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Quelli che non so dove mettere

Genova 20 anni e dopo (3)

Continuo a ripubblicare alcuni articoli sui “Fatti del G8 di Genova” usciti sul settimanale anarchico “Umanità Nova” dopo il 2001 per ricordare che quei fatti non durarono solo tre giorni.
Di seguito altri 4 articoli, quelli precedenti si trovano qui:

Genova 20 anni e dopo (1)
Genova 20 anni e dopo (2)


Umanità Nova, n.10 del 19 marzo 2006

Un orrore premeditato

Cinque anni possono essere davvero tanti, e chi non è stato direttamente coinvolto nei fatti accaduti a Genova durante le proteste contro il summit del G8 forse non ha avuto molte occasioni per rendersi conto della tragicità di quelle giornate. A fare da promemoria basterebbero i processi relativi alle violenze messe in atto dalle forze dell’ordine nei confronti di centinaia di persone durante il raid notturno nella Scuola Diaz e nel carcere di Bolzaneto.

Al tempo apparve chiaro che la violenza usata nei confronti di persone inermi era stata davvero spropositata, non si trattava di qualche manganellata data durante una manifestazione, ma di comportamenti messi in atto con freddezza e premeditazione. Nel luglio 2001 i sostenitori del principio di “legge e ordine” minimizzarono le testimonianze di chi aveva provato sulla propria pelle il nuovo corso della repressione inaugurato a Napoli nel marzo precedente. Oggi, dalle testimonianze rese nei processi, trova conferma – inconfutabile – una storia già raccontata.

I pestaggi, in stile squadroni della morte, operati dalla polizia alla Diaz sono stati ricordati con lucidità da decine di compagni e compagne, anche stranieri, che ebbero la sventura di andare a dormire in quella scuola. La verità che viene fuori è quella di un massacro coscientemente pianificato e messo in atto e non della risposta a chissà quale provocazione. Le testimonianze ascoltate sono state talmente univoche che lo scorso febbraio il Presidente del tribunale ha emesso una ordinanza nella quale ha chiesto di far parlare solo i testi che avessero qualcosa “di nuovo” da aggiungere a quanto già ascoltato. Dopo una settimana di polemiche suscitate da questa decisione il tribunale ha precisato che non si riferiva alle testimonianze riguardanti le violenze subite dalle parti offese, ma solo a quelle riguardanti fatti ormai accertati.

La stessa scena si è ripetuta nel procedimento per le torture inflitte a chi fu fermato e rinchiuso a Bolzaneto. Anche in questo caso i testimoni hanno confermato che in quel luogo, tra i canti fascisti, le minacce di stupro ed i pestaggi, sono continuate le violenze delle forze dell’ordine con la complicità dei medici di servizio. Al contrario di quanto accaduto nella Diaz, in questo caso gli “eroi in divisa” non erano mascherati ed alcuni di essi sono stati riconosciuto da più testimoni. Stando alle cronache, la difesa degli imputati ha avuto pochi margini di replica davanti ai racconti di chi ha vissuto sulla propria pelle episodi intollerabili. Intanto, il primo marzo il Gip ha accolto 120 delle 126 richieste di archiviazione (parziale) per i fatti collegati a questo procedimento.

Oltre a questi due processi a Genova si sta svolgendo anche quello contro i presunti “black-bloc”, che vede sul banco degli imputati due dozzine di compagni accusati di devastazione e saccheggio. Le udienze stanno andando avanti con le testimonianze dei poliziotti e dei carabinieri che ricostruiscono, dal loro punto di vista, i vari episodi degli scontri ed il ruolo giocato dagli imputati. Questo processo rischia una sospensione, a causa della necessità della ricomposizione del collegio giudicante, il che farebbe slittare di diversi mesi le prossime udienze. La decisione è prevista nelle prossime settimane.

Prosegue intanto, a Cosenza, il processo alla rete del “Sud Ribelle” che vede un gruppo di compagni accusati di “associazione sovversiva” (270bis). Questo procedimento va a rilento (dal dicembre 2004 solo 14 udienze) anche qui a causa della composizione del collegio giudicante. L’8 marzo scorso, alla ripresa, dopo una pausa di alcuni mesi, ancora problemi legati alla sostituzione di un giudice a latere e di parte della giuria popolare. L’unico decisione presa riguarda le date delle prossime udienze che si terranno dal 17 maggio al 30 giugno prossimo. Ma la repressione non molla la presa e due imputati si sono visti consegnare, al loro ingresso in tribunale, una denuncia per “interruzione di un ufficio o servizio pubblico”, per la loro partecipazione alle lotte dei lavoratori della zona cosentina.

