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Una risata non li seppellirà…

Con l’avvento del Governo attualmente in carica è continuata, nell’area dei movimenti ma non solo, una attitudine che si era già ampiamente diffusa a partire dall’epoca berlusconiana.

I quasi venti anni degli esecutivi guidati dal magnate ridens sono stati accompagnati da un incontenibile revival della satira politica e di costume dedicata quasi completamente ai continui exploit del Cavaliere, fonte inesauribile di spunti umoristici soprattutto per autori a corto di idee. Una intera generazione di comici e comiche hanno fatto la loro fortuna rincorrendo, sottolineando e giocando con le innumerevoli stupidaggini dette, coi comportamenti poco consoni, con le continue stravaganze diffuse e amplificate da tutti i mezzi di comunicazione di massa. Il pubblico, come quasi sempre accade con la satira a sfondo politico, ha riso della stupidità di chi era al potere sentendosi, spesso, parte di una minoranza numerosa ma più intelligente (e ci voleva davvero poco) e intanto i governi berlusconiani, tra una risata di scherno e l’altra, hanno portato avanti la loro agenda politica per quasi due decenni.

Oggi, dopo la parentesi dei governi multicolorati, abbiamo al comando un esecutivo schiettamente di destra e sembra sia ripartita la voglia di fare satira, cosa che è alquanto facile in quanto gli esponenti della maggioranza, a tutti i livelli, si prestano meravigliosamente a essere presi in giro. Vuoi per le loro notevoli lacune culturali, vuoi per i loro comportamenti, vuoi per le loro quotidiane esternazioni spesso ai limiti della decenza. Tutti i social e quindi di riflesso tutti i mass media sono pieni di dichiarazioni o situazioni ridicole e i commentatori, a tutti i livelli, hanno di che sbizzarrirsi a chiosare le affermazioni di tizio o di caia a propostito di tutto, le loro smentite e i loro pentimenti quando si rendono conto di averla fatta molto distante dal vaso. Del resto proprio per come sono fatti i social e la comunicazione digitale commentare un qualsiasi avvenimento di attualità, magari con un “meme” e/o condividerlo è diventato alla portata di tutti e nessuno (compreso chi scrive) di quelli e quelle che usano frequentemente certi servizi riesce mai del tutto a sottrarsi alla facile battuta, al gioco di parole, alla sferzante arguzia sarcastica.

In altri tempi la satira politica era appannaggio di poche pubblicazioni che hanno avuto sempre una vita grama in quanto facile bersaglio della censura dei potenti e spesso hanno circolato persino giornali che facevano una satira politica favorevole ai governi e il cui principale scopo era quello di attaccare i partiti dell’opposizione e i loro esponenti di spicco.

In tempi storici più recenti i movimenti hanno iniziato a utilizzare maggiormente l’armamentario della satira, principalmente attraverso la produzione di vignette e a partire dal 1977, tutta la saga degli “indiani metropolitani” e degli slogan stravolti sono abbastanza conosciute, come anche noto è il fenomeno costituito da un giornale come “Il Male”, che ebbe una vetta di popolarità mai più raggiunta negli anni successivi, nonostante gli innumerevoli tentativi.

In quei tempi, in mancanza dei “social-cosi”, quegli strumenti di comunicazione costituivano una boccata d’aria fresca in contrasto con gli intossicanti discorsi a base di “austerità” e “sacrifici” che la sinistra riformista e i sindacati chiedevano alla parte più povera della popolazione. In quegli anni una parte dei bersagli della satira erano anche gli esponenti e i partiti schierati a sinistra e persino, anche se in minima parte, persino gli stessi esponenti dei Movimenti. Quella attitudine “giocosa” entrò, anche se per un breve periodo, a far parte integrante degli strumenti di comunicazione di un movimento diffuso sui luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle piazze. Un movimento i cui resti oggi sarebbero difficili da individuare anche da parte degli archeologi più ottimisti.

Ma come è sempre accaduto la satira politica è riuscita appena a graffiare il potere costituito e anche l’enorme produzione comica dei professionisti nell’epoca dell’edonismo berlusconiano non ha avuto una grande efficacia nel contesto culturale e di costume. Oggi che la satira sembra essere diventata almeno su Internet una sorta di sport di massa, probabilmente non avrà effetti avvertibili sulla compagine governativa e sulle sue politiche. E questo a prescindere dalla quantità di materiali diffusi e/o della qualità più o meno alta del prodotto.

