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Rassegnarsi alla stampa?

Ore 02:36 (GMT) interno notte, solstizio d’inverno, 10,6 gradi all’esterno, praticamente se non fosse notte e se non piovesse si potrebbe uscire in camicia. Anche no. Meglio tenersi informati, comodamente seduti, su quello che succede intorno sfruttando la potenza della Rete.

Si dice che il governo bicolore abbia ri-messo mano alle norme sulle intercettazioni, tema spinoso e secolare incalzato sempre di più negli ultimi anni dalla tecnologia. Sembra che abbiano affrontato anche la rogna dei cosiddetti “trojan”, una parolina breve perché scrivere “programmi installati a tua insaputa sul tuo cellulare allo scopo di spiarti” è troppo lungo. Vediamo di capire cosa hanno combinato, visto che il testo ufficiale del Decreto non è ancora disponibile.

Passiamo velocemente in rassegna, in ordine casuale, i siti web di alcuni noti quotidiani:

Il Trojan
il Trojan, il software spia inserito a distanza nei cellulari, potrà essere usato per i delitti puniti oltre cinque anni e solo commessi dai pubblici ufficiali. Resta invariata la possibilità di utilizzarlo con le stesse regole che oggi valgono per le intercettazioni ambientali.”

Prima viene scritto che “il trojan” potrà essere usato per un certo tipo di delitti e solo se commessi da una particolare categoria di persone e poi che comunque potrà essere usato per tutto il resto seguendo le regole di una qualsiasi intercettazione ambientale.

“Il decreto disciplina inoltre in modo rigoroso l’uso del captatore elettronico, il cosiddetto Trojan: «la riforma Orlando – spiega ancora Giorgis – ha equiparato la disciplina dell’uso del trojan in luoghi pubblici a quella delle intercettazioni ambientali».”

“captatore elettronico” è decisamente una espressione molto più descrittiva rispetto al termine “trojan” che ha pure un suono decisamente volgare. Su questo articolo c’è un piccolo elemento in più, il governo avrebbe disciplinato “in modo rigoroso” l’uso dei programmi per spiare, anche se non viene detto in cosa consista questa disciplina rigorosa. Attendiamo ansiosi di leggere il Decreto. A saperlo prima non perdevamo tempo con la stampa.

“Con un decreto a parte il consiglio dei ministri ha rinviato a marzo l’entrata in vigore delle nuove regole sulle intercettazioni, cambiando però diverse cose. La più importante riguarda l’utilizzo del trojan, il virus spia che potrà essere utilizzato nei luoghi di privata dimora per indagini sulla corruzione ma solo per reati commessi dai pubblici ufficiali. Il privato cittadino, quindi, non potrà essere intercettato con questo strumento.”

 

Finalmente una serie di buone notizie. Le nuove regole entraranno in vigore a marzo. Il malefico software potrà essere usato solo contro i cattivi e solo contro i cattivi dipendenti pubblici e solo a casa loro. Tutti gli altri non potranno essere spiati con questo strumento. Evviva! Basterà evitare le dimore private dei dipendenti pubblci. Mi sembra una cosa piuttosto facile.

I trojan – Sui trojan invece è stato raggiunto un compromesso: l’applicazione dei captatori informatici è stata slegata dalla normativa sulle intercettazioni ambientali ampliandone di fatto la possibilità di uso. La riforma Orlando invece li considerava microspie ambientali. Con il decreto legge approvato oggi, dunque, il trojan si potrà usare per perseguire i reati associativi, quelli con finalità di terrorismo e quelli dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione con una .” [Il testo dell’articolo finisce improvvisamente e non sapremo mai cosa c’era scritto dopo.]

Abbiamo imparato un nuovo termine “captatori informatici”, il che ci confonde un po’ le idee: ma non si chiamavano “captatori elettronici”? Qui però – al contrario di quanto letto prima – scrivono che l’uso di questo strumento per spiare la popolazione diventa “di fatto” più ampio. Poi sembra che oltre ai cattivi dipendenti pubblici verranno spiati anche i cattivi terroristi e i cattivi (generici) che si associano insieme.