Non è la prima volta che i movimenti si trovano a confrontarsi con la “giustizia”, ma è sicuramente una delle rare volte che, come nel caso dei processi Diaz e Bolzaneto, sul banco degli imputati non ci sono compagni ma decine di tutori dell’ordine (29 per la Diaz e 45 per Bolzaneto), inchiodati da una serie di precise testimonianze. Comunque finiscano i due processi, nessuno potrà dire che non sapeva delle violenze del potere o continuare a paragonare i danni fatti ad una vetrina con quelli contro una persona.

Pepsy


Umanità Nova, n.10 del 18 marzo 2007

Processi al movimento

Nel marzo e nel luglio del 2001 a Napoli ed a Genova le manifestazioni contro la globalizzazione furono segnate da centinaia di arresti di dimostranti, da violenze nelle caserme contro persone inermi e seguite da diversi procedimenti giudiziari ancora oggi in corso. Già in altri articoli [*] è stato sollevato il problema dello sfondo di silenzio sul quale si stanno svolgendo questi processi, un silenzio che, con il trascorrere del tempo, diventa ogni giorno sempre più pesante.

Il 16 gennaio scorso è ripreso a Genova il processo ai venticinque compagni accusati di “devastazione e saccheggio”. Nelle udienze i responsabili dell’ordine pubblico stanno ricostruendo (a modo loro) quanto accaduto in quei giorni ed i modi attraverso i quali hanno individuato le persone da processare. Dai resoconti pubblicati da chi sta seguendo il dibattimento, viene fuori l’immagine di una gestione dell’ordine pubblico alquanto caotica, e se i testi sono molto precisi quando si tratta di descrivere le azioni dei dimostranti, diventano quasi sempre smemorati quando si tratta di individuare precise responsabilità nella catena di comando delle forze della repressione. A fine febbraio è iniziato l’esame dei testi della difesa.

Continua anche il processo “Diaz” contro 28 poliziotti accusati di falso e calunnia, procedimento ritornato per un attimo alla ribalta della cronaca mediatica grazie alla pagliacciata delle molotov “scomparse” [vedi U.N. n.3 del 28/1/07]. Nelle ultime udienze è continuata la ricostruzione di quanto avvenne la notte del 21 luglio 2001, durante l’irruzione all’interno della scuola “Diaz-Pertini”, dove dormivano pacificamente centinaia di persone. Per quanto riguarda le molotov, l’unica cosa appurata e che quelle “scomparse” sono le stesse che vennero ritrovate per strada. Riguardo poi il presunto accoltellamento di un agente che sarebbe avvenuto durante l’irruzione e che fu attribuito ad un ignoto aggressore presente all’interno della scuola, non sono stati fatti significativi passi avanti, in quanto i testimoni della polizia non ricordavano bene gli avvenimenti.

Nel processo per le violenze subite a Bolzaneto dai compagni fermati nelle giornate di luglio 2001, sta sfilando la lunga teoria dei 270 testimoni che raccontano le terribili esperienze personali di quei giorni, fatte di violenze verbali e fisiche. Non è un caso che questi racconti non trovino spazio nelle tv, troppo impegnate a santificare la famiglia e le sue rassicuranti violenze, per avere tempo da dedicare alla sospensione di qualsiasi forma di libertà collettiva avvenuta a Bolzaneto e nella caserma Raniero di Napoli.

Collegato ai fatti del marzo 2001 a Napoli, prosegue a Cosenza il processo, per reati associativi, al cosiddetto “Sud Ribelle”, tredici compagni che sarebbero stati gli organizzatori degli incidenti di Napoli e di Genova e addirittura parte di un complotto “sovversivo”. Anche in questo caso le udienze si trascinano nell’ascolto delle testimonianze di agenti e dirigenti dell’ordine pubblico impegnati a raccontare le loro verità, fatte di intercettazioni e di interpretazioni di telefonate, di messaggi di posta elettronica e di trasmissioni radio. Significativo, in una delle recenti udienze, l’episodio della “sparizione” del verbale di interrogatorio di un ex imputato, avvenuto (quando si dice il caso…) in concomitanza con la scomparsa delle bottiglie genovesi. Scontata invece, in quanto già prevista da diverso tempo, la sostituzione del pubblico ministero che aveva iniziato l’inchiesta.

