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Professionisti dello spettacolo

Politica e spettacolo hanno sicuramente dei punti in comune, ma una delle cose che distingue i due ambiti è il fatto che il primo dovrebbe occuparsi del reale e il secondo non solo di quello. Ci sono però dei confini che, quando vengono superati, potrebbero causare dei “cortocircuiti” a livello della comunicazione. Se a questo aggiungiamo la possibilità che personaggi dello spettacolo intervengano in modo significativo nell’ambito politico (e viceversa) e/o che vengano mischiati i linguaggi e le tecniche di comunicazione caratteristici dei due settori, i problemi iniziano a diventare seri.

Prendiamo, ad esempio, quello che è successo a fine febbraio scorso nello Studio Ovale della Casa Bianca e il prevedibile diluvio di commenti a seguire. In pochi hanno tenuto in debito conto che in quella occasione si sono trovati faccia a faccia, davanti a telecamere e giornalisti, due personaggi che hanno alle spalle una storia non occasionale nel settore dell’intrattenimento. Eppure non dovrebbe sorprendere il comportamento di una persona che, dopo aver frequentato per anni il mondo dello spettacolo, poi applichi quello che ha imparato anche quando fa un altro lavoro.

Fotogramma dal film "Two weeks notice" (2002)

Fotogramma dal film “Two weeks notice” (2002)

Trump è un personaggio mediatico da più di trent’anni e un politico da meno di dieci. Forse la sua prima apparizione sul grande schermo data a “I fantasmi non possono farlo” (1989), seguita da “Mamma ho riperso l’aereo” (1992), “Piccole canaglie” (1994), “Across the Sea of Time” (1995), “Zoolander” (2001), “Due settimane per innamorarsi” (2002) e “Wall Street – Il denaro non dorme mai” (2010). Comparsate in note serie televisive: “Il Principe di Bel-Air” (1994), “Sex and the City” (1999) e “Days of Our Lives” (2005). A queste si dovrebbero aggiungere le numerose apparizioni nel “Saturday Night Live”. E forse manca qualcosa in questo elenco. Ma significativo per la sua carriera è il 2004 quando inizia a condurre un reality show che è durato ben undici anni: “The Apprentice (2004-2015)” e “The Celebrity Apprentice” (2008-2015) che lo accompagneranno fino alla data della sua prima elezione.

Da parte sua anche Zelens’kyj ha passato più di vent’anni nel mondo dello spettacolo. Ha iniziato a fare il comico nel 1997, ha esperienza nella regia e nella produzione di prodotti di intrattenimento e ha raggiunto la vetta della popolarità quando è diventato protagonista di una serie chiamata “Servitore del popolo” (2015), nella quale interpretava un professore di liceo che diventa presidente dell’Ucraina (toh!). Una differenza con Trump è che gli spettacoli della televisione ucraina non hanno la stessa diffusione a livello mondiale di quelli statunitensi.

Carriere del genere sono qualcosa che mette in grado anche persone che non brillano per le loro capacità intellettuali o politiche di gestire in modo professionale determinati contesti pubblici, come ad esempio una discussione davanti a un pubblico e delle telecamere.

Eppure c’è ancora chi continua a stupirsi del comportamento del Presidente degli USA, sia quando ripubblica su Internet un video di pessimo gusto, sia quando scrive o dice cose che sono buone solo per ricavarci un titolo di giornale. Questa sorpresa può portare a interpretare in modo sbagliato quello che accade.

Tornando a quello che è avvenuto alla Casa Bianca, molti dei commenti a caldo suscitati dalla visione di quella chiacchierata sono stati di indignazione per il trattamento ricevuto dal Presidente ucraino e per la prepotenza e la violenza verbale del Presidente statunitense e del suo vice. L’accaduto è stato spesso riassunto così: “Trump e Vance hanno teso un’imboscata a Zelens’kyj e lo hanno maltrattato facendo i loro interessi e il gioco di Putin”. Ma questa narrazione se non completamente errata è sicuramente molto discutibile, soprattutto se fatta senza aver tenuto conto dell’intero video. Il filmato integrale (supponendo che lo sia) dura circa 50 minuti e mostra un classico talk-show paragonabile – nei suoi meccanismi di comunicazione – a uno dei tanti che infestano le TV di tutto il mondo. Una discussione portata avanti con uno stile di comunicazione che di politico aveva ben poco tra due personaggi del genere, e una presunta violenza del confronto che è stata, rispetto a quella che si è vista sul piccolo schermo italiano, davvero risibile. Molto più hanno detto, in alcuni momenti, le smorfie, i gesti e i movimenti del corpo dei protagonisti.