Ore 03:00 (GMT) interno notte, solstizio d’inverno, 10,9 gradi all’esterno. Tutte le volte che leggiamo la stampa ufficiale dopo ci chiediamo sempre perché lo facciamo. Ripensandoci forse era meglio uscire a farsi un giro anche se piove, lasciando (naturalmente) il cellulare a casa.

Venerdì, pesce

venerdì pescsNon ne sentivamo la mancanza ma era un po’ di tempo che non compariva sulla scena politica italiana un nuovo “popolo” a dimostrare che, come ci hanno insegnato a scuola, la storia ha la pessima abitudine di ripetersi.

Senza voler fare una ricerca scientica e andando solo a memoria (con un piccolo aiuto dagli archivi digitali) potremmo far risalire l’inizio della storia all’epoca di “tangentopoli”, quando sulle macerie lasciate dal crollo dei partiti istituzionali, tutti più o meno coinvolti in storie poco edificanti, fece la sua comparsa la “società civile”.

Con la immediata collaborazione dei rudimentali mezzi di comunicazione di massa esistenti in quegli anni gruppi di persone iniziarono a scendere in piazza chiedendo a gran voce la moralizzazione della politica, scelsero i loro santi protettori e protestarono in tutta la penisola, senza bandiere di partito. Una parte di questi finirono poi in un partito personale che ebbe anche un discreto successo elettorale per poi estinguersi, in modo non particolarmente brillante, dopo qualche anno.

A partire da questa “società civile” e nel corso degli ultimi 20-25 anni sono germogliati altri più o meno effimeri fenomeni sociali di piazza ai quali sono state affibbiate delle etichette (oggi #hashtag) che forse ricordano in pochi.

Chi si ricorda “il popolo dei fax” nato quando ormai quello strumento stava per estinguersi? Non lo ricordate? Magari allora ricordate i “girotodini”, un nome davvero ben trovato, anche se è difficile dire che fine abbiano fatto. Sicuramente non ricorderete “il popolo degli SMS” perché probabilmente sarà durato due settimane. E che dire del “popolo viola”? Mai sentito? Abbiamo sempre sospettato che l’idea sia venuta a qualcuno che aveva letto (capendoci poco) “Ammazza un bastardo!”.

Ne abbiamo dimenticato sicuramente qualcuno, forse, tipo il “BoBi”, ma qui non siamo sulla Wikipedia. Erano comunque tutti movimenti formati da gruppi di persone con un orientamento politico trasversale ai partiti tradizionali, tutti alla ricerca di qualcosa di diverso-ma-uguale-ma-diverso.

Poi sono arrivati loro, a volte (soprattutto agli inizi) chiamati anche “popolo di Grillo” e dopo “grillini” che, almeno in parte, hanno raccolto e messo a frutto l’eredità della ormai mitica “società civile” iniziale. Grazie al loro programma politico tipo supermercato sono gli unici ad aver avuto davvero un grande successo. Almeno fino a ieri.

Oggi le “sardine” continuano questa ormai vecchia tradizione, comparendo in un panorama sociale preoccupante e alla vigilia di una serie di scadenze elettorali ravvicinate che potrebbero segnare un ulteriore spostamento a destra dell’asse politico. Cosa ne sarà di loro non lo sappiamo ma intanto teniamo aggiornato il nostro elenco.

Indymedia. Celebrazione minima non autorizzata

1. Seattle

Qualcuno potrebbe credere che la grande fortuna di Indymedia ((i)) sia stata quella di essere nata al posto giusto e nel momento giusto: nel 1999 a Seattle (USA) durante le proteste contro una riunione del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), due giorni di manifestazioni e scontri che portarono il Sindaco della città all’applicazione della legge marziale e che si conclusero con più di 600 arresti.

indymedia logoMa il termine “fortuna” è sicuramente sbagliato in quanto sia ((i)) che il cosidetto movimento “no-global” non sono spuntati all’improvviso dal nulla, poiché già da diversi anni piccole e grandi manifestazioni venivano organizzate localmente in occasione di incontri politici internazionali. E, fin da prima del 1995, la Rete Internet è stata usata, soprattutto attraverso le BBS, la posta elettronica e le mailing list per discutere, diffondere informazioni, coordinare e organizzare iniziative. Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso il web era già abbastanza diffuso e il terreno quindi più che fertile per far nascere il progetto di un mezzo di comunicazione indipendente. Il successo di ((i)) è quindi più che annunciato, anche se i mass media ufficiali ci metteranno qualche anno a rendersene conto.