Non è certo la prima volta che un movimento si trova a fare i conti con gli strascichi giudiziari delle proprie azioni, e non è nemmeno la prima volta che il clamore dei primi momenti si traduce col tempo in un sommesso brusio appena percettibile. Ma è importante che questo sussurro non cessi, che la memoria collettiva continui ad essere alimentata e che i fatti del 2001 non diventino, fra dieci o venti anni, solo l’occasione per la celebrazione di un anniversario.

Pepsy

[*] Vedi Umanità Nova n.7 del 29/2/04, n.6 del 20/2/05, n.24 del 3/7/05, n.10 del 19/3/06. L’articolo si basa principalmente sulle informazioni pubblicate sul sito www.supportolegale.org al quale rimandiamo per maggiori dettagli.


Umanità Nova n.22 del 25 giugno 2007

Alti ufficiali e bassa macelleria

I tutori dell’ordine pubblico, di qualsiasi tipo e grado, hanno tutti una caratteristica in comune che si manifesta quando sono sul banco di un tribunale. Si tratta della loro alta professionalità nel confessare di non ricordare gli avvenimenti che li hanno visti protagonisti, di non sapere cosa abbiano fatto i loro colleghi, di non aver visto neppure quello che avevano sotto il naso o di contare meno di un semplice appuntato nella catena di comando.

Prendiamo, ad esempio, le dichiarazioni di chi era a capo delle squadre che parteciparono al massacro nella Scuola Diaz (Genova 21 luglio 2001): tutti erano contrari a quella azione e tutti vi parteciparono, tutti comandavano uno dei tanti reparti che massacrarono un centinaio di persone inermi e nessuno ammette che i “propri” uomini picchiarono a sangue chi stava dormendo. Tutti sono pronti a giurare di aver fatto del loro meglio per fermare il massacro, ma non ricordano chi lo ha ordinato o chi lo stava portando a termine. In questo senso, la testimonianza del comandante della mobile Michelangelo Fournier [1] e l’intervista al questore Vincenzo Canterini [2] valgono, da sole, più di tutti i volantini e gli articoli pubblicati in questi sei anni per spiegare cosa accadde quella notte. Il primo premio dovrebbe andare a chi ha definito “colluttazioni unilaterali” (sic!) i pestaggi [3].

La scorsa settimana politici e giornalisti si sono improvvisamente accorti che tutte le “verità” raccontate, dal 2001, da tutti i responsabili dell’ordine pubblico a proposito del massacro della Diaz erano delle vergognose bugie. Come se nessuno avesse mai visto le immagini registrate quella notte, che mostravano la lunga fila di compagni e compagne portati fuori dalla scuola con i segni della democrazia ben impressi sulla loro pelle. Come se nessuno avesse mai visto i muri ed i pavimenti della scuola imbrattati di sangue, come se nessuno avesse mai visto la conferenza stampa del giorno dopo, quando i funzionari mostrarono le “armi” sequestrate, comprese le molotov portate all’interno della scuola dagli agenti.

Adesso i politici invocano una “Commissione di inchiesta”, dimenticando che già nel settembre del 2001 fu istituito un “Comitato Paritetico per un’indagine conoscitiva sui fatti di Genova”, formato da 18 deputati e 18 senatori, che si concluse con tre relazioni diverse: una della maggioranza, una dell’Ulivo e una del Prc. Un Comitato che interrogò ministri, sindaci, portavoce del movimento e davanti al quale iniziò già il balletto dello scaricabarile a partire proprio dal vertice: “Il ministro dell’interno è l’autorità nazionale di pubblica sicurezza, ma non è il responsabile tecnico operativo dell’ordine pubblico.” (dall’audizione di C. Scajola, Ministro degli Interni).

Una “Commissione di inchiesta” oggi non avrebbe un risultato molto diverso.

