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L’avvento della meritocrazia

Gli angolofoni le chiamano buzz-words (parole panciute), sono quei termini – spesso neologismi, che in un certo momento diventano di moda e che spesso hanno un significato non chiaro o non univocamente accettato. Di solito vengono usate per impressionare chi ascolta o legge e rendono alcune affermazioni talmente banali da essere difficilmente contestabili. Sicuramente il termine “meritocrazia” e tutti quelli collegati (merito e meritocratico in primo luogo) è una di queste parole che da tempo imperversa anche sui mezzi di comunicazione nostrani.

Per portare un piccolo esempio ecco alcuni titoli, nei quali compare la famigerata parola, comparsi sui quotidiani dall’inizio del mese di aprile del 2008:

“Lotta a sprechi e più meritocrazia: l’appello dei city manager riciclati” [1];
“Come far vincere il merito” [2]; “La mia provincia più sicura, pulita e meritocratica” [3]; “Largo al merito e al genio italiano” [4]; “Al nostro paese serve più meritocrazia e cultura di impresa” [5]; “Sanità malata, merito e competenza sono la cura” [6].

Impossibile invece anche solo contare il numero esorbitante di articoli e di servizi tv nei quali il termine viene utilizzato, più o meno a sproposito. Una citazione per tutte: “i lavoratori percepiscono che i vecchi schemi d’azione del sindacato frenano l’innovazione necessaria per valorizzare meglio il loro lavoro, oppure impediscono di valorizzarne il merito, appiattendo i trattamenti.” [7]

In generale i contesti nel quale attualmente viene utilizzato il termine sono essenzialmente due: quando si deve criticare il sistema di reclutamento del personale docente universitario (che viene assunto non per merito ma per cooptazione o nepotismo) e quando si devono criticare i danni di un preteso egualitarismo vigente nel mondo del lavoro che porterebbe ad un ingiusto livellamento salariale. Quest’anno poi la muta si è lanciata in una vera e propria crociata contro le idee del ’68 che sarebbero state le principali avversarie della meritocrazia, con alcuni interventi decisamente esilaranti: “La scarsa valorizzazione del merito è una delle cause principali della crisi del Paese. E’ ora di superare la cultura sessantottina del diciotto politico.” [8]

Probabilmente tutti coloro che oggi sprecano questa parola non sanno che la sua nascita è relativamente recente, sono infatti passati esattamente 50 anni da quanto fu usata per la prima volta dal sociologo inglese Michael Young.

Il termine compare nel saggio “L’avvento della meritocrazia” [9], un pamphlet socio-politico sulla scia delle distopie di Swift, Orwell e Huxley. In questo libro, un sociologo del 2034 racconta come nel Regno Unito si sia affermata una forma di governo chiamata “meritocrazia” e basata esclusivamente sul Quoziente di Intelligenza (Q.I.) delle persone. Mischiando citazioni da testi reali e inventati l’autore descrive le diverse forme di potere che si sono susseguite nei secoli: dall’aristocrazia, che si basava sul principio di eredità dei beni e del potere alla plutocrazia, nella quale il governo era nelle mani dei più ricchi, per arrivare infine all’abolizione di privilegi del sangue e del denaro a favore di quelli dell’intelligenza.

La maggior parte del testo si sofferma nella minuziosa descrizione del sistema educativo, alla base del sistema, e degli strumenti “scientifici”, in pratica dei test per misurare il Q.I., che mettono in grado di selezionare – fin dall’infanzia la classe dirigente da una parte e quella dei “tecnici” dall’altra. Basandosi sull’assioma che gli uomini non sono tutti uguali ne viene fatto discendere un “precetto morale” che implica, per il benessere della società, di scegliere i più adatti attraverso dei sistemi che non siano legati al nepotismo, al denaro o al caso ma esclusivamente alle reali capacità dei singoli individui.

“Dare a ciascuno una posizione sociale proporzionata alle sue capacità” è l’obiettivo di questa utopica società la cui stratificazione sociale si basa sul principio del merito e che riesce a mantenere la pace sociale attraverso un sistema di salari uguali per tutti, salvo che le persone collocate in posizioni di prestigio ricevono in più quelli che oggi chiameremmo “fringe benefit”, ovvero prestazioni non in denaro che compensano la forzata uguaglianza salariale. Nonostante tutto però, anche questa utopia inizia ad avere alcuni problemi non previsti dai fautori della meritocrazia: da una parte ci sono gruppi di persone, i “populisti”, che rifiutano di collocarsi nel posto indicato dal loro Q.I. e dall’altra soprattutto le donne che iniziano a trovare una contraddizione tra i principi della meritocrazia e il ruolo materno che viene loro richiesto dalla società. Il saggio termina, con un piccolo colpo di scena, alla vigilia del grande sciopero di protesta del maggio 2034.

La prima cosa che vale la pena di osservare è che oggi, nella maggior parte dei casi, il termine ha assunto una valenza diversa da quella originale e, sicuramente, la maggior parte [10] di coloro che lo usano non sanno che chi lo ha inventato intendeva criticare l’utopia di una società basata sul merito. In secondo luogo qualsiasi sistema che tenda ad attribuire dei “meriti” necessita di un processo di valutazione, quello che nel libro di Young viene riservato ai test psicologici che misurano il Q.I. Peccato che molti dei sostenitori dell’odierna “meritocrazia” omettano spesso di specificare il modo attraverso il quale debba essere applicata e le persone destinate ad applicarla. Oltretutto anche uno strumento come la valutazione dell’intelligenza attraverso un test si è dimostrato, nel corso del tempo, talmente inutile [11] che ormai ci vorrebbe un miracolo per resuscitarlo, almeno nella sua vecchia forma.

Anche se non si tratta certo di un capolavoro, il testo mostra, letto nell’attuale contesto socio-politico una discreta modernità e non solo per i suoi riferimenti ad un futuro che per noi è quasi un presente, ma soprattutto perché il gran parlare che si sta facendo in questi ultimi anni a favore del ripristino della “meritocrazia” lo rende tremendamente attuale.

Pepsy

Note

[1] il giornale, 01/04/08.
[2] corriere della sera, 08/04/08.
[3] il tempo, 11/04/08.
[4] il giornale della libertà, 11/04/08.
[5] il giornale, 16/04/08.
[6] il messaggero, 19/04/08.
[7] L’ineffabile P. Ichino a proposito delle dichiarazioni antisindacali di L.C. Montezemolo, la repubblica, 19/04/08.
[8] Intervista a M. Gelmini, il giornale, 01/04/08. La sapiente politica nel 1968 non era ancora nata.
[9] Titolo originale “The rise of meritocracy”, traduzione italiana pubblicata dalle Edizioni di Comunità, Milano 1962.
[10] Fa sicuramente eccezione il docente universitario di un “Collegio Superiore” (e non poteva essere altrimenti…) che quest’anno terrà le sue lezioni su “merito e meritocrazia” usando tra i testi proprio quello di Young.
[11] Molti ricercatori hanno criticato ferocemente l’idea che l’intelligenza possa essere misurata scientificamente e soprattutto l’uso che di tale misura si è fatto negli anni per definire inferiori gruppi sociali poveri, oppressi o svantaggiati.