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Nostra patria è il mondo intero… ancora

Quella della “cittadinanza” è una questione che risale davvero alla notte dei tempi. Basti pensare che solo nel 49 avanti cristo gli abitanti delle regioni nel nord della penisola italiana ebbero riconosciuto per legge il diritto di considerarsi “cittadini romani”. E nel corso di questi duemila anni le leggi sulla cittadinanza sono cambiate secondo gli interessi delle élites al potere in quanto si tratta di un diritto di tipo politico. Come dimostrato dal fatto che le leggi che lo regolamentano non sono uguali in tutti i paesi del mondo anche se, nella maggior parte dei casi, fanno riferimento allo “ius soli” o allo “ius sanguinis”.

Questa premessa minima è per contestualizzare uno dei cinque referendum previsti per la prima settimana del prossimo mese di giugno. Il quesito, illeggibile come nella maggior parte dei casi, chiede a chi vota se vuole che vengano abrogate alcune parti della Legge 5 febbraio 1992, n. 91 “Nuove norme sulla cittadinanza”. In pratica chi ha proposto il Referendum vuole che il tempo di residenza legale necessario per richiedere la cittadinanza passi da 10 a 5 anni. Una delle tante cose che mostra l’estrema strumentalità del concetto di “cittadinanza” è che durante il ventennio fascista bastavano solo 5 anni di residenza, periodo che è raddoppiato nel 1992 durante il Governo Andreotti (VII) formato da DC, PSI, PSDI e PLI.

Le questioni legate alla cittadinanza continuano a essere estremamente attuali, basti pensare che nello scorso mese di marzo un Decreto Legge ha apportato alcune modifiche restrittive alle richieste che arrivano dai discendenti, nati e residenti all’estero, di emigrati italiani.

Le posizioni dei partiti parlamentari vedono da una parte PD e AVS, che sono a favore della riduzione, ai quali si aggiungono +Europa, IdV e Azione mentre invece il M5S ha scelto di lasciare “libertà di voto” al proprio elettorato. Ennesima dimostrazione delle contraddizioni e ambiguità che costituiscono da sempre le posizioni politiche di questa formazione. Gli altri, vale a dire quelli che sostengono l’attuale governo, hanno assunto più o meno apertamente una posizione a favore dell’astensione allo scopo di impedire il raggiungimento del quorum e quindi rendere inutile la consultazione. Una mossa dettata chiaramente dal razzismo che costituisce una parte importante della loro ideologia. Da notare che sembra sia difficile organizzare i classici dibattiti televisivi, tra i sostenitori del “SI” e del “NO”, in quanto è quasi impossibile trovare qualcuno che sostenga le ragioni dei secondi.

Prendendo per buoni i continui sondaggi e basandosi sugli ultimi risultati elettorali è facile fare due conti: la coalizione a favore dell’abrogazione ha poche speranze di vincere. Si tratta quindi di un referendum probabilmente perso in partenza. Qualcuno si potrebbe chiedere che vantaggi ne trarrebbe il PD da una sconfitta annunciata e la risposta è evidente: dimostrare che “lotta” per i diritti civili, presentarsi come unica forza di opposizione attribuendosi tutti i voti che otterrà il “SÌ”, tenere a bada le correnti delle minoranze interne.

Non c’è bisogno di auspicare l’avvento di una società anarchica per ritenere tutte le leggi esistenti sulla cittadinanza una enorme vergogna, utili solo ad alimentare le discriminazioni e le dannose idee di “identità nazionali”, a favorire lo sfruttamento degli immigrati irregolari, a impedire che i più poveri si organizzino senza preoccuparsi del colore della pelle, della lingua che parlano o del paese dove sono nati. In altre parole sono norme funzionali allo Stato e al mantenimento del sistema di sfruttamento chiamato Capitalismo.