In questi giorni, uno dei processi relativi ai fatti di Genova, quello contro 25 compagni accusati di gravi reati, si avvia alla conclusione e dopo l’estate potrebbe già arrivare la sentenza. In questo caso, la memoria dei tutori dell’ordine ha funzionato benissimo quando si è trattato di riconoscere questo o quel manifestante. Siamo pronti a scommettere che, nel caso del processo per le violenze, anche quelle ben note e documentate, subite nella caserma di Bolzaneto dai fermati durante le manifestazioni, la memoria degli agenti diventerà improvvisamente più labile e meno sicura. E magari qualcuno proporrà una ulteriore “Commissione di inchiesta”…

Stando a quanto si legge sui giornali [4], Michelangelo Fournier era in piazza a Roma il 9 giugno scorso quando sono state arrestate alcune persone al termine del corteo contro la visita di Bush. Alcuni degli arrestati hanno dichiarato di essere stati picchiati a freddo dagli agenti. Per sapere come sono andate veramente le cose basterà aspettare il 2013. Invece Vincenzo Canterini si trova a Bucarest, presso l’Interpol, ad occuparsi di traffico di organi [5], evidentemente l’esperienza conta.

I più maligni [6] sospettano che tutto il polverone sollevato, da racconti che non aggiungono nulla di nuovo alla verità storica, sia solo un episodio nel processo di cambiamento al vertice della polizia, che vedrebbe l’uscita di Gianni De Gennaro (più volte chiamato in causa a proposito di Genova) e la nomina di Antonio Manganelli. Qualsiasi ironia sul cognome sarebbe fuori luogo, specialmente se si pensa che il summit dei G8 nel 2009 si terrà, di nuovo, in Italia.

Pepsy

Note

[1] Vedi http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=3233&sez=HOME_INITALIA
[2] Vedi http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/cronaca/g8-genova/parla-canterini/parla-canterini.html
[3] Vedi http://www.diario.it/home_diario.php?page=wl07061401
[4] Vedi http://www.ilsecoloxix.it/genova/view.php?DIR=/genova/documenti/2007/06/15/&CODE=5986e30c-1b0a-11dc-bfac-0003badbebe4
[5] Vedi articoli citato nella nota 2.
[6] Vedi http://www.ilvelino.it/articolo.php?Id=372171


Umanità Nova n.33 del 21 ottobre 2007

Genova 2001. La parola all’accusa

Al processo in corso a Genova contro 25 compagni accusati di “devastazione e saccheggio” è arrivato il momento dell’accusa. Secondo il PM non ci fu alcuna “caccia a manifestanti inermi, perché il corteo di Via Tolemaide non era composto da pacifisti ma da persone che avevano scelto deliberatamente di contrapporsi alle forze dell’ordine, non si stavano difendendo né erano in pericolo di vita.” (cfr. Corriere della Sera, 10/10/07)
Questa, in estrema sintesi, la tesi dell’accusa che nel corso di tre udienze ha presentato una ricostruzione degli avvenimenti del 21 luglio 2001 con estremo dettaglio quando si è trattato di episodi che hanno visto protagonisti i manifestanti e con maggiore disinvoltura quando si è trattato delle violenze compiute da polizia e carabinieri su persone inermi e indifese. I primi sarebbero la prova che tutti i manifestanti erano violenti, le seconde che c’è stato qualche eccesso da parte delle forze dell’ordine, ma che questo andrebbe giudicato a parte. Ma dove? Forse in un contesto nel quale, siamo sicuri che, le migliaia di foto ed i filmati che hanno permesso di individuare 25 colpevoli in mezzo ai manifestanti non sarebbero in grado di portare all’identificazione di un solo agente.

Stesso discorso si è sentito a proposito dell’uso – da parte degli agenti – di gas pericolosi, di spranghe di ferro o di altre armi fuori ordinanza. Il PM non nega che determinati episodi siano avvenuti, sarebbe davvero difficile farlo, ma sostiene che tali episodi non hanno rilevanza in questo processo e che dovrebbero essere affrontati in, tanto per cambiare, altre sedi.