Quel vecchio slogan “sarà una risata che vi seppellirà” aveva anche una sua variante “sarà un risotto che vi seppellirà” che la dice lunga sia su quanto tempo sia passato da quegli tempi sia sui livelli che erano stati raggiunti per cui si ironizzava persino su uno slogan ironico.

Resta sempre il dubbio che sia possibile opporsi concretamente a certe scelte politiche ed economiche limitandosi a prendere in giro sulla Rete le ultime performance di un tizio o di una caia, piuttosto che organizzando delle lotte che provino a contrastarle nel concreto della vita reale.

In altre parole oggi sotto al “risotto” rischiamo di finirci noi piuttosto che quegli altri.

Pepsy

Pubblicato su “Umanità Nova” n.xx del xx/yy/2024

Pisa. Manganelli in primo piano

La piazza rubata

Pisa. Striscione alla testa del corteo del 2 marzo 2024.

Pisa. Striscione alla testa del corteo del 2 marzo 2024.

Otto giorni dopo le manganellate del 23 febbraio, un corteo di 6-7 mila persone ha percorso le strade di Pisa circondato dalle telecamere delle principali televisioni locali e italiane. Una manifestazione arrivata dopo una settimana nella quale si sono sprecate, nel vero senso del termine, un’enorme quantità di parole su quanto era accaduto pochi giorni prima in una stretta stradina nel centro. Era più che prevedibile che, soprattutto dopo l’intervento del Presidente della Repubblica, quell’episodio assumesse una importanza e un significato molto superiore alla sua reale consistenza.
Illustri costituzionalisti hanno spiegato che, stante le leggi vigenti, non c’è l’obbligo di chiedere l’autorizzazione per svolegere una manifestazione e quindi non ha senso etichettare un corteo come “manifestazione non autorizzata” (cosa che hanno continuato a fare in molti) mentre segretari di sindacati di polizia hanno espresso pareri non propriamente consonanti. Persino la neo eletta Presidentessa della Regione Sardegna ha citato fin dalle prime interviste quanto accaduto a Pisa, accodandosi alla lunga serie di esponenti politici – più o meno noti/importanti – che hanno ritenuto opportuno far conoscere a tutti la loro opinione. Impossibile elencare le trasmissioni televisive, su tutti i canali e di tutti i generi che hanno mostrato le immagini delle manganellate e commentato il fatto. Per non dire dei giornali di carta stampata (persino quelli specializzati nel “gossip”) e dei siti web.
Addirittura una associazione ha lamentato che i figli di alcuni agenti di polizia stavano subendo episodi di “bullismo” a Scuola da parte dei loro coetanei in quanto colpevoli di essere “figli di sbirri o di manganellatori”. Sembrava quasi un tentativo di pareggiare, in un certo senso, il conto rispetto ai genitori che si sono lamentati perché sono stati picchiati dei minori.
In altre parole la politica, quella che si pretende con la “p” maiuscola, si è appropriata dell’episodio di cronaca, cosa che accade spesso, più per motivi di interesse partitico che perché realmente preoccupata per la violenza delle manganellate piovute sulla testa degli studenti e delle studentesse.
Di conseguenza in qualche occasione è passato in secondo piano il fatto che gli adolescenti picchiati stessero protestando contro il massacro in atto da cinque mesi nella Striscia di Gaza.
Per questo la manifestazione di sabato 2 marzo a Pisa aveva due temi portanti: la protesta contro le cariche della polizia e la solidarietà ai palestinesi, come si poteva capire dalla varietà degli striscioni, delle bandiere sventolate e degli slogan. Il corteo è sostanzialmente riuscito anche se, dal nostro punto di vista, la risposta data a Pisa immediatamente dopo i fatti è stato un segnale molto più interessante e significativo. Perché, contrariamente a quello che la narrazione dei mezzi di comunicazione ufficiali ha provato a far credere nel corso della settimana le manganellate di Pisa non sono un fatto eccezionale ma costituiscono piuttosto la regola.
Come di solito accade, dopo qualche giorno di enorme esposizione mediatica, il fatto avendo esaurito la sua carica di interesse generale ritornerà confinato delle pagine della cronaca locale. I politici di professione non avranno più necessità di fare riferimento alla violenza della polizia e passeranno ad altro.
Questo lascerà fondamentalmente immutato il modo di operare delle forze dell’ordine che nel caso di Pisa sono state appena “bacchettate” dalle cosiddette opposizioni e “carezzate”, come da collaudato copione, dalle forze di destra.

Pisa. Striscione al corteo del 2 marzo 2024

Pisa. Striscione al corteo del 2 marzo 2024.