Subito dopo la “battaglia di Seattle”, si poteva leggere su uno dei maggiori quotidiani italiani che i manifestanti “Evidentemente hanno usato Internet per organizzarla, ovvero si sono serviti della globalizzazione che dicono di voler combattere.” [1], senza alcun cenno a ((i)). Significativamente, sempre sullo stesso argomento, un anno dopo, veniva pubblicato un articolo dove sebbene si parli diffusamente di Internet e dei no-global non si cita mai ((i)) [2]. Più che frutto di una cosciente volontà censoria questo genere di omissioni sono il risultato di un misto di provincialismo, di un certo modo di (non) fare informazione e di ignoranza dei movimenti e dei loro rapporti con le nuove tecnologie della comunicazione.

2. La nascita del network

Il sito seattle.indymedia.org va on-line il 24 novembre del 1999 e l’idea viene fatta risalire alle discussioni che si erano tenute nel giugno dello stesso anno in occasione del “Carnevale anticapitalista” che vide manifestazioni in decine di città e in diversi paesi. Ma già nel 1996, in occasione della Convention Democratica a Chicago, un gruppo chiamato “Countermedia” aveva deciso di raccontare le proteste e le dimostrazioni attraverso il Web [3]. Il sito nasce come strumento informativo di un neonato “Independent Media Center” per documentare le proteste contro il “Millennium Round” a Seattle, ma la sua attività non si esaurisce alla fine delle due giornate, anzi iniziano a comparire altri siti con lo stesso logo, uno dei primi già nel febbraio del 2000 a Boston. Prima negli USA e poi in diversi paesi ((i)) si trasforma velocemente in una rete che copre buona parte del mondo “occidentale”.

Il software usato per il sito era stato sviluppato in Australia dal collettivo “Catalyst” e usato per la prima volta durante il “Global Day of Action” (18/06/1999) e permetteva a chiunque fosse in possesso degli strumenti adatti di pubblicare liberamente testi, immagini, audio e filmati. Una cosa in quegli anni assolutamente rivoluzionaria [4]. Le notizie su quello che stava accadendo a Seattle raggiungono immediatamente tutto il mondo aggirando il filtro delle agenzie ufficiali anche grazie a ((i)) che si propone come un sito di informazione indipendente fatto e gestito direttamente da chi partecipa ai movimenti. Un sito che ha un immediato successo: già durante i giorni di Seattle il sito colleziona più di un milione e di visitatori, un numero impressionante ancora oggi.

Il primo testo pubblicato sul sito chiarisce fin dall’inizio qual’è la posta in gioco:

La resistenza è globale… La rete altera drasticamente l’equilibrio tra media multinazionali e attivisti. Con solo qualche riga di codice e alcune attrezzature economiche, possiamo creare un sito web automatizzato e in tempo reale che compete con le aziende. Preparati a essere sommerso dall’ondata di produttori di media attivisti sul campo a Seattle e in tutto il mondo, che raccontano la vera storia dietro l’accordo commerciale mondiale.” [5]

In realtà ((i)) è molto più che un modo per diffondere informazione indipendente in quanto diventa – fin dall’inizio – anche un prezioso strumento per organizzare le proteste a livello globale. Già alla fine del 2000 i nodi sono 30, nel 2001 se ne contano almeno una settantina, compreso quello italiano, italy.indymedia.org [6], anche se la diffusione dei siti è prevalentemente statunitense e restano ancora fuori, soprattutto per ragioni legate alla lingua e alla diffusione degli strumenti informatici tutte le regioni dell’Est europa e buona parte di quelle africane e asiatiche. Negli anni successivi il numero dei nodi continua a salire, sono più di 80 nel 2002 e 122 nel 2003. Tra il 2005 e il 2006, quelli che probabilmente si possono considerare gli anni di picco nella diffusione del network, i nodi locali di ((i)) arrivano a più di 170 e il loro numero segue, anche se in modo meno veloce, a crescere. La distribuzione continua a essere centrata sulle regioni del cosiddetto “primo mondo” ma fanno la loro comparsa anche nuovi siti in Asia e Africa.