Come si può capire leggendo le trascrizioni delle udienze pubblicate sul sito di “supporto legale” (http://www.supportolegale.org), quella che viene fatta dall’accusa è una “ricostruzione a metà” di quanto accaduto, come se a partecipare agli scontri fossero stati solo i manifestanti, come se i colpi di pistola sparati, gli inseguimenti ed i pestaggi fossero sempre “altra cosa”, della quale non ci si debba occupare.

Prendiamo le telefonate al 113, portate ad esempio del clima di paura che si sarebbe diffusa in quelle ore in parte dei cittadini genovesi, e che sono state anche trasmesse in tv, dove però abbiamo sentito anche, per restare nello stesso ambito, le espressioni di gioia di una agente alla notizia della morte di Carlo Giuliani. Giusto per chiarire il “clima” esistente fra le forze dell’ordine.

Ridurre tutto quanto è accaduto in quelle giornate alle azioni di una o più persone è qualcosa che contrasta con la pretesa di fornire una ricostruzione “oggettiva” degli avvenimenti, come se fosse possibile isolare il comportamento degli accusati da tutto quello che stava avvenendo intorno a loro.

Prosegue anche il processo per l’assalto alla Scuola Diaz, ritornato recentemente sulle prime pagine dei media in occasione delle polemiche sulla “macelleria messicana”. In questo caso ad essere sul banco degli imputati sono gli agenti, magari proprio gli stessi che durante gli avvenimenti relativi al processo ai 25 si sono distinti nella gestione dell’ordine pubblico. Un procedimento che va avanti soprattutto a “colpi di mano” procedurali e che rischia di finire, ma non ci sarebbe da meravigliarsi, in un nulla di fatto.

Ancora in corso, siamo a 150 udienze, il processo contro altri agenti delle forze dell’ordine imputati delle violenze commesse contro i manifestanti fermati e rinchiusi a Bolzaneto, che prosegue con l’interrogatorio degli accusati. Mentre a Cosenza, il processo al “Sud Ribelle”, 13 compagni accusati di “cospirazione”, è ripreso a fine settembre e si trascina tra il disinteresse generale verso la conclusione prevista nella primavera del 2008.

Si avvicina, per molti di questi procedimenti il momento della conclusione di un percorso giudiziario, lungo, poco interessante dal punto di vista mediatico ma, ed è questo il punto dolente, anche poco partecipato da molti di quelli che in quei giorni di Genova erano in piazza. Il bilancio finale dovrà tenere presente anche questo.

Pepsy

Santa pazienza

“Lunico errore che faccio è che certe volte credo di sbagliare” (cit.)

Anche se le riflessioni che seguono sono dedicate in particolare a chi usa l’istanza mastodon.bida.im la maggior parte delle cose scritte valgono in generale anche per altri ambienti virtuali di comunicazione. Le scrivo sul blog perché pubblicarle a “toot” renderebbe il testo meno comprensibile.

Ed è proprio dai limiti di uno strumento come Mastodon che conviene iniziare il discorso.

La Comunicazione Mediata da Computer (CMC per gli amici) tra persone passa attraverso canali diversi: email, chat, mailing list, messaggi istantanei, ecc… ognuno di questi ha delle caratteristiche, di ordine tecnico, peculiari che lo differenziano dagli altri sotto molti aspetti.

Per esempio ci sono strumenti sincroni, tipo le chat, che consentono di interagire in tempo reale e strumenti asincroni, tipo le mailing list, dove a prevalere sono le interazioni più dilatate nel tempo. Anche se su una lista ci possono essere persone che sono sempre connesse e replicano a un email dopo mezzo secondo, ce ne saranno altre che la leggono una volta al giorno e quindi risponderanno in un altro momento.

Mastodon, sebbene permetta di rispondere immediatamente a un “toot” somiglia più a una sorta di blog “collettivo” e quindi può essere usato in diversi modi anche se per una discussione approfondita presenta molti più svantaggi che vantaggi rispetto a una serie di “toot” sullo stile di botta e risposta.

Questo perché non tutti gli strumenti della CMC possono essere usati (proficuamente) per le stesse cose: se devi coordinare una azione di strada in tempo reale difficilmente potrai farlo usando una lista di discussione ma piuttosto userai uno strumento di messaggistica istantanea o una chat. Se invece devi discutere più approfonditamente su un argomento probabilmente sarebbe meglio usare una mailing list che Mastodon.