Una lettura diversa di quanto si è visto infatti potrebbe essere questa: “Trump ha detto a Zelens’kyj che, se vuol far finire la guerra, qualcosa deve cedere, sia agli USA che a Putin. Ma il Presidente ucraino ha mantenuto fermo il suo punto di vista.” Il che può essere considerato sia come un ricatto che come un consiglio pragmatico, o magari entrambe le cose. In pratica l’interpretazione dei contenuti in certi contesti e con certi protagonisti diventa davvero complicata. Specialmente se non si valuta nemmeno la battuta finale di Trump che segnalava a chi aveva seguito l’incontro che si era trattato di “un bel pezzo di televisione” (sic!).

La tragedia era che i protagonisti dello show avevano chiacchierato, comodamente seduti, di una guerra che va avanti da tre anni e che ha causato, secondo alcune fonti, quasi novecentomila morti e relative distruzioni.

Quanto scritto sopra non significa che lo spettacolo della politica cambia quando due attori scadenti usano il linguaggio che conoscono meglio, ma piuttosto che è più difficile comprenderne il reale contenuto. Il che è confermato dagli avvenimenti successivi: Trump che dichiara una cosa e il giorno dopo il contrario e Zelens’kyj che ha cambiato (forse) la ferma posizione che aveva tenuto a Washington.

Visto come vanno le cose dovremo abituarci non tanto a una massiccia invasione dei professionisti dello spettacolo nella politica attiva, ma piuttosto ai tentativi di quelli che hanno una formazione politica di imitare le abilità dei performer. Questa non è una novità assoluta. Si vedano ad esempio “le facce che fa” la Presidente del Consiglio italiana quando è a favore di telecamera, elemento che costituisce la sua personale forma di comunicazione diretta al grande pubblico.

Una volta, i confini che esistevano tra l’ambito e il linguaggio della comunicazione politica e quello dell’intrattenimento venivano superati solo occasionalmente, mentre oggi sembrano spariti del tutto, relegando le persone sempre più al ruolo di semplici spettatori che si limitano a trovare uno sfogo sui loro social preferiti piuttosto che con la protesta nel mondo reale.

Pepsy

Pubblicato sul n.7 di “Umanità Nova” (16/03/2025)

Peppe contro Beppe

Commedia in tre atti e un epilogo

Il “Movimento 5 Stelle” (M5S) sembra proprio essere giunto, alle fine di questo 2024, a un bivio, a un punto di non ritorno. Se fosse una commedia la si potrebbe dividere per comodità in tre atti.

Il primo inizierebbe portando in scena quei quei gruppi di persone che agli inizi degli anni 2000 si incontrarono in uno dei primi network sociali che usava una piattaforma chiamata “MeetUp”, creata negli USA nel 2002 e diffusa su tutta la Internet. Il servizio si strutturava a livello geografico permettendo agli utenti di creare gruppi di discussione locali centrati su un interesse comune di qualsiasi genere: dai giochi ai libri, dalla politica alla musica. Qualcosa che non rappresentava una novità e che aveva, in quegli anni, molteplici imitazioni alcune delle quali diventeranno molto più famose. Poco considerato, come al solito per distrazione o ignoranza, dai mezzi di comunicazione tradizionali questo social, farà da incubatore nel quale nasceranno esperienze come gli “Amici di Beppe Grillo” e le “Liste Civiche a 5 stelle” che diventeranno poi la struttura portante del “movimento”.

Facendo un passo indietro, in un vecchio articolo pubblicato su queste pagine si poteva leggere:
“il “popolo” di Grillo sembra essere composto da quegli strati sociali che negli ultimi 20 anni hanno dato vita a movimenti simili, come la cosiddetta “società civile”, “il popolo dei fax” o i “girotondini”. Gruppi trasversali ai partiti tradizionali, che per un po’ di tempo hanno anche avuto accesso alla ribalta mediatico, anche se le contraddizioni interne e la debolezza delle proposte li hanno poi portati ad una silenziosa estinzione. In questo caso il fenomeno potrebbe avere una durata ed un successo maggiore proprio grazie all’effetto supermercato: sul palco di Torino si sono alternati durante lo show un po’ tutti, dai Comitati “No Dal Molin” e “No TAV” agli operai impegnati contro le morti bianche, dai magistrati d’assalto, alle vittime della violenza di Stato, dagli assessori “virtuosi”, ai cantanti famosi. Tutti insieme a portare le loro proposte anche contraddittorie, ma che hanno dato al pubblico la possibilità di scegliere quella che più gli interessa. Salvo portarsi “a casa” anche le invettive contro l’indulto, contro l’invasione dei rom romeni, contro la “casta” o il paragone improponibile tra i partigiani che hanno combattuto contro i nazi-fascisti e i “nuovi partigiani” della democrazia telematica.” (vedi “Vaffaday 2. Al supermarket del grillo”, “Umanità Nova”, n.16 del 04/05/2008).