Qui sotto l’articolo, scritto a caldo la scorsa settimana e pubblicato sul n.8 di “Umanità Nova”

Alla fine si è scomodata persino la più alta carica dello Stato per commentare quello che è successo a Pisa venerdì 23 febbraio scorso. Protagonista un corteo di meno di un centinaio di studenti e studentesse delle scuole superiori intenzionati a esprimere la loro solidarietà alla causa palestinese. Dopo aver percorso poche centinaia di metri dal punto di partenza il gruppo è stato bloccato (in testa e in coda) da agenti di polizia in assetto antisommossa. Il tutto è avvenuto in una zona a traffico limitato, una di quelle percorse più da turisti che da residenti. Dopo un breve fronteggiamento è partita una prima carica, la polizia è avanzata di qualche metro e sono volate molte manganellate. Qualche persona è stata ferita e qualche altra si è ritrovata stesa al suolo e sovrastata da uno o più agenti in borghese. Il piccolo gruppo di adolescenti non si è disperso e a questo punto sono partite altre due piccole cariche, ancora condite con manganellate come se grandinasse.
Un episodio del genere poteva semplicemente essere destinato a riempire solo una pagina di cronaca cittadina ma bisogna considerare che quanto accaduto non aveva precedenti nella città di Pisa, nonostante le sue storiche tradizioni di lotte studentesche. Alcuni compagni in piazza da decenni ricordano che mai era stato attaccato un corteo composto esclusivamente da “studenti medi”, nemmeno negli anni ’70 quando i minorenni erano decisamente più minacciosi. E bisogna tener conto che in città si ricorda ancora la storia di Franco Serantini, il nostro compagno assassinato proprio a colpi di manganello da un gruppo di poliziotti.
Già pochi minuti dopo il fatto sono iniziati a circolare i filmati di quello che era accaduto, immagini nelle quali si vedeva senza ombra di fake che la violenza esercitata dagli agenti contro un gruppo di persone indifese era stata davvero fuori misura. La risposta non si è fatta attendere che poche ore.
Nel pomeriggio i luoghi di concentramento per protestare erano due: davanti alla Prefettura, dove si sono radunate almeno sei-settecento persone che hanno gridato più volte “vergogna” all’indirizzo dell’edifico sede dell’autorità. Una iniziativa alla quale hanno partecipato anche molti politici (di centro-sinistra) locali e dove spiccava persino il gonfalone di un comune limitrofo e la presenza di una delegazione della Cgil.
Contemporaneamente altri e altre hanno iniziato a concentrarsi davanti al palazzo comunale; in questo caso la partecipazione era prevalentemente giovanile e studentesca. La folla è cresciuta tanto da non poter essere più contenuta nella piazza e quindi è partito un corteo di quasi duemila persone che si è ulteriormente ingrossato durante il percorso e che si è fermato in Piazza dei Cavalieri, il luogo dove avevano intenzione di arrivare i ragazzi e le ragazze manganellati in mattinata.
Alla fine davanti al Palazzo della Carovana, c’erano più di tremila persone. È inutile segnalare che durante lo svolgimento di questi avvenimenti non si è visto un agente (in divisa) in strada, cosa abbastanza usuale quando il comportamento delle forze dell’ordine sorpassa il sopportabile.
In definitiva, per quasi tutto il pomeriggio, il centro della città è rimasto bloccato a causa a quello che avevano combinato al mattino un gruppo di agenti di polizia.
Intanto la notizia, insieme a quella delle manganellate distribuite a Firenze, era già arrivata ovunque. Per tutto il giorno si sono inseguite sui social cosi le dichiarazioni di tutte le autorità (non solo) locali, la maggior parte delle quali indignate – a diversi livello – per il comportamento dei manganellatori, persino il Sindaco leghista di Pisa ha dichiarato di essere “amareggiato” (sic!) per quanto accaduto. Immancabili gli interventi di una coppia di esponenti della tradizione umoristica pisana (onorevoli in palazzi romani ed europei) che hanno dimostrato ancora una volta di non essere in grado di separare la realtà concreta dalla loro miserrima fantasia. Nel fine settimana ci sono state in città ancora iniziative di protesta e altre sono state annunciate per i giorni successivi.
Questi, più o meno, i fatti ai quali aggiungiamo brevi considerazioni. Si può ritenere che le manganellate siano collegate direttamente alle numerose iniziative (più di mille dal 7 ottobre scorso) di solidarietà con la Palestina, ovvero che l’obiettivo sia stato quello di reprimere in modo violento proprio queste proteste. Mentre probabilmente si tratta solo dell’ennesimo segnale dello spirito dei tempi che viviamo e che ha visto, nell’ultimo anno, un continuo crescendo di piccoli episodi di intimidazione (le identificazioni) e di repressione violenta indirizzata contro coloro che dissentono dalla politica governativa, a prescindere dalle ragioni e dalle modalità con il quale viene espresso questo dissenso.
L’ampio riscontro mediatico, i fatti sono stati commentati da quasi tutti i leader politici italiani, avuto da un relativamente piccolo episodio è dovuto alle caratteristiche di funzionamento del sistema della comunicazione e agli interessi della politica. Ma, sicuramente, la forte e immediata risposta di migliaia di persone ha contribuito in modo determinante a portare all’attenzione generale un problema che hanno dovuto affrontare tutti i governi e particolarmente quello attuale, per il quale le questioni dell’ordine pubblico rappresentano un punto sensibile.