E questa è la prima “regola” che andrebbe rispettata. Non tanto perché ci sia necessità di regole e di rispetto ma principalmente perché sarebbe poco furbo usare un martello da falegname per tentare di svitare i bulloni della ruota di una automobile.

Uno strumento come Mastodon è fatto, principalmente, per pubblicare brevi scritti e per condividere contenuti. Contenuti che possono essere molto vari: la foto-notizia di una iniziativa, un link interessante, una riflessione generale, una domanda, una richiesta ma anche un contenuto di tipo personale, nel senso che riguarda soprattutto chi scrive.

Ma, qualsiasi sia il contenuto del “toot”, ci si dovrebbe rendere conto che alla sua pubblicazione potrebbe seguire una “reazione” di qualche tipo.

Questo semplicemente perché se una persona si esprime in un “luogo pubblico” deve mettere in conto una possibile reazione e per reazione intendo anche un silenzio assordante. Sono infatti le reazioni che sono alla base di qualsiasi “social coso”, senza di queste ci sarebbe solo un flusso ininterrotto di contenuti senza nessun collegamento tra di loro.

Per cui la seconda “regola” da seguire prima di scrivere un “toot” è quella di riflettere sulle reazioni che quello che si sta per pubblicare potrebbe suscitare nelle altre persone. La frase precedente non vale per troll o per flamer.

Seguire la seconda “regola” è difficile perché si entra nel campo delle diversità individuali, il che apre un mondo infinito di possibilità praticamente uguale al numero di universi paralleli che esistono nelle serie TV.

Pubblicare il link a un concorso dove si vince una mascherina al profumo di bacon potrebbe offendere qualche persona? E ripescare la storia dei “bonsai kitten”?

Proseguendo sull’importanza di valutare preventivamente quello che si vorrebbe pubblicare si arriva a uno dei nodi più delicati, vale a dire ai “toot” che riguardano il proprio “personale”.

“oggi mi sento più psichedelico del solito”
“ho cucinato pasta e fagioli (con cotiche o senza)”
“il mio gatto ha detto MIAO”

Come scritto sopra le reazioni a quello che viene pubblicato sono l’elemento di base sul quale si fonda il funzionamento dei “social cosi”. Del resto se Mastodon fosse esclusivamente un susseguirsi di “toot” senza alcuna reazione la cosa potrebbe assumere anche aspetti preoccupanti, anche se discretamente interessanti dal punto di vista di chi analizza la comunicazione.

A questo punto la videocamera dovrebbe inquadrare chi legge un “toot” di tipo personale e reagisce con un commento.

Tralascio qui tutto quello che riguarda “stelline”, “condivisione” e annessi e connessi e mi riferisco solo ai commenti scritti, che abbiano o meno una immagine allegata o che consistano solo in una immagine allegata.

In questo caso la “regola” dovrebbe essere questa: nei commenti ai “toot” di tipo “personale” andrebbero evitati attacchi, insulti e squalifiche (nel senso psicologico del termine) indirizzati alla persona che ha scritto il “toot” che si commenta. A meno che non siano una reazione diretta, ovvero quando sono una risposta a una chiara provocazione di tipo personale alla quale si ha tutto il diritto di replicare a tono.

In casi di “toot” del genere:
“i nati sotto il segno dei pesci con ascendente acquario puzzano”
“il calcio non piace agli snob”
“sono allergico al pelo dei cani”

Seguire questa “regola” è molto semplice, in quanto basta ricordarsi che è sempre legittimo criticare, anche aspramente, il contenuto di quello che non ci piace senza bisogno di attaccare chi lo ha scritto. Questo perché bisogna sempre ricordarsi che per litigare è necessario essere (almeno) in due.

In altri casi seguire questa “regola” è molto più complicato dal fatto che a volte il contenuto pubblicato riguarda questioni che attengono alla sfera intima o emotiva sia personale che collettiva. Non entro nel merito delle ragioni che possono spingere le persone a raccontare in pubblico situazioni, storie, stati d’animo di carattere “intimo” delle quali probabilmente sarebbe meglio parlare con persone che si conoscono, piuttosto che con degli sconosciuti. Segnalo solo che questo genere di “toot” difficilmente producono qualcosa di buono.