3. Informazione indypendente via web

La struttura portante delle pagine web di ((i)), differenze grafiche a parte, è quasi sempre la stessa, una Home divisa in tre colonne con al centro quella delle “feature”, vale a dire i testi preparati dal gruppo che gestisce il sito, e sulla destra il “newswire”, ovvero l’elenco, aggiornato in tempo reale di tutti i contributi pubblicati dagli utenti, nella colonna di sinistra c’è la lunga lista che elenca gli altri nodi della rete.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, le relazioni messe in piedi fin dai primi anni di funzionamento sono tutto meno che il trionfo dello spontaneismo: le procedure per aprire un nodo di ((i)), chiamate “process”, sono alquanto dettagliate e stringenti ma tutte le discussioni vengono fatte su liste quasi sempre pubbliche anche se spesso risulta difficile, per chi è esterno a determinate dinamiche e non conosce bene l’inglese, riuscire a seguire quello che sta succedendo. Sono due le caratteristiche che contraddistinguono il funzionamento di ((i)) quelli che si potrebbero definire i suoi principi fondanti: la libertà di comunicazione e l’auto-organizzazione e nel 2001 in una riunione tenuta a San Francisco discutendo del futuro del progetto vennero messi nero su bianco i “principi di unità” [7] che avrebbero dovuto essere alla base della creazione e del funzionamento dei nodi futuri.

Anche se oggi può sembrare strano, agli inizi di questo secolo praticamente non esistevano su Internet piattaforme attraverso le quali era possibile pubblicare automaticamente testi e immagini e quindi la “pubblicazione aperta”, vale a dire libera da censura e senza moderazione preventiva è stata davvero una rivoluzione epocale nel campo della comunicazione [8]. Per gestire il network veniva usato il “metodo del consenso” [9] un sistema di discussione e decisione che non prevede votazioni finali e quindi la creazione di maggioranze e minoranze. Un sistema che resterà a lungo nella storia dei movimenti, non solo negli USA, e che sarà (in parte) ripreso alcuni anni dopo da “Occupy Wall Street”. Ma anche a livello tecnico ((i)) è stato un esperienza importante, dando un impulso al movimento a favore del software libero contro i colossi del copyright e promuovendo l’uso di strumenti, come per esempio il “Wiki”, che poi si sono diffusi a macchia d’olio in molti altri contesti.

La composizione dei gruppi di gestione dei diversi nodi cambiava da situazione a situazione: alcuni di essi erano formati da un pugno di persone, altri da collettivi molto numerosi, qualcuno aveva dietro associazioni o cooperative; in alcuni la composizione politica dei partecipanti era omogenea in altri un po’ meno o quasi per nulla. I siti a volte restavano on-line solo per qualche mese, oppure si scindevano in versioni locali, a volte chiudevano e riaprivano gestiti da altre persone. Diversissima anche la qualità di quanto veniva pubblicato. Le poche cose che sempre li accomunavano, oltre al logo, erano i “principi fondanti” ricordati sopra.

4. La repressione

Naturalmente, dopo un primo momento di disattenzione, le strutture dei governi hanno iniziato a interessarsi maggiormente di questa “strana cosa” difficilmente definibile e inquadrabile secondo gli schemi delle teorie della comunicazione di massa ai tempi di Internet.