Il primo atto si chiuderebbe con la partecipazione (usando varie sigle) ad alcune elezioni a livello locale, con la fondazione nel 2012 dell’Associazione M5S, fondata nel 2012 e quindi con la decisione di presentarsi alle elezioni politiche del 2013.

Il secondo atto si aprirebbe con il risultato delle elezioni del 24/2/2013 nelle quali il M5S raccolse 9.923.600 voti alla Camera (il 29,28% dei voti), più del PD che ne prese 8.646.034 e di FI che ne prese 7.332.134.
Tra queste elezioni e quelle successive vennero formati tre esecutivi: il Governo presieduto da E. Letta (28/4/2013 – 22/2/2014) una “grande coalizione” con dentro tutti (salvo il M5S) seguito da quello di M. Renzi (22/2/2014 – 12/12/2016) una coalizione di centro-sinistra, e poi da quello di P. Gentiloni (12/12/2016 – 1/6/2018) a capo una coalizione fotocopia della precedente, tutti Governi rispetto ai quali il M5S restò sempre all’opposizione. Ma i colpi di scena erano in arrivo.
Nelle elezioni del 4 marzo 2018 i voti del M5S, sempre alla Camera, arrivarono a 10.732.066 (il 32,68% dei voti), ancora più del PD che ne prese 6.161.896 e dei 4.596.956 di FI.
Il M5S aveva stravinto le elezioni e, tra il 2018 e il 2021, vennero formati due Governi presieduti da G. Conte: il primo soprannominato “giallo verde” (1/6/2018 – 5/9/2019) che vedeva insieme il M5S e la “Lega per Salvini Premier” (LSP) e il secondo, detto “giallo-rosso” (5/9/2019 – 13/2/2021) nel quale al posto della LSP subentrò il PD.

Quello che sarebbe successo era fin troppo facilmente prevedibile anche molto prima:
“Paradossalmente, ma nemmeno tanto, un sistema per spiazzare il M5S sarebbe quello di chiedere direttamente a Beppe Grillo di formare il nuovo Governo. Un suo rifiuto mostrerebbe le contraddizioni esistenti nel “movimento” e una accettazione sarebbe un vero e proprio suicidio politico in quanto il M5S non avrebbe certamente la capacità e le forze per gestire la situazione, il che andrebbe a tutto vantaggio degli altri partiti.” (vedi “Il nemico marcia sempre alla tua testa”, “Umanità Nova”, n.12 del 31/03/2013).

In quelle due legislature il M5S operò delle scelte politiche che suscitarono forti critiche all’interno della stessa base del movimento, decisioni piene di contraddizioni, passi falsi, oscillanti tra una politica di “destra” e una di “sinistra”, il tutto venne aggravato – a partire dal 2020 – dalla crisi pandemica. In questo periodo si susseguirono le fuoriuscite di elett* al Parlamento, sia volontarie che a seguito di espulsioni formali, quest* approderanno a gruppi parlamentari diversi. La partecipazione al Governo di M. Draghi (13/02/2021 – 22/10/2022) e la scissione di “Insieme per il futuro” del 2022, sulla quale conviene lasciare il velo pietoso che la ricopre, aggravarono una situazione già fortemente compromessa.
Il progetto iniziale, quello di diventare una forza politica “altra” mostrò a tutti il suo fallimento e costituì sicuramente una delle cause più evidenti di quello che avverrà nelle successive elezioni. E qui si potrebbe chiudere il secondo atto di questa rappresentazione.

