Green pass e controllo di massa

Uno dei tanti argomenti che in questi mesi poco felici viene ripreso nella comunicazione prodotta della composita galassia che si oppone alle misure prese dal Governo, in special modo da quella maggiormente appassionata di tesi complottiste, riguarda l’esistenza di un piano occulto di controllo della popolazione a livello globale che si servirebbe per raggiungere i suoi fini anche del “Green Pass” [1].
Come spesso accade quando si affrontano le teorie del complotto è possibile trovare all’interno della loro narrazione sia elementi sostanzialmente verificabili e reali, sia vere e proprie mitologie, sia una quasi inestricabile mescolanza tra i primi e le seconde. Quello che invece viene meno spesso sottolineato dai critici di questo genere di convinzioni è quanto concorrono ad alimentare questo tipo di credenze la confusione e la contraddittorietà che caratterizzano, oggi più che in passato, le decisioni prese dai legislatori.
Prendiamo, ad esempio, l’uso del “Green Pass” sui luoghi di lavoro.
Alla sua introduzione era stata vietata ai datori di lavoro la conservazione della certificazione che veniva richiesta ai lavoratori, prevedendo quindi un controllo quotidiano, con tutte le complicazioni che questo genere di obbligo comporta, sia per i lavoratori che per l’organizzazione del lavoro. In alcuni settori si sono usati altri sistemi: all’inizio dell’anno scolastico in corso, è stata messa in funzione dal Ministero dell’Istruzione una piattaforma on-line per automatizzare di questo genere di verifica. Il programma adottato permette di avere (in tempo reale) l’elenco del personale di una scuola e di verificare l’esistenza e la validità di un certificato o la segnalazione della sua mancanza. Anche in questo caso non è prevista la possibilità di conservare alcun tipo di dato in quanto il software prevede solo la generazione di liste nominative e la segnalazione dello status di ogni singola persona. La decisione di non permettere la conservazione di questo genere di informazioni deriva anche dal fatto che la stessa è vietata da un Regolamento vigente a livello europeo [2]. Come è evidente un sistema del genere non verifica la presenza o meno al lavoro di un dipendente ma esclusivamente il suo status.
La Legge 19 novembre 2021, n.165 [3] ha ribaltato completamente le regole precedenti disponendo che “Al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche […] i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro”. Questo provvedimento però non ha abrogato ma si è andato ad aggiungere alle norme precedenti causando, al posto della “semplificazione”, una ulteriore complicazione in quanto i lavoratori non sono obbligati a consegnare la propria certificazione e i datori di lavoro non possono pretenderla. Per cui oggi sussistono entrambe le possibilità.
L’esempio della confusione e della contraddittorietà appena fatto è uno dei “carburanti” che alimentano la macchina pseudo-informativa tanto diffusa oggi, soprattutto on-line.
L’uso di un qualche genere di documento relativo alla vaccinazione è comunque qualcosa che non preoccupa solo chi vi si oppone, in quanto lo scorso mese di agosto l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha pubblicato un documento [4] nel quale ha indicato le linee guida che andrebbero seguite per mantenere al sicuro i dati personali contenuti nei “passaporti vaccinali”, soprattutto nei confronti di terze parti, come per esempio datori di lavoro, farmacie, ecc… e la necessità di evitare che l’introduzione di questi documenti causi svantaggi e ingiustizie.
Questo per sottolineare quanto sia importante valutare attentamente che tipo di informazioni e a chi vengano messe a disposizione e quanto queste siano al sicuro da usi che possono discriminare o danneggiare una persona. A questo proposito è stata segnalata già da tempo l’esistenza in Cina di una App usata dalle autorità per raccogliere e archiviare le informazioni relative allo stato di salute delle persone e alla loro localizzazione, il cui uso si presta anche a controlli che nulla hanno a che vedere con la pandemia e a Singapore i dati usati per il tracciamento relativo al contagio da virus sono stati adoperati dalla polizia a scopi investigativi [5].
D’altra parte non si può certo nascondere il fatto che uno strumento come il “Green Pass” è in grado di fornire a chi ne abbia le chiavi un sistema di controllo capillare della popolazione, specialmente quando viene usato non solo per certificare dati di tipo sanitario ma anche per consentire l’accesso in determinati luoghi, rendendo possibile creare una sorta di mappa che indichi “dove” sono le persone (al lavoro, al ristorante, su un mezzo di trasporto, a uno spettacolo) anche senza che vengano usati i dati già forniti dai telefoni cellulari che potrebbero essere non disponibili, in quanto basta anche un foglio di carta sul quale è stampato il “QRCode”.
Il controllo sempre più capillare della popolazione non è certo iniziato con la diffusione del virus e la maggior parte delle misure prese in questi mesi ha, almeno in parte, accelerato questo processo rendendo molto più complicato opporsi a tecnologie che possono avere un impatto positivo rispetto all’arginamento del contagio ma che comportano sicuramente degli effetti collaterali non desiderabili dal lato del controllo sociale. Va anche sottolineato che, spesso, sopravvalutare l’aspetto tecnologico di questioni del genere mette in secondo piano che poi, in realtà, vengono sempre rafforzati i sistemi tradizionali, come per esempio dovrebbe avvenire a partire dai primi del mese di dicembre quando sarebbero necessarie migliaia di unità delle forze dell’ordine (qualcuno ha già proposto l’uso dell’esercito) per controllare che vengano realmente applicate le nuove norme sul cosiddetto “Super Green Pass”.
La necessità di uscire dalla situazione attuale e quella di evitare un aumento del controllo sociale è una delle tante contraddizioni che ci troviamo davanti in questo momento storico, come dimostrano le divisioni – anche profonde – che tutta la questione relativa alle iniziative “no Green Pass” hanno provocato tra coloro che dovrebbero essere dalla stessa parte della barricata.

Pepsy

Riferimenti

[1] Il “Green Pass” è una certificazione introdotta dal Decreto Legge 22 aprile 2021, n.52, il cosiddetto “Decreto Riaperture”.

[2] Si tratta del cosiddetto “GDPR” (General Data Protection Regulation), Regolamento UE 2016/679.

[3] La legge ha convertito, con modificazioni, il Decreto-legge n.127/2021.

[4] Vedi https://apps.who.int/iris/handle/10665/343361

[5] Vedi https://privacyinternational.org/examples/3417/china-alipay-health-code-app-controls-movement-china e https://www.reuters.com/article/us-singapore-tech-lawmaking/singapore-to-limit-police-access-to-covid-19-contact-tracing-data-idUSKBN2A20ZI