Impossibile conoscere o elencare tutti i casi ma ricordiamo che la repressione ha colpito ((i)) sia a livello di strutture tecniche che più concretamente con azioni dirette contro chi faceva informazione indipendente.

linksunten logoAgosto 2000, il Dipartimento di Polizia di Los Angeles interrompe la connessione di ((i)) che stava coprendo la Convenzione Democratica a causa di una sospetta auto-bomba.

Aprile 2001, il FBI chiede al nodo di Seattle il log con gli IP degli accessi al sito.

Luglio 2001, durante le giornate contro il G8, a Genova la polizia assalta il “mediacenter” dove erano collocate le strumentazioni di ((i)), distruggendo materiali, picchiando e arrestando persone. Successivamente verranno perquisite alcune “sedi” (sic!) di italy.indymedia.org

Ottobre 2004, il FBI sequestra alcuni hard-disk, collocati in Gran Bretagna, che ospitano i siti di una ventina di nodi europei di ((i)), compreso quello italiano.

Giugno 2005, viene sequestrato il server di Bristol (UK) e arrestato uno dei gestori.

Ottobre 2006, Brad Will, giornalista e volontario di ((i)) viene ucciso in Messico, probabilmente da un paramilitare, mentre stava documentando le proteste in corso a Oaxaca.

Gennaio 2009, uno degli amministratori dei server di indymedia.us riceve una ingiunzione dalla Corte Federale dello Stato dell’Indiana (USA) con la richiesta di fornire informazioni. Viene sequestrato un server di indymedia a Manchester (UK).

Aprile 2013, il Governo greco blocca l’accesso al sito athens.indymedia.org

Agosto 2014, viene nuovamente sequestrato il server di Bristol (UK).

Giugno 2017, il Ministero degli Interni tedesco vieta il nodo linksunten.indymedia.org e la polizia opera perquisizioni nelle case di alcuni dei gestori del sito.

5. Venti anni dopo

Dopo venti anni molti sono convinti che ((i)) sia finita anche perché sono altre le piattaforme che nel frattempo hanno assunto maggiore importanza nella comunicazione elettronica, anche di quella usata dagli attivisti politici. A una veloce ricerca senza alcuna pretesa di completezza, oggi ci sono ancora siti [10] che riportano il logo di ((i)), che hanno più o meno lo stesso aspetto grafico e che sembra continuino a funzionare nello stesso modo di sempre. Quella che invece è probabilmente sparita è la rete di collegamento che stava dietro a questo progetto e i siti sopravvissuti sono solo una pallida ombra di quello che è stato il network.

Alcuni sono convinti che la fine di ((i)) sia stata causata dall’avvento del cosiddetto “web 2.0”, altri che sia un effetto della sparizione del movimento che nel 1999 aveva fornito le energie vitali per farlo decollare. Probabilmente la risposta non è univoca e forse non ha nemmeno molto senso affannarsi a cercarla. Resta, incontrovertibile, il fatto che il progetto è stato sicuramente il più importante tra quelli portati avanti dai movimenti per dotarsi di propri strumenti di comunicazione di massa e contrastare a livello globale l’egemonia del sistema mediatico del Potere.

don't hate the media be the mediaPer raccontare davvero cosa è stata ((i)) ci vorrebbe molto più che uno scritto occasionale e quindi questo è un semplice pretesto per rendere omaggio a un progetto, frutto di una intelligenza collettiva, che ha sperimentato un tipo di comunicazione autogestita e orizzontale, che ha provato a ribaltare – riuscendoci – il paradigma dell’informazione ufficiale, che ha dato voce a chi non l’aveva mai avuta in precedenza, che continua a r-esistere, anche se in altre forme, all’interno di un panorama mediatico diverso da quello del 1999 ma sempre dominato della comunicazione ufficiale [11].

Inutile nascondere che questo progetto ha avuto le sue contraddizioni, i suoi problemi, i suoi brutti momenti e le sue mancanze ma crediamo che, anche mettendoli tutti insieme, gli aspetti negativi non riusciranno mai a bilanciare quanto di importante e positivo è stato fatto in quegli anni.

Il ventennale dovrebbe essere non tanto una occasione per ricordare nostalgicamente i bei tempi andati ma una buona occasione per rilanciare e continuare la lotta per costruirci i nostri mezzi di comunicazione autogestiti e indipendenti.