Bisogna però evitare anche una sorta di autocensura, per cui si evita volutamente di affrontare certi argomenti perché si ritiene che possano essere offensivi per qualche persona. Visto che non è possibile conoscere e tener conto delle sensibilità di tutte le singole persone, che potenzialmente possono leggere quello che si scrive, si rischierebbe di creare un ambiente dove una presunta “sicurezza” sarebbe il risultato di una totale omologazione e dell’appiattimento delle differenze individuali. O della trasformazione di Mastodon in uno “sfogatoio” piuttosto che in un ambiente dove poter discutere e confrontarsi anche su argomenti “intimi”.

In altri termini sono fermamente convinto che, ogni tanto, un bel flame ci stia bene, basta che non diventi la modalità comunicativa prevalente e che sia sempre, per quanto umanamente possibile, un litigio rispettoso delle persone.

Sintetizzando, quella specie di “regole” indicate sopra, si potrebbero ridurre anche a una sola: avere pazienza, una virtù necessaria anche se so bene che i suoi limiti sono strettamente individuali. Avere pazienza con chi reagisce male a quello che pubblichiamo e avere pazienza con quello che pubblicano le altre persone.

Oltre ad una “santa pazienza” bisognerebbe – da parte di chiunque – ricordare che la comunicazione andrebbe *sempre* contestualizzata e quello che una persona potrebbe considerare offensivo per un’altra potrebbe essere considerato ironico. E se ogni persona ha tutto il diritto di trovare “insultante” quello che vuole dovrebbe concedera anche alle altre persone gli stessi diritti che reclama.

Nota Bene. La “santa pazienza” non si applica a contenuti sfacciatamente sessisti, razzisti, fascisti, ecc…

Pazienza perché l’unica alternativa sarebbe creare o tentare di creare ambienti di comunicazione sterilizzati nei quali tutte le persone la pensano più o meno allo stesso modo. Del resto l’ambiente di comunicazione più sicuro per tutti i suoi utenti è quello dove nessuno comunica con nessuno.

“Piano B”

Un opportuno “toot” su mastodon.bida.im mi fa venire in mente che il mio suggerimento può essere sostituito da una modalità che non presuppone particolari virtù. Autorizzato dall’autore, che ringrazio, copio e incollo di seguito un sistema alternativo per non essere disturbato oltre il necessario.


naivespeaker

Non proponiamo “La mossa del Fassino” perché è subdolamente oppressiva, ma possiamo consigliare una soluzione a chi soffre per l’ignoranza e la cattiveria che dominano l’istanza che l* ospita.

1. Bloccate tutti quell* che non sono dispost* a darvi sempre ragione

2. Sottoponete alla vostra accettazione le richieste di seguirvi

3. Accettate come follower solo quell* che sono dispost* a darvi sempre ragione

4. Impostate “Visibili solo dai Follower” per tutti i vostri toot

5. Interagite con chi vi dà sempre ragione

6. E così nessuno si farà male

In questo modo potrete continuare ad usufruire del servizio fornito dall’ignorante e cattiva istanza.

Volendo potrete contribuire economicamente a pagare i server che vi ospitano, e sentirvi in pari.


 

Indymedia in Italia…

E adesso?

La pseudo biografia di italy.indymedia.org è (praticamente) finita.

Senza avere, come chiarito fin dall’inizio, la pretesa di essere minimamente esaustiva il suo scopo era, con la scusa del ventennale, quello di provare a fornire, a chi non conosce o conosceva poco di quella esperienza, un minimo di materiali per avere una vaga e incompleta idea di quella che è stata una molteplice storia che ha coinvolto, a diversi livelli e per non pochi anni, decine di migliaia di persone.

La voglia di raccontare quelle storie frulla in testa da quasi dieci anni, la voglia di scrivere qualcosa di più corposo di una pseudo biografia ma meno pretenzioso di una storia definitiva. Per fare questo, ammesso di averne la capacità, mancano alcuni pezzi.

2002 Firenze Indymeeting

2002 Firenze Indymeeting

Ci sono alcune lacune, tra le tante, che vanno segnalate non fosse altro perché sia chiaro che sono volute e non frutto di dimenticanze o di maldestri tentativi di occultamento o mistificazione.