Certamente, davanti al dilagare di idee razziste, xenofobe e fasciste, l’impulso di recarsi a votare “SÌ” potrebbe essere forte. Un ragionamento del genere, quello del meno peggio, però si potrebbe fare anche in altri casi, come è stato fatto. Ma dovrebbe essere altrettanto forte la memoria della fine che hanno fatto altre consultazioni, anche quelle che sono state “vinte”, come quella contro il nucleare e contro la privatizzazione dell’acqua. Per non dimenticare poi i continui tentativi di annullare la “vittoria” del Referendum sull’interruzione volontaria della gravidanza. Oltretutto uno dei cavalli di battaglia dei fautori della “remigrazione” è quello di permettere la revoca della cittadinanza agli immigrati per cui, davanti a programmi del genere, 5 o 10 anni sarebbe lo stesso.

La lotta per la libertà di circolazione di tutte le persone è una lotta complementare a quella per l’abolizione di tutte le frontiere, di tutte le farse chiamate nazioni o patrie, tutti ostacoli che si frappongono alla costruzione di una società libera. Una lotta che appartiene, da sempre, alle anarchiche e agli anarchici: “Nostra patria è il mondo intero…”.

Pepsy

[Pubblicato su “Umanità Nova” n.x del yy/zz/2025]

Una storia antifascista

Chi legge queste pagine probabilmente conosce la storia di Franco Serantini e soprattutto la sua tragica morte avvenuta il 7 maggio del 1972 a Pisa. Un avvenimento che con il trascorrere del tempo può essere considerato emblematico di una stagione il cui racconto riemerge periodicamente nel dibattito politico italiano.

In quel periodo tra i partiti presenti in Parlamento ne esisteva uno, il “Movimento Sociale Italiano” (MSI), che nascondeva senza molto successo sotto la maschera di una destra “perbene” la sua ideologia di fondo che derivava da quella del fascismo storico. La politica di questo partito si sviluppava su due livelli: nelle aule parlamentari a favore di tutti i Governi conservatori e di tutte le leggi più reazionarie e repressive e fuori dal Palazzo con il sostegno, più o meno aperto, di azioni violente che avevano come obiettivo le forze della sinistra, sia quella moderata che quella cosiddetta rivoluzionaria. Una serie continua di provocazioni, pestaggi e attentati contro chiunque contestasse i partiti che allora detenevano il potere e le politiche dei Governi e dei padroni.

In quegli anni l’antifascismo storico, quello che aveva sostenuto la Resistenza, si era cristallizzato nel cosiddetto “arco costituzionale” e iniziava a trasformarsi in qualcosa di meramente celebrativo, buono giusto per le manifestazioni istituzionali del 25 aprile.

Nel mondo reale le cose invece erano alquanto diverse. A partire dagli anni ’60, per difendersi dalle violenze che arrivavano dagli iscritti al MSI e da altre formazioni fasciste più piccole, si era sviluppato un movimento largamente diffuso in tutta la penisola del quale facevano parte migliaia di persone. Un movimento che non aveva paura di rispondere in modo adeguato a quello che allora veniva chiamato “neofascismo”.

La città di Pisa non faceva eccezione e per questo non bisogna meravigliarsi se il giovane anarchico Franco Serantini, studente e lavoratore, il 5 maggio del 1972 era sceso in piazza, insieme ad altre centinaia di persone, per contestare il comizio elettorale di un noto esponente locale del MSI. Come spesso accadeva in occasioni del genere la manifestazione di protesta fu attaccata dalle forze dell’ordine, arrivata in forze anche da altre città, e il centro di Pisa si riempì per ore del fumo dei lacrimogeni. Le cariche degli agenti furono molto pesanti, vista la resistenza opposta da chi protestava e Franco Serantini venne picchiato e arrestato durante una di quelle tante cariche. Restò in cella, praticamente senza ricevere cure, per due giorni e solo nel corso dell’autopsia si scoprì che era stato letteralmente massacrato dalle percosse ricevute dai poliziotti.

Nonostante lo scalpore suscitato dal fatto, che arrivò anche in Parlamento, e nonostante gli assassini avessero firmato il delitto non vennero mai individuati i colpevoli. Il nome di Franco Serantini si aggiunse al triste elenco delle vittime delle stragi fasciste che contiene anche i nomi degli altri compagni e delle altre compagne uccise dalle forze dell’ordine. Ma la sua è diventata Storia, sicuramente a Pisa dove viene ricordato ogni anno, con le più diverse iniziative, ma anche altrove grazie alla memoria degli anarchici e delle anarchiche, una memoria destinata a durare per sempre.

