avere benefici per alcuni bambini e adolescenti, vi sono molti indicatori che i social media possono anche comportare un profondo rischio di causare un danno alla salute mentale e al benessere di bambini e adolescenti. Al momento non disponiamo ancora di prove sufficienti per determinare se i social media siano sufficientemente sicuri per bambini e adolescenti.” Affermazione che ridimensiona, e non certo di poco, l’allarmismo che è stato diffuso da chi si è concentrato (per varie motivazioni) esclusivamente sulle dichiarazioni a effetto del Sindaco.

Non è certo la prima volta che la politica sostiene di preoccuparsi per la salute mentale delle giovani generazioni e, proprio negli USA, c’è stato in passato almeno un caso che – per la sua ampiezza – ha fatto scuola e che coinvolgeva anch’esso mezzi di comunicazione di massa e salute mentale di bambini e ragazzi. Vale la pena di ricordarlo anche solo brevemente.
Esattamente 70 anni fa venne pubblicato “Seduction of the Innocent”, un libro scritto da uno psichiatra che riteneva i fumetti la causa della delinquenza giovanile e di quelli che venivano chiamati “disordini mentali”. Il libro, seguito da un enorme dibattito, allarmò talmente l’opinione pubblica da costringere l’industria del fumetto (preoccupata per i suoi profitti) a creare una “Comics Code Authority” che funzionò come un organo di autocensura di editori, autori e disegnatori: la maggior parte degli editori di fumetti prodotti negli Stati Uniti presentavano volontariamente, prima di andare in stampa, i loro prodotti a quella “Autorità” per l’approvazione. A partire dal 1954 sulle copertine dei giornali a fumetti iniziò a comparire un riquadro a forma di francobollo che segnalava tale “approvazione” a garanzia del fatto che quel fumetto poteva essere letto, senza pericolo, da bambini e ragazzi. Questa sorta di “imprimatur” ha resistito fino all’inizio del 2000 ma poi nel corso degli anni seguenti si è sostanzialmente estinto. Forse è meno noto che un sistema simile fu, per un breve periodo, applicato anche in Italia dove sulle copertine di alcuni fumetti comparve una sorta di “scudetto” all’interno del quale compariva la sigla “GM” che stava per “garanzia morale” (sic!). Questo perché anche nella penisola era arrivata una lontanissima eco del clamore prodotto dall’altra parte del mondo; il bollino nostrano durò davvero poco, comparso nel 1962 sparì, non certo per un caso, nel 1967 tra l’indifferenza generale.

Ritornando alla notizia di partenza ci sono alcune cose da sottolineare limitandosi a osservazioni dettate dal buonsenso più che da ricerche scientifiche o statistiche.
La comunicazione tramite computer è quasi sempre un’esperienza di tipo individuale, nel senso che ogni persona si relaziona a quel tipo di strumenti e alle persone con le quali interagisce basandosi sulle proprie conoscenze e sulle esperienze personali precedenti. Per cui chi ha alle spalle esperienze traumatiche o negative potrebbe (ma non è una certezza) peggiorare la sua condizione quando usa la comunicazione elettronica. E questo vale per le persone di qualsiasi età e non solo per i minorenni.

Per esempio un rischio maggiore, quando si abusa della comunicazione tramite computer, lo potrebbero correre persone che non hanno ancora, per ragioni di età o per altre cause, avuto un significativo numero di esperienze di relazioni dirette con altri esseri umani. Questo perché le relazioni interpersonali che si producono attraverso la comunicazione elettronica sono, sempre e in ogni caso, completamente diverse da quelle che avvengono nella vita reale. I problemi potrebbero sorgere soprattutto quando le relazioni virtuali si sostituiscono a quelle reali. La comunicazione mediata da computer potrebbe risultare quindi utile in alcuni casi e dannosa in altri, ma le variabili in campo sono molto numerose e questo non permette di essere scientificamente sicuri dell’esistenza di automatismi che comportino danni o benefici a livello individuale.

Infine non va mai dimenticato che, quando si tratta di trovare una scusa per mettere in atto delle politiche di controllo e repressione, vengono sempre utilizzate in modo strumentale delle argomentazioni sulle quali la sensibilità sociale è molto alta. Così come, da quando esiste Internet, viene continuamente tirato in ballo l’argomento pedofili e pedofilia quando ci sono di mezzo minorenni; una argomentazione di tipo allarmistico che ha l’enorme vantaggio di mettere d’accordo tutti e che spesso porta alla messa in atto di politiche di controllo e repressione generalizzate.

L’ultimo esempio concreto lo abbiamo avuto in Italia alla fine del 2023, quando è stato reso obbligatorio installare dei filtri censori sui cellulari che hanno schede telefoniche intestate a minorenni, un intervento di dubbia efficacia che ha però lasciato ancora fuori una parte dei “social”. In questo contesto dichiarazioni come quella del Sindaco di NYC potrebbero facilmente essere usate come un comodo pretesto per stringere ancora di più le maglie del controllo e allargare l’area della censura.