[Pubblicato su “Umanità Nova” n.08 del 03/03/2024]

Internet. Minori, censura e famiglia

L’Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni (AGCOM) è “un’autorità amministrativa indipendente italiana di regolazione e garanzia, con sede principale a Napoli e sede secondaria operativa a Roma. Istituita con la legge Maccanico (1997), alla quale è affidato il duplice compito di assicurare la corretta concorrenza degli operatori sul mercato e di tutelare il pluralismo e le libertà fondamentali dei cittadini nel settore delle telecomunicazioni, dell’editoria, dei mezzi di comunicazione di massa e delle poste…” (vedi la relativa voce su Wikipedia).
Tra i suoi maggiori successi si ricordano: il tentativo fallito di costringere Mediaset a spostare “Rete 4” sul satellite; l’emanazione di un Regolamento sul “diritto d’autore” immediatamente fatto oggetto di un ricorso alla Corte Costituzionale; il fallimentare controllo che, in periodo elettorale, tutti i contendenti abbiano un accesso paritario agli organi di informazione.
A parziale discolpa dell’AGCOM va considerato che il suo campo di attività spesso si sovrappone a quello di altri organismi, alle pasticciate normative italiane e al fatto che il settore delle telecomunicazioni è uno di quelli in continua trasformazione.

Con premesse di questo genere è lecito preoccuparsi quando si legge la Delibera approvata nel gennaio di quest’anno: “Adozione delle linee guida finalizzate all’attuazione dell’articolo 7-bis del Decreto-Legge 30 aprile 2020, n. 28 in materia di “Sistemi di protezione dei minori dai rischi del cyberspazio”” (Delibera n.9/23/Cons). Provvedimento che andrà in vigore dal prossimo 21 novembre e che riguarda soprattutto i telefonini che hanno una SIM intestata a un minore, sui quali dovrebbe essere attivato obbligatoriamente un sistema di controllo disattivabile solo dietro richiesta dei genitori.
Per prima cosa ricordiamo che le “linee guida” sono una sorta di galateo rinforzato, nel senso che forniscono, allo stesso tempo, sia indicazioni dettagliate che di carattere più generale e che prevedono sanzioni per chiunque le violi. Proviamo a riassumere i principali contenuti del documento facendo finta di non aver letto la parola “cyberspazio” inserita nel titolo.

La Delibera descrive come i fornitori di servizi Internet (ISP) debbano prevedere un sistema di controllo al fine di proteggere i minori dal contatto con contenuti ritenuti non adatti alla loro età, tale sistema dovrebbe essere gratuito, pre-attivato e gestito dai genitori. La prima cosa preoccupante è leggere la lista dalla quale pescare i contenuti che possono essere oggetto del controllo, si tratta di un elenco di 23 voci che, in pratica, contiene tutta Internet: dalla posta elettronica ai social network, dal gioco d’azzardo alla pornografia. Accanto a queste si trovano voci che definire “ridicole” è un complimento: Contenuti ritenuti inquietanti (sic!), Pubblicità, Contenuti su nudità non pornografica, lingerie, ecc…

Gli operatori del settore hanno ridotto (bontà loro) il campo del controllo parentale a soli otto elementi: Contenuti per adulti, Gioco d’azzardo/scommesse, Armi, Violenza, Odio e discriminazione, Promozione di pratiche che possono danneggiare la salute alla luce di consolidate conoscenze mediche, Anonymizer, Sette. Ognuno di questi contenuti meriterebbe un approfondimento a parte, ma in questa sede ci limiteremo solo ad alcune considerazioni di carattere più generale.