La lacuna più grossa è sicuramente che manca anche solo un accenno alle questioni di genere e non certo perche queste sono diventate di moda in tempi più recenti ma esclusivamente per il semplice fatto che chi scrive non si ritiene in grado di poter affrontare l’argomento in modo soddisfacente e quindi ha preferito (forse vigliaccamente) saltarlo del tutto. E’ necessario comunque almeno ricordare che la storia di (((i))) non è stata sicuramente una storia esclusivamente maschile, anzi qualcunx potrebbe affermare esattamente il contrario. Un vuoto bello grosso che potrebbe essere riempito da altrx che abbiano voglia di ricordare la storia di una comunità che è stata sicuramente più includente che escludente.

2003IMCCampDarby

2003 IMC Camp Darby

La seconda mancanza riguarda la non menzione delle grosse polemiche interne che hanno attraversato, in diverse occasioni, (((i))) provocando litigi, incomprensioni e tutto il resto. In questo caso la scelta è stata dovuta al fatto che un singolo episodio, a volte anche piccolo, scatenava un diluvio di mail che spesso “contagiavano” anche due o tre liste di discussione diverse e poteva durare settimane. La fatica per ricostruire, in modo corretto, anche solo uno di questi episodi non avrebbe aggiunto molto a questo breve testo. Anche perché poi, dopo lo scannamento polemico, le cose riprendevano a funzionare (o non funzionare…) di nuovo.

Altra lacuna, anche questa voluta, riguarda l’annosa questione del rapporto tra i “tecnici” e i “politici” un rapporto che è sempre stato storicamente conflittuale e mai completamente risolto in modo soddisfacente. Spesso dentro (((i))) si è discusso di questo tipo di problemi e si è anche provato a mitigare l’impatto che aveva sul funzionmento del progetto nel suo complesso. La missione non è riuscita ma nessuno potrà mai dire che non ci si è provato.

2003 Livorno Presentazione Indymedia

2003 Livorno Presentazione Indymedia

Anche all’interno di (((i))) come di qualsiasi comunità la variabilità caratteriale è stata sia una forza che una debolezza ma la presenza di persone ottuse e/o in malafede si è mantenuta quasi sempre a livelli fisiologici. Stesso discorso vale per i troll e per quellx in cerca di notorietà. Anche se i più noiosi e patetici di tutti erano quellx che si capiva anche solo da dove mettevano le virgole che erano dentro al progetto esclusivamente per conto del loro partitino-gruppo-organizzazione-collettivo. Su tutte queste persone e sulle loro brutte figure si è steso, come suol dirsi, un velo pietoso.

Altra mancanza, già segnalata, riguarda l’attività fatta a livello locale dai vari gruppi di attivistx che “facevano indymedia”. Attività iniziata prima della nascita dei nodi geografici creati dopo il congelamento del sito nel 2006 e che è quasi sempre continuata ininterrottamente per più di dieci anni. Come però è stato scritto, queste sono storie che sarebbe meglio se le raccontassero i partecipanti ai vari gruppi sparsi per la penisola.

Da questa parte si potrebbe, e non è una minaccia, raccontare la storia di toscana.indymedia e non è detto che prima o poi non venga fatto :-)

2004 Genova Indymeeting

2004 Genova Indymeeting

Come già scritto (in diverse occasioni) e ripetuto, se si volesse mettere su un piatto della bilancia le cose positive del progetto e sull’altro quelle negative il primo sarebbe sicuramente sempre quello più pesante. Del resto se un progetto, nato dal basso, indipendente e autogestito, durato nel suo complesso quasi 20 anni, è riuscito a confrontarsi e a volte a “vincere” contro un potere così forte come quello dell’informazione ufficiale vuol dire che quella lotta era possibile, oltre che necessaria.

Ricordare, anche con tutti i difetti delle rievocazioni e di questa in particolare, le tante vite di italy.indymedia.org è stato anche un modo per ribadire che il campo dell’informazione è ancora – accanto a quelli più “classici” – un terreno di lotta dove, oggi forse ancora più di ieri, è necessario impegnarsi.

Nelle puntate precedenti…

  1. Italy prima di italy
  2. Andare a Genova passando per Napoli
  3. Genova. Il battesimo del fuoco
  4. Il villaggio indyano
  5. Tutti vs italy.indymedia.org
  6. Signore e signori, si chiude
  7. La “balcanizzazione”