Con il passare del tempo sono aumentati i tentativi di riscrivere l’antifascismo di quegli anni presentandolo come una sorta di “guerra fra bande”, tra militanti di destra e di sinistra. L’antifascismo militante è stato circoscritto a singoli episodi nel tentativo di farlo apparire come una insensata esplosione di violenza gratuita. Nella realtà l’opposizione decisa alle attività dei fascisti era stato un generoso tentativo, messo in campo da un forte movimento di opposizione sociale, di contrastare una precisa politica che si sarebbe concretizzata nel corso degli anni attraverso la lunga sequenza di attentati e di stragi nelle quali, in un modo o nell’altro, furono coinvolti militanti di destra. Il partito maggioritario dell’alleanza oggi al Governo mantiene – non certo a caso – nel suo simbolo quello del vecchio MSI e quindi si richiama direttamente ed esplicitamente a esso ereditandone, di conseguenza, le pesanti responsabilità accumulate. Nonostante i continui e patetici tentativi di nascondere, soprattutto attraverso la disinformazione, la propria ideologia di fondo.

Collocare la storia della vita e dell’omicidio di Franco Serantini nel contesto della lotta antifascista che ha caratterizzato quegli anni lontani è un modo non solo per ricordarlo degnamente e senza troppa retorica ma anche un’occasione per riflettere e per far riflettere su quegli avvenimenti, qualcosa che continua a essere utile anche dopo tanto tempo.

Pepsy

Pubblicato su “Umanità Nova”, n.13 del 2025.

Professionisti dello spettacolo

Politica e spettacolo hanno sicuramente dei punti in comune, ma una delle cose che distingue i due ambiti è il fatto che il primo dovrebbe occuparsi del reale e il secondo non solo di quello. Ci sono però dei confini che, quando vengono superati, potrebbero causare dei “cortocircuiti” a livello della comunicazione. Se a questo aggiungiamo la possibilità che personaggi dello spettacolo intervengano in modo significativo nell’ambito politico (e viceversa) e/o che vengano mischiati i linguaggi e le tecniche di comunicazione caratteristici dei due settori, i problemi iniziano a diventare seri.

Prendiamo, ad esempio, quello che è successo a fine febbraio scorso nello Studio Ovale della Casa Bianca e il prevedibile diluvio di commenti a seguire. In pochi hanno tenuto in debito conto che in quella occasione si sono trovati faccia a faccia, davanti a telecamere e giornalisti, due personaggi che hanno alle spalle una storia non occasionale nel settore dell’intrattenimento. Eppure non dovrebbe sorprendere il comportamento di una persona che, dopo aver frequentato per anni il mondo dello spettacolo, poi applichi quello che ha imparato anche quando fa un altro lavoro.

Fotogramma dal film "Two weeks notice" (2002)

Fotogramma dal film “Two weeks notice” (2002)

Trump è un personaggio mediatico da più di trent’anni e un politico da meno di dieci. Forse la sua prima apparizione sul grande schermo data a “I fantasmi non possono farlo” (1989), seguita da “Mamma ho riperso l’aereo” (1992), “Piccole canaglie” (1994), “Across the Sea of Time” (1995), “Zoolander” (2001), “Due settimane per innamorarsi” (2002) e “Wall Street – Il denaro non dorme mai” (2010). Comparsate in note serie televisive: “Il Principe di Bel-Air” (1994), “Sex and the City” (1999) e “Days of Our Lives” (2005). A queste si dovrebbero aggiungere le numerose apparizioni nel “Saturday Night Live”. E forse manca qualcosa in questo elenco. Ma significativo per la sua carriera è il 2004 quando inizia a condurre un reality show che è durato ben undici anni: “The Apprentice (2004-2015)” e “The Celebrity Apprentice” (2008-2015) che lo accompagneranno fino alla data della sua prima elezione.

Da parte sua anche Zelens’kyj ha passato più di vent’anni nel mondo dello spettacolo. Ha iniziato a fare il comico nel 1997, ha esperienza nella regia e nella produzione di prodotti di intrattenimento e ha raggiunto la vetta della popolarità quando è diventato protagonista di una serie chiamata “Servitore del popolo” (2015), nella quale interpretava un professore di liceo che diventa presidente dell’Ucraina (toh!). Una differenza con Trump è che gli spettacoli della televisione ucraina non hanno la stessa diffusione a livello mondiale di quelli statunitensi.