Il terzo atto si aprirebbe con le votazioni del 25 settembre del 2022 il M5S raccolse 4.335.494 (il 15,43% dei voti) perdendo più della metà dei voti ottenuti in precedenza. A questo punto diventò evidente anche ai più inesperti che il M5S aveva perso per strada non solo milioni di votanti e decine di parlamentari ma molte delle caratteristiche di “movimento” e degli obiettivi che lo avevano caratterizzato all’inizio e il dibattito interno si iniziò ad incagliare quasi esclusivamente su tematiche connesse alle regole di funzionamento.
Il confronto impietoso con il passato vedeva gli scaffali del “Mercatone 5 Stelle” desolatamente vuoti come quelli di un negozio ai tempi del socialismo reale e una drastica riduzione del numero dei frequentatori e dei voti.
In un certo senso però il M5S rappresentva ancora un nuovo tipo di partito ma non si era dimostrato alla prova dei fatti migliore di quelli esistenti o di quelli estinti, bastava vedere il comportamento dei suoi vari leader e il genere di discorsi pubblici che pronunciavano nei quali la percentuale di fuffa sul tutto era tendenzialmente molto alta.
Il terzo atto si chiuderebbe con i principali protagonisti che salgono alla ribalta di una commedia che somiglia sempre più a una farsa (con tutto il rispetto per il genere) che potrebbe avere come titolo “Peppe contro Beppe”, uno spettacolo che negli ultimi giorni ha saturato di commenti giornali, televisioni e web.

A questo punto mentre cala il sipario qualcun* potrebbe chiedersi: Come andrà a finire?
Basandosi sugli schemi classici si starebbero scontrando all’interno della classe politica del partito un’area “governativa” e una “movimentista” e, almeno in parte, ciò è vero. Difficile valutare la consistenza numerica delle due fazioni in causa e ancora più difficile valutare quant* tra coloro che negli scorsi anni hanno dato il loro voto al M5S saranno disposti a farlo anche in futuro. Probabilmente dal litigio in corso verranno fuori due raggruppamenti politici, entrambi in crisi, che avranno ancora due anni, a meno di impreviste catastrofi che colpiscano l’attuale Governo in carica, a disposizione per provare a rimettere insieme una qualche parvenza di progetto politico che riesca a dare agli attivisti e alle attiviste, alle elettrici e agli elettori un valido motivo per rinnovare le loro scelte passate.

Accanto a più o meno scontate riflessioni di carattere generale, la storia politica del M5S ha lasciato in eredità anche qualcosa sulla quale vale la pena di riflettere. Il movimento è nato e cresciuto, almeno nella sua prima fase, tramite un processo di auto-organizzazione dal basso che ha ampiamente utilizzato gli strumenti della comunicazione elettronica e Internet. Nonostante questo ha però subito, più o meno passivamente, il peso di un personaggio ingombrante come B. Grillo, esercitato fin dall’inizio attraverso il suo blog vale a dire di uno strumento funzionale a un controllo verticale dall’alto. I tentativi di creare una sorta di “democrazia digitale” con i gruppi su “meetup” sono sfociati in seguito in uno stretto legame con l’azienda di Casaleggio, soprattutto attraverso l’uso di una piattaforma digitale (Rosseau) sui cui meccanismi di funzionamento ci sarebbe molto da riflettere. In definitiva il primo “movimento politico digitale” del XXI Secolo ha coltivato l’ingenua idea che bastasse usare i computer e Internet per risolvere alcuni dei problemi che da sempre affliggono le attività dei movimenti che si muovono per il cambiamento sociale, cosa chiaramente non possibile. Così come non sarà mai possibile, attraverso una politica svolta all’interno di una istituzione parlamentare arrivare a un concreto cambiamento, anche partendo con le migliori intenzioni. Del resto bastava rifletterci fin da subito su quanto sia davvero difficile aprire una scatoletta di latta quando ci sei chiuso dentro.

Pepsy

[*] Dati ufficiali (esclusa Val d’Aosta e voti dall’Estero) ripresi dal sito web ufficiale https://elezionistorico.interno.gov.it

[Pubblicato su “Umanità Nova”, n.39 del 15 dicembre 2024]

Una risata non li seppellirà…

Con l’avvento del Governo attualmente in carica è continuata, nell’area dei movimenti ma non solo, una attitudine che si era già ampiamente diffusa a partire dall’epoca berlusconiana.

I quasi venti anni degli esecutivi guidati dal magnate ridens sono stati accompagnati da un incontenibile revival della satira politica e di costume dedicata quasi completamente ai continui exploit del Cavaliere, fonte inesauribile di spunti umoristici soprattutto per autori a corto di idee. Una intera generazione di comici e comiche hanno fatto la loro fortuna rincorrendo, sottolineando e giocando con le innumerevoli stupidaggini dette, coi comportamenti poco consoni, con le continue stravaganze diffuse e amplificate da tutti i mezzi di comunicazione di massa. Il pubblico, come quasi sempre accade con la satira a sfondo politico, ha riso della stupidità di chi era al potere sentendosi, spesso, parte di una minoranza numerosa ma più intelligente (e ci voleva davvero poco) e intanto i governi berlusconiani, tra una risata di scherno e l’altra, hanno portato avanti la loro agenda politica per quasi due decenni.