Da quando esiste Internet si è provato in vari modi a catalogare i contenuti a disposizione degli utenti; prima che inventassero i motori di ricerca esistevano una infinità di siti che pubblicavano lunghi elenchi di collegamenti (link) ad altri siti inseriti in un qualche tipo di classificazione, più o meno dettagliata, per aiutare i primi esploratori della Rete a scoprire risorse di loro interesse. Con l’avvento dei motori di ricerca questo genere di liste, che aveva comunque molte pecche, è praticamente sparito anche se sono ancora moltissimi i siti che contengono elenchi a tema, ad esempio un sito anarchico che pubblica una lista con i link ad altri siti anarchici.

L’elenco delle “categorie” sulle quali si dovrebbe esercitare il controllo parentale presenta tutti gli svantaggi che avevano le lunghe liste della Internet degli inizi e il numero dei siti tra i quali ricercare quelli pericolosi non è certo gestibile da uno o più genitori. Per questo il provvedimento solleva i genitori da questa missione impossibile delegando agli ISP il compito di decidere cosa i minori possono o non possono vedere. A loro volta i provider dovranno però necessariamente affidarsi al lavoro di terzi che dovrebbero catalogare il contenuto di tutti i siti esistenti in Rete al posto loro. Per cui il cosiddetto “controllo parentale” è in realtà una doppia delega in bianco che firmano i genitori a società più o meno sconosciute e più o meno capaci.
Di passaggio ricordiamo che, da molto tempo, le richieste di chi accede alla Rete tramite un ISP italiano sono sottoposte a un “filtro di Stato” che impedisce (più o meno) di accedere a una lunga lista di indirizzi web compilati su scelte trasparenti come una giornata di nebbia.

Prendiamo come esempio due delle categorie indicate come “dannose”.
La categoria “Anonymizer”, un termine in lingua inglese usato in modo poco appropriato, viene così descritta: “Siti che forniscono strumenti e modalità per rendere l’attività online irrintracciabile.” In altri termini i minori non dovrebbero accedere a siti che permettono di rendere anonima (per quanto possibile) la propria attività in Rete. Per cui un* minore che volesse denunciare una violenza, una minaccia, una prevaricazione senza correre il rischio di una ritorsione non potrebbe più farlo senza doversi esporre in prima persona, con tutti i rischi che questo comporta in determinati contesti. Decisamente un passo avanti nella protezione dei minori.
Passiamo a qualcosa di più ameno, vale a dire la descrizione della categoria “Sette”: “Siti che promuovono o che offrono metodi, mezzi di istruzione o altre risorse per influire su eventi reali attraverso l’uso di incantesimi, maledizioni, poteri magici o essere soprannaturali.” Confessiamo che ignoravamo che fosse possibile influire su eventi reali tramite pratiche esoteriche o con l’aiuto di esseri “soprannaturali”. Ci dispiace davvero per i minori che dovranno fare a meno, oltre che ai siti di genere “Fantasy” (pieni di magia) anche dei siti dedicati ai super-eroi che, notoriamente, hanno (al pari delle divinità religiose) poteri “soprannaturali”.

Questi sono solo due esempi di come sia molto difficile e complicato, a volte quasi impossibile, applicare le “linee guida” previste dal provvedimento, senza dimenticare che il termine “minore” comprende sia un* bambin* di 6 anni che un* adolescente di 17.

Il documento contiene anche una lunga serie di indicazioni tecniche (non sempre chiare) che mostrano, oltre alla difficoltà di mettere in atto controlli che non sfocino in una censura generalizzata, la distanza che passa tra i desideri propagandistici dei politici e le possibili soluzioni tecniche a disposizione di chi dovrebbe applicare concretamente la “protezione dei minori dai pericoli del web”. Un tema che da anni è un cavallo di battaglia demagogico che mette insieme appassionatamente destra e sinistra.
Inutile dire che sistemi a pagamento, simili a quelli previsti dalla Delibera, per controllare l’attività dei minori su Internet esistono, in tutto il mondo, da più di 20 anni, anche prima che venissero fuori inutili e sconclusionati provvedimenti. Quello che non sappiamo è quanto siano realmente utilizzati e se funzionino. Siamo invece abbastanza sicuri che molti dei genitori ansiosi di monitorare l’attività on-line dei propri figli* dovranno ricorrere a qualche aiutino almeno due volte: la prima per imparare a far funzionare i controlli e la seconda per capire come hanno fatto a superarli.

[Pubblicato su “Umanità Nova”, anno 103, numero 34 ­ del 19/11/23]