Carriere del genere sono qualcosa che mette in grado anche persone che non brillano per le loro capacità intellettuali o politiche di gestire in modo professionale determinati contesti pubblici, come ad esempio una discussione davanti a un pubblico e delle telecamere.

Eppure c’è ancora chi continua a stupirsi del comportamento del Presidente degli USA, sia quando ripubblica su Internet un video di pessimo gusto, sia quando scrive o dice cose che sono buone solo per ricavarci un titolo di giornale. Questa sorpresa può portare a interpretare in modo sbagliato quello che accade.

Tornando a quello che è avvenuto alla Casa Bianca, molti dei commenti a caldo suscitati dalla visione di quella chiacchierata sono stati di indignazione per il trattamento ricevuto dal Presidente ucraino e per la prepotenza e la violenza verbale del Presidente statunitense e del suo vice. L’accaduto è stato spesso riassunto così: “Trump e Vance hanno teso un’imboscata a Zelens’kyj e lo hanno maltrattato facendo i loro interessi e il gioco di Putin”. Ma questa narrazione se non completamente errata è sicuramente molto discutibile, soprattutto se fatta senza aver tenuto conto dell’intero video. Il filmato integrale (supponendo che lo sia) dura circa 50 minuti e mostra un classico talk-show paragonabile – nei suoi meccanismi di comunicazione – a uno dei tanti che infestano le TV di tutto il mondo. Una discussione portata avanti con uno stile di comunicazione che di politico aveva ben poco tra due personaggi del genere, e una presunta violenza del confronto che è stata, rispetto a quella che si è vista sul piccolo schermo italiano, davvero risibile. Molto più hanno detto, in alcuni momenti, le smorfie, i gesti e i movimenti del corpo dei protagonisti.

Una lettura diversa di quanto si è visto infatti potrebbe essere questa: “Trump ha detto a Zelens’kyj che, se vuol far finire la guerra, qualcosa deve cedere, sia agli USA che a Putin. Ma il Presidente ucraino ha mantenuto fermo il suo punto di vista.” Il che può essere considerato sia come un ricatto che come un consiglio pragmatico, o magari entrambe le cose. In pratica l’interpretazione dei contenuti in certi contesti e con certi protagonisti diventa davvero complicata. Specialmente se non si valuta nemmeno la battuta finale di Trump che segnalava a chi aveva seguito l’incontro che si era trattato di “un bel pezzo di televisione” (sic!).

La tragedia era che i protagonisti dello show avevano chiacchierato, comodamente seduti, di una guerra che va avanti da tre anni e che ha causato, secondo alcune fonti, quasi novecentomila morti e relative distruzioni.

Quanto scritto sopra non significa che lo spettacolo della politica cambia quando due attori scadenti usano il linguaggio che conoscono meglio, ma piuttosto che è più difficile comprenderne il reale contenuto. Il che è confermato dagli avvenimenti successivi: Trump che dichiara una cosa e il giorno dopo il contrario e Zelens’kyj che ha cambiato (forse) la ferma posizione che aveva tenuto a Washington.

Visto come vanno le cose dovremo abituarci non tanto a una massiccia invasione dei professionisti dello spettacolo nella politica attiva, ma piuttosto ai tentativi di quelli che hanno una formazione politica di imitare le abilità dei performer. Questa non è una novità assoluta. Si vedano ad esempio “le facce che fa” la Presidente del Consiglio italiana quando è a favore di telecamera, elemento che costituisce la sua personale forma di comunicazione diretta al grande pubblico.

Una volta, i confini che esistevano tra l’ambito e il linguaggio della comunicazione politica e quello dell’intrattenimento venivano superati solo occasionalmente, mentre oggi sembrano spariti del tutto, relegando le persone sempre più al ruolo di semplici spettatori che si limitano a trovare uno sfogo sui loro social preferiti piuttosto che con la protesta nel mondo reale.

Pepsy

Pubblicato sul n.7 di “Umanità Nova” (16/03/2025)