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Recensioni di cadaveri dell’informazione

Conversioni pericolose

Fino a questo momento, al tempo del C-19, quello sotto è il cartello che preferisco; suppongo sia diffuso anche in altre città e qui fa bella mostra nella vetrina di un bar in centro:

Conversioni sbagliate

Il cartello è interessante, oltre che leggermente ridicolo, e fa venire in mente alcune pigre riflessioni:

1. che anche ai tempi di Internet le persone non sanno convertire una unità di misura in un’altra, 6 piedi (“feet”) equivalgono a circa 1,8288 metri;

2. che le misure di sicurezza prese durante la pandemia non avevano/hanno sempre delle solide basi scientifiche;

3. che noi italiani ci vogliamo più bene degli statunitensi;

4. che qualcuno potrebbe pensare che in quel bar bisogna tenere una distanza interpersonale diversa a seconda della nazionalità di appartenenza;

5. che il cartello non è proprio il massimo, sia dal punto di vista dell’utilità che della comunicazione;

6. mi fa notare Nicolas Laney (via mastodon) che si potrebbe anche vederci una divisione di genere, ma solo se le persone sono vestite in modo tradizionale.

Cartellonistica moderna

Qualcuno dei cartelli fotografati oggi al corteo di FFF a Pisa.

Avviso: i commenti potrebbero non piacere.

C’è qualcosa che mi perplime nell’ordine delle priorità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il vecchio cuore hippie non muore mai.

 

 

 

 

 

Se ci sono 40 gradi col cavolo che mi bevo un alcolico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E, infatti (vedi sopra) qualcuno giustamente si lamenta.

 

 

 

 

 

 

 

Bucolico.

Cartello: "Go touch some grass & take care of it"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho fatto le superiori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo non l’ho capito, giuro. Aggiornamento: mi fanno notare diverse persone che la scritta fa riferimento a una canzone, che non conosco, di un cantante, che non conosco e mi forniscono gentilmente un link per informarmi. Dopo 21 secondi di ascolto mi rendo conto di quanto ero più contento prima.

Perché i computer non domineranno (ancora) il mondo

Anche il prossimo governo farà dichiarazioni, più o meno roboanti, sulla necessità di digitalizzare il digitalizzabile e anche di più. Sull’importanza delle reti veloci, sulla diffusione delle tecnologie informatiche e, soprattutto, sulla transizione delle Amministrazioni Pubbliche verso… indovinala un po’? Il digitale, sempre quello.

Come tutti quelli che lo hanno preceduto il nuovo governo probabilmente lascerà intatto tutto il caos normativo sull’amministrazione digitale che nemmeno le ripetute e sempre più cervellotiche versioni del famigerato “CAD” (che non sta per ComputerAided Design/Drafting) ma per “Codice dell’Amministrazione Digitale” è mai riuscito a sbrogliare.

E, ci scommettiamo, che anche la prossima piattaforma on-line verrà presa d’assalto e crasherà senza che nessuno abbia lanciato un attacco DOS (“Denial-of-service” attack). Ma anche questa non è una notizia.

Il fatto è che, nonostante pochi lo facciano notare, le carenze che spesso vengono attribuite esclusivamente alle Amministrazioni Pubbliche sono invece una situazione molto più diffusa e che riguarda anche le società private e non solo quelle che hanno bilanci annuali da circolo ricreativo.

Un esempio, tratto da una esperienza personale.

Il mio SPID, la mitica identità elettronica, una delle tante identità elettroniche che è possibile avere visto che le norme lo prevedono (ho scritto già che sono caotiche?) è gestito da una società privata che – ovviamente – persegue fini di lucro.

Di passaggio noto che è alquanto bizzarro che la mia identità, che viene certificata dallo Stato, venga poi gestita da un soggetto privato, ma questo fa parte di quelle insondabili decisioni che sono invariabilmente generatrici di ulteriore, come dire… caos.

Il gestore dello SPID che uso (*) recentemente mi ha gentilmente avvisato che devo aggiornare i miei documenti perché la Carta di Identità che avevo usato per la registrazione è scaduta.

Se non lo avessi fatto già prima noterei che se a gestire la mia identità digitale fosse una struttura pubblica piuttosto che un privato non ci sarebbe bisgogno di nessun avvertimento in quanto chi gestirebbe lo SPID avrebbe direttamente accesso al mio documento di identità aggiornato, visto che viene rilasciato addirittura tramite un Ente Pubblico.

Mi preparo ad aggiornare il mio documento scansionando (sic!) una CIE, che sta per “Carta di Identità Elettronica” e non per “Centro di identificazione ed espulsione”, con tanto di CHIP, PIN, Codice a Barre e magari anche qualche altra cosa segreta della quale non sono a conoscenza.

Carico il file, in formato jpg, sul sito del gestore dello SPID e il giorno dopo ricevo questo e-mail.

Qualche giorno dopo, ricevo una seconda e-mail.

Peccato che non vengono fornite informazioni su cosa abbia causato gli “errori” in questione, rendendo difficile cercare una soluzione soprattutto per quelli come me che si sono persi il corso di telepatia e non hanno mai frequentato quello preveggenza.

Per la cronaca, ho provato (altre due volte) a completare la procedura di aggiornamento e il risultato è stato sempre lo stesso. Ho provato anche quella che sul sito di assistenza chiamano “chat”, che in realtà è un “bot” – no, non sono i “Buoni Ordinari del Tesoro” – di quelli che sanno rispondere solo ad una certa serie di domande pre-definite e che al loro confronto Eliza (Weizenbaum, 1966) è una AI che ha superato in scioltezza il Test di Turing.

Questa situazione però, invece che gettarmi nello sconforto mi crea invece un senso di contentezza in quanto, almeno per un altro bel po’ di tempo, i computer non domineranno il mondo e la digitalizzazione delle nostre esistenze provocherà più casino che altro e scusate se mi contento di così poco.

I computer non domineranno il mondo e la transizione al digitale non avverrà a breve, ma romperanno comunque le scatole, temo.

La prossima puntata sarà dedicata a un altro fornitore di identità, anche in questo caso (attenzione, spoiler!) non sono riuscito a venirne a capo…

 

 

(*) In realtà ho più di una identità SPID, ma questo è un altro discorso.