Oggi, dopo la parentesi dei governi multicolorati, abbiamo al comando un esecutivo schiettamente di destra e sembra sia ripartita la voglia di fare satira, cosa che è alquanto facile in quanto gli esponenti della maggioranza, a tutti i livelli, si prestano meravigliosamente a essere presi in giro. Vuoi per le loro notevoli lacune culturali, vuoi per i loro comportamenti, vuoi per le loro quotidiane esternazioni spesso ai limiti della decenza. Tutti i social e quindi di riflesso tutti i mass media sono pieni di dichiarazioni o situazioni ridicole e i commentatori, a tutti i livelli, hanno di che sbizzarrirsi a chiosare le affermazioni di tizio o di caia a propostito di tutto, le loro smentite e i loro pentimenti quando si rendono conto di averla fatta molto distante dal vaso. Del resto proprio per come sono fatti i social e la comunicazione digitale commentare un qualsiasi avvenimento di attualità, magari con un “meme” e/o condividerlo è diventato alla portata di tutti e nessuno (compreso chi scrive) di quelli e quelle che usano frequentemente certi servizi riesce mai del tutto a sottrarsi alla facile battuta, al gioco di parole, alla sferzante arguzia sarcastica.

In altri tempi la satira politica era appannaggio di poche pubblicazioni che hanno avuto sempre una vita grama in quanto facile bersaglio della censura dei potenti e spesso hanno circolato persino giornali che facevano una satira politica favorevole ai governi e il cui principale scopo era quello di attaccare i partiti dell’opposizione e i loro esponenti di spicco.

In tempi storici più recenti i movimenti hanno iniziato a utilizzare maggiormente l’armamentario della satira, principalmente attraverso la produzione di vignette e a partire dal 1977, tutta la saga degli “indiani metropolitani” e degli slogan stravolti sono abbastanza conosciute, come anche noto è il fenomeno costituito da un giornale come “Il Male”, che ebbe una vetta di popolarità mai più raggiunta negli anni successivi, nonostante gli innumerevoli tentativi.

In quei tempi, in mancanza dei “social-cosi”, quegli strumenti di comunicazione costituivano una boccata d’aria fresca in contrasto con gli intossicanti discorsi a base di “austerità” e “sacrifici” che la sinistra riformista e i sindacati chiedevano alla parte più povera della popolazione. In quegli anni una parte dei bersagli della satira erano anche gli esponenti e i partiti schierati a sinistra e persino, anche se in minima parte, persino gli stessi esponenti dei Movimenti. Quella attitudine “giocosa” entrò, anche se per un breve periodo, a far parte integrante degli strumenti di comunicazione di un movimento diffuso sui luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle piazze. Un movimento i cui resti oggi sarebbero difficili da individuare anche da parte degli archeologi più ottimisti.

Ma come è sempre accaduto la satira politica è riuscita appena a graffiare il potere costituito e anche l’enorme produzione comica dei professionisti nell’epoca dell’edonismo berlusconiano non ha avuto una grande efficacia nel contesto culturale e di costume. Oggi che la satira sembra essere diventata almeno su Internet una sorta di sport di massa, probabilmente non avrà effetti avvertibili sulla compagine governativa e sulle sue politiche. E questo a prescindere dalla quantità di materiali diffusi e/o della qualità più o meno alta del prodotto.

Quel vecchio slogan “sarà una risata che vi seppellirà” aveva anche una sua variante “sarà un risotto che vi seppellirà” che la dice lunga sia su quanto tempo sia passato da quegli tempi sia sui livelli che erano stati raggiunti per cui si ironizzava persino su uno slogan ironico.

Resta sempre il dubbio che sia possibile opporsi concretamente a certe scelte politiche ed economiche limitandosi a prendere in giro sulla Rete le ultime performance di un tizio o di una caia, piuttosto che organizzando delle lotte che provino a contrastarle nel concreto della vita reale.

In altre parole oggi sotto al “risotto” rischiamo di finirci noi piuttosto che quegli altri.

Pepsy

Pubblicato su “Umanità Nova” n.xx del xx/yy/2024