Pepsy

 

Riferimenti

[1] “Il progresso non si ferma ma dobbiamo governarlo”, la Repubblica, 3/12/1999.

[2] “Seattle, la protesta globale”, la Repubblica, 3/12/2000.

[3] Le pagine sono ancora presenti sul web, come memoria storica, qui http://www.cpsr.cs.uchicago.edu/countermedia/

[4] I CMS più famosi non esistevano ancora: Drupal (2000), WordPress (2003), Joomla (2005).

[5] Era firmato “Maffew & Manse” ed era qui http://seattle.indymedia.org/en/1999/11/2.shtml

[6] Il quale magari si potrebbe celebrare l’anno prossimo, quando saranno passati 20 anni.

[7] Di seguito i “principi di unità” che, comunque, sollevarono anche infinite discussioni:

1. L’Independent Media Center Network (IMCN) è basato su principi di eguaglianza, decentralizzazione e autonomie locali. L’IMCN non deriva da un processo di centralizzazione burocratica, ma dall’auto organizzazione di collettivi autonomi che riconoscono l’importanza dello sviluppo dell’unione del network.

2. Tutti gli IMC considerano il libero scambio e il libero accesso all’informazione un requisito essenziale per costruire una società più libera e più giusta.

3. Tutti gli IMC rispettano il diritto di tutti quegli attivisti che decidono di non essere né fotografati né filmati.

4. Tutti gli IMC basati sulla credibilità dei propri contribuenti e lettori, dovranno utilizzare il modello di pubblicazione web aperta, dando la possibilità a singoli individui, gruppi e organizzazioni di esprimere le loro opinioni, con l’anonimato se desiderato dagli/lle stessi/e.

5. L’IMC Network e tutti i collettivi degli IMC locali dovranno essere no-profit.

6. Tutti gli IMC riconoscono l’importanza del processo di cambiamento sociale e sono impegnati nello sviluppo di relazioni non gerarchiche e non autoritarie. A questo proposito si organizzino collettivamente e si impegnino a utilizzare il metodo decisionale del consenso, attraverso la partecipazione democratica e trasparente di tutti i suoi membri.

7. Tutti gli IMC riconoscono che un requisito essenziale per la partecipazione al processo decisionale di ogni gruppo locale è il contributo dell’individuo al lavoro del gruppo stesso.

8. Tutti gli IMC sono impegnati ad assistersi l’un l’altro e le rispettive comunità dovranno cercare di mettere in comune le proprie risorse, inclusi la conoscenza, le capacità e gli equipaggiamenti.

9. Tutti gli IMC devono impegnarsi ad usare sorgenti di codici accessibili a tutti, quanto più possibile, per lo sviluppo delle infrastrutture digitali, e per incrementare l’indipendenza del network da software privati.

10. Tutti gli IMC devono sottostare al principio dell’uguaglianza fra gli uomini, e non dovranno perpetrare discriminazioni di alcun genere, includendo le discriminazioni basate su differenze di razza, sesso, età, classe di appartenenza o orientamenti sessuali. Riconoscendo la vastità di tradizioni culturali all’interno del network, gli IMC si impegnano a convivere con la diversità.

[8] Si tenga presente che nel 2000 non esisteva ancora Google, YouTube e tutto il resto della compagnia.

[9] Non è questa la sede per illustrare il metodo del consenso e le critiche che, spesso giustamente, ha sollevato. Chi volesse approfondire l’argomento può partire dalla consultazione delle voci in inglese e italiano della Wikipedia.

[10] Abbiamo fatto questa veloce ricerca alla fine di ottobre del 2019 e i siti ancora attivi sono: USA (11), Sud America (5) ed Europa (10).

[11] Basta dare uno sguardo allo stato della comunicazione nell’era dei “telefonini intelligenti” e dei “social” per rendersi conto che il potere dei mass media commerciali oggi è predominante più di quanto già lo fosse nel 1999 ai tempi del predominio di giornali